Le indicazioni in un nuovo libro di de Turris
Nelle epoche di decadenza, di incertezza esistenziale, pensare implica assumersi responsabilità: lenire dolori, dare risposte all’insecuritas generalizzata, indicare percorsi inusitati ai propri contemporanei. Ogni lettore abituale ha coscienza che si ricorre alla definizione di “buon libro”, per definire un testo nel quale abbiamo incontrato, per mediazione dell’autore, la parte più nobile che ci connota o stimoli per imboccare vie fino ad allora intraviste. A questa categoria di volumi appartiene l’ultima fatica di Gianfranco de Turris, Come sopravvivere alla modernità. Manualetto di autodifesa per il XXI secolo, da poco pubblicato per Idrovolante editore (per ordini: http://www.historicaedizioni.com/prodotto/come-sopravvivere-alla-modernita/, Libreria Cultora, Via Ferdinanado Ughelli 39, Roma, 347/670813, euro 14,00).
Per la verità si tratta di un libro uscito in prima edizione nel 2000, che aveva come sottotitolo, Manualetto di autodifesa per il 2000 e oltre, da tempo esaurito. L’autore ha giustamente deciso di rivederlo e di ampliarlo notevolmente, adeguando le analisi alla situazione presente. L’obiettivo perseguito da de Turris è chiaro: fornire alle nuove generazioni, ma non solo, indicazioni teoriche e pratiche per uscire indenni, spiritualmente ed esistenzialmente, dallo stato presente delle cose. Il lettore sappia che il riferimento alla “sopravvivenza” presente nel titolo, non è rivelativo dell’adozione di un atteggiamento rinunciatario rispetto alla corsa verso il baratro intrapresa dalla modernità. A differenza di quanto sostenuto da un altro antimoderno, Nicolás Gómez Dávila, per il Segretario della Fondazione Evola pensare non significa semplicemente costruire rifugi per tentare di sfuggire all’inclemenza del tempo presente. Ciò lo si evince dal titolo di un paragrafo del testo “Se nemmeno un dio ci può salvare, ci dobbiamo salvare da soli”. De Turris sa bene, quindi, che gli orizzonti del presente possono essere superati in un Nuovo Inizio.
Questo sobrio volumetto, dalla forma scorrevole, controllato nell’uso della parola è, in realtà, latore di contenuti forti, capaci di restituire dignità alla vita. Un esercizio culturale, quello esercitato da de Turris, volutamente semplice sotto il profilo formale ma, nei contenuti, estremamente ambizioso, in quanto si confronta con bisogni profondi. Un tentativo in continuità con l’opera conclusiva di Evola, Cavalcare la tigre, nella quale il filosofo si rivolgeva ai suoi contemporanei “differenziati”, al fine di fornir loro indicazioni per non farsi travolgere dalla tigre della modernità, affinché potessero trasmutare, secondo l’antico detto estremo-orientale, “i veleni in farmaci”. Lo scrittore, in questa nuova versione del testo, e in questo esordio del XXI secolo, si confronta con l’ulteriore accelerazione dei processi regressivi che si sono manifestati nell’ultimo ventennio, soprattutto nel capitolo conclusivo, dedicato all’analisi degli esiti indotti dai mezzi elettronici ed informatici di comunicazione sulla tenuta interiore degli individui.
Le posizioni di de Turris sono articolate in una pars destruens e in una pars construens. Per quanto attiene all’analisi della società contemporanea è interessante far rilevare come, in particolare nell’ultimo periodo, studiosi di certo lontani dall’impostazione tradizionalista che caratterizza la formazione del Segretario della Fondazione Evola, abbiano sviluppato un’esegesi dello stato attuale delle cose, per molti aspetti, sintonica a quella del nostro autore. Ci riferiamo alle tesi di certa antropologia e sociologia vicina alle posizioni di Bauman, in Italia ben rappresentate da Carlo Bordoni, che ha con obiettività letto la crisi della società liquida, il dissolversi del radicamento umano che la modernità “solida” aveva tutelato fino all’epoca della produttività fordista, centrata sullo “spazio dei luoghi”. In realtà, nella fase attuale, si assiste in modo eclatante al fallimento del progetto della modernità illuminista, che gli autori antimoderni hanno da sempre contrastato. La ragione astratta avrebbe dovuto liberare l’umanità dall’insicurezza nella quale fino ad allora era vissuta per entrare finalmente nella fase adulta del suo sviluppo. Al contrario, la realtà dei fatti della società post-moderna, si presenta come il regno dell’assoluta insicurezza esistenziale, politica, sociale, economica.
Il mondo nel quale viviamo non è il migliore dei mondi possibili: i rapporti umani si sono reificati. L’atomismo sociale è l’esito ultimo della mercificazione planetaria, delle politiche di globalizzazione. I giovani subiscono i contraccolpi del “precariato universale”, cui sono costretti, anche sul piano psicologico, ed hanno bisogno di guide autorevoli. Alle loro domande di senso risponde solo (sic!) il “compagno di connessione” dei social network. Ora, i pensatori “progressisti”, pur accorti nel diagnosticare la malattia del nostro tempo, non riescono ad individuare un’effettiva via d’uscita. In loro è assente la pars construens che è con chiarezza indicata da de Turris. Innanzitutto è essenziale per sopravvivere attivamente alla modernità, come viene ricordato nella Prima prospettiva, rafforzare la difesa interiore, guardando ai valori della Tradizione. Evola in Cavalcare la tigre, allo scopo, utilizzò la metafora del treno nella notte. Il passeggero che viaggia sul treno non ha percezione chiara della regione che sta attraversando, ma ha contezza che, prima o poi, dal treno scenderà. Tale viaggiatore è sicuro che dalla notte si uscirà. Il suo mondo interiore non è minimamente scalfito dagli scossoni che i cambiamenti di direzione della carrozza producono sui suoi compagni d’avventura. Egli, dice Evola e con lui de Turris, è uomo differenziato, cioè un uomo il cui egemonico (il riferimento allo stoicismo che compare nel volume è, perciò, del tutto pertinente) dirige e controlla la dimensione pulsionale e desiderativa, rendendolo capace di azioni libere e responsabili.
Ma de Turris presenta nella Seconda prospettiva anche una proposta attiva, nella quale con Hans Georg Gadamer e Rémi Brague, sostiene che, per uscire dalla “liquidità” contemporanea, sia necessario tornare a guardare alla Tradizione greco-romana. In essa, attraverso il mito vissuto come precedente autorevole cui rifarsi, il passato viene liberato dalla collocazione retroattiva e torna a mostrarsi come l’Origine, che vige nel tempo e nella storia. Il “viaggiatore nella notte” evoliano, colui che attraversa l’oscurità presente rimanendo interiormente ancorato al modello tradizionale, può pensare ad una nuova aurora, un Nuovo Inizio, oltre il “lungo addio” della modernità.
Oltre che per gli aspetti teorici, il libro è impreziosito dai suggerimenti pratici che l’autore rivolge ai lettori, affinché non si facciano travolgere dalla tigre moderna, di particolare rilievo le indicazioni sull’uso della tecnologia e dei nuovi mezzi di comunicazione. Un manuale di resistenza attiva al degrado spirituale, un esempio da seguire.
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