Molte parole della nostra lingua sono abusate e utilizzate per indicare concetti diversi da quelli cui dovrebbero riferirsi, secondo il significato loro proprio: un chiaro esempio in questo senso ci è dato dal termine intellettuale. Non solo, infatti, questo vocabolo viene impiegato per designare ogni sorta di individuo che prenda in mano la penna o che pronunci parola nei convegni di “cultura”, ma anche il termine intelletto (da cui il primo direttamente deriva) viene generosamente esteso a campî ove ben difficilmente fa ingresso. Ebbene, Elémire Zolla è stato un intellettuale, e lo è stato nel senso etimologico del termine (che è poi l’unico legittimo), vale a dire un uomo capace di intus legere – e per ciò stesso intelligente. Come scrisse infatti René Guénon, “l’intelletto, in quanto principio universale, potrebbe essere concepito come ciò che contiene la Conoscenza Totale” (Gli stati molteplici dell’essere) e l’intuizione intellettuale “è contemporaneamente il veicolo della conoscenza e la conoscenza stessa, e in essa il soggetto e l’oggetto si identificano e si unificano” (Introduzione generale allo studio delle dottrine indù).
Elémire Zolla ha avuto un suo preciso e significativo ruolo nel mondo della cultura, quello che ne ha fatto un emblematico pensatore, solitario in uno squallido panorama di conformisti ad ogni costo. Infatti l’ambiente della asfittica cultura ufficiale accademica, completamente egemonizzata dai rispettivi materialismi e relativismi alla Freud, Marx ed Einstein non vide mai di buon occhio (e d’altronde, come avrebbe potuto?) uno studioso così “sulfureamente” attento alle religioni, all’alchimia, alla gnosi, al mito, alle culture tradizionali, all’esoterismo, alla spiritualità d’Oriente e Occidente: argomenti che sin troppe volte abbiamo dovuto sentir bollati come “arbitrarî”, “irrazionali”, e spesso anche come “fascisti” dagli inquisitori della cultura ufficiale.
Zolla aprì dunque una breccia assai pericolosa in quella muraglia editoriale: da lì infatti, con le sue incursioni, sarebbero filtrati, prima come un rivolo e poi con forza sempre più impetuosa, testi, idee, autori e prospettive di eccezionale importanza, prima celati o condannati all’invisibilità, spesso anche perché pubblicati da minuscole case editrici di destra. Alfredo Cattabiani, che ebbe Zolla come direttore di collana (insieme ad Augusto del Noce) quando dirigeva Borla, prima, e come consulente presso Rusconi, successivamente, lo ha ricordato su Avvenire con queste parole: “Ha avuto due meriti indiscutibili: di avere percorso fin dagli anni ’50 l’itinerario di liberazione dai fantasmi ideologici, abbandonando i territori della cultura strumentale per giungere a quelli che hanno come fondamento il primato della contemplazione. In questo viaggio […] ha avuto anche modo di educare le nuove generazioni con i convegni che organizzò alla fine degli anni ’60 presso l’Istituto Accademico di Roma, scoprendo scrittori e studiosi italiani, allora sconosciuti, da Guido Ceronetti a Giuseppe Sermonti […]: ricorderò fra tanti altri Mircea Eliade, René Guénon, J.R.R. Tolkien, lo storico dell’arte Hans Sedlmayr, il lama tibetano Chögyam Trungpa, il rabbino Abraham Heschel, Pavel Florenskij o Giorgio de Santillana”.
Ciò che più vale dell’opera di Zolla è il penetrante sistema cognitivo, che egli applicò al tantrismo e alla magia, all’alchimia e alla filosofia induista e via dicendo ai vari argomenti di cui si occupò: un metodo alquanto libero (tanto che si trae la sensazione, talvolta, di “perdersi” nella sua lettura) ma di un’efficacia suggestiva talmente intensa da risultare quasi ipnotica.
Però al tempo stesso, poiché la forma è anche (ed essenzialmente) sostanza, ciò che vi è di più valido in Zolla spesso si rovescia nel suo opposto. Sebbene probabilmente non sia molto garbato né appropriato muovere critiche o avanzare riserve su un autore appena scomparso, inquadrarne la figura intellettuale nel suo complesso è però giusto, poiché contribuisce a fornirne un’immagine completa. Ebbene, quel peculiarissimo stile di Elémire Zolla, che tanto affascina i lettori, quello stile cioè che Adriano Romualdi trent’anni fa definì “lambiccato e inquieto”, è sì capace di elevarsi verso altezze notevolissime, sulle ali della fantasia creatrice, quanto di penetrare le oscurità profonde, seguendo il filo di ardite speculazioni: ma ciò che immancabilmente si trae dalla sua lettura, dal suo stile vibrante, è la sensazione di uno sviamento, di una perdita di coscienza “pericolosa”.
Per chiarire per quanto possibile questo punto, occorre avvicinarsi più da vicino ai temi cari all’autore. Spesso nell’opera di Zolla si trova il riferimento agli stati trascendenti della coscienza: si tratta infatti di un Leitmotiv, di un tema conduttore dei suoi studî sui quali indubbiamente la preparazione dell’autore è amplissima, e che fornisce una messe notevole di informazioni e spunti. Ma la concezione degli stati estatici di Zolla è essenzialmente di tipo mistico, non magico: l’estasi appare cioè quasi come una forma più ampia della trance, e in essa ricadono dunque – con toni spesso quasi indifferenti – le visioni dei santi medievali, le evocazioni degli antichi baccanali, le illuminazioni dei monaci tibetani, ma anche i fumi dell’oppio dei “poeti maledetti”, i riti coribantici dell’Africa nera, persino gli “sballi” dei giovani odierni o della realtà virtuale (specialmente di quella ventura e perfettibile). Tutto rientra, in questa grande visione dell’estasi, nel composito insieme delle vie di “uscita dal mondo”.
Il sacro, sostenne il grande storico delle religioni Mircea Eliade, non cessa mai di esistere: tutt’al più esso si cela, mutando continuamente le proprie forme, e sopravvive persino nelle società più secolarizzate ed apparentemente non religiose o antireligiose. Questo è certo il caso anche della tensione al sovrannaturale, ma la chiarezza è necessaria, dati i pericoli che corre chi si avvia sulla strada dell'”uscita dal mondo”. Contro le perplessità di Zolla al proposito (dovute probabilmente alla sua particolare vocazione “mistica”), la preparazione adeguata è necessaria a non smarrirsi.
Il mondo del sovrannaturale si può infatti ben rappresentare con quello descritto da Collodi nel Pinocchio, un’opera davvero ricca di sapienza ermetica (neppure troppo celata): il Paese dei Balocchi non è come appare, e chi non abbia la necessaria preparazione per inoltrarvisi ne rimane trasformato, sfigurato. Allo stesso modo, chi si cala negli “inferi” della coscienza profonda, o nel ventre della balena, non sempre trova la strada del ritorno e persino mette in grave pericolo il nocciolo della sua esistenza.
Elémire Zolla, che è stato uno degli ultimi grandi scrittori – stregoni di questo secolo, non volle insistere su questo aspetto. E fu forse questo a renderlo noto e caro a così tanti lettori, e al tempo stesso il vero limite della sua grandezza.
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Tratto da La Padania del 6 giugno 2002.
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