Fa piacere vedere che i lavori dell’ampia opera di Ernst Jünger vengano tradotti con regolarità nella nostra lingua. E così, sebbene al momento nessuno dei cinque corposi volumi dei Siebzig Verweht abbia ancora visto la luce in italiano e siano ormai da molti anni irreperibili due libri fondamentali come Heliopolis ed Eumeswil, durante il 2000 sono stati pubblicati Al muro del tempo da Adelphi e Boschetto 125 e Il tenente Sturm da Guanda. Quest’ultimo è uscito proprio in questi giorni in una buona traduzione di Alessandra Iadicicco nella collana dei Quaderni della Fenice.
Sebbene si tratti di un romanzo giovanile (l’autore lo scrisse a ventotto anni) mostra già pienamente la padronanza della lingua e la profondità della riflessione filosofica ed esistenziale caratteristiche del grande scrittore tedesco. Pubblicato a puntate nel 1923 nell’Hannoverschen Kurier fu per lunghi decennî dimenticato, sino a che fu Jünger stesso a reinserirlo nella sua opera omnia pubblicata da Klett di Stoccarda, le Sämtliche Werke.
Come Boschetto 125, Nelle tempeste d’acciaio e Fuoco e sangue (quest’ultimo ancora non tradotto nella nostra lingua), il romanzo è ambientato in quell’immane e titanico teatro che furono le trincee della prima guerra mondiale. Nello stesso anno in cui si congedava per la prima volta dalla Reichswehr, l’esercito tedesco, Jünger componeva un canto di straordinaria vitalità in onore di quei tanti europei che, su fronti opposti ma animati da un medesimo fuoco, avevano combattuto – cadendo o sopravvivendo – nell’immane scontro di materiali.
Ora quella generazione che tornava dal fronte alle campagne e alle metropoli era sostanzialmente cambiata. Da una parte vi era chi dalla guerra era stato interiormente spezzato (si pensi all’esperienza di guerra del Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque): “Se non c’era una stella fissa a guidare il cammino, l’onore o la patria, o se il suo corpo non era indurito dalla smania di combattere come da una corazza, si muoveva come un mollusco, come un sussultante intreccio di nervi sotto una grandine di fuoco e acciaio”, scriveva Jünger. Ma per altri il sentire borghese era ormai morto, e si prefigurava nella sua terribile potenza un mondo nuovo – l’Età della Tecnica dominata dall’Operaio, secondo la definizione che di lì a poco Jünger ne avrebbe dato. Per costoro la guerra può divenire persino ebbrezza ed estasi: “Un’onda impetuosa mi sollevò e mi gettò avanti con irresistibile violenza. Mi precipitai come un diavolo urlante sulla pianura e mi buttai a capofitto nella mischia. Il mio fucile era carico e tuttavia lo afferrai per il calcio come una clava e incominciai a menar colpi attorno a me, senza distinguere amici e nemici, finché caddi al suolo esangue”.
Anche il tenente Sturm, figura in larga misura autobiografica, rappresenta quella generazione che la guerra non riuscì a spezzare, ma che viceversa rese interiormente indistruttibile. “Anche Sturm, quando se ne stava sulla sua posta, si accorgeva di essere diventato un altro. Perché l’uomo che stava disteso là tra i cespi del cardo e spiava con attenzione al di sopra del mirino del fucile in cerca della sua preda non era più lo stesso che, solo due anni prima, camminava con disinvoltura per l’intrico vorticoso delle strade e avvertiva la propria familiarità viscerale con ogni più piccolo fenomeno della vita della grande città”.
Attraverso la trama del romanzo emergono alcune figure di una evocatività straordinaria: il vortice di fuoco, sangue, morte, alcool ed erotismo – volti differenti di una medesima visione giovanile del mondo – pare trascinare il lettore di pagina in pagina in un crescendo di emozioni del tutto reale e coinvolgente. E, oltre a tutto questo, è ancora oggi capace di forgiare un’immagine nuova, vera e vitale dell’eroismo, in un tempo che ne ha obliato pressoché completamente il significato.
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Ernst Jünger, Il tenente Sturm, Guanda, Parma 2000, £16000.
Da la Padania del 12.I.2001.
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