Il 17 dicembre festeggeranno il dio degli inferi. Al posto del Natale celebreranno il Natalis solis invicti. I seguaci del paganesimo sembrano sempre più numerosi. Alla ricerca della propria comune identità: quella pietas antecedente il Cristianesimo e il razionalismo laico.
I veri laici devoti sono i patrioti di Roma che non sono massoni, piuttosto pagani, anzi, gentili, da gens. Sono i discendenti di una stirpe istruita per diritto di sangue a tenere viva la fiamma della dea Vesta. Sono gli abitanti più antichi della città che veramente e non per favola fu fondata da Romolo il 21 aprile. Precisamente nel 753 avanti quest’era volgare. Così come fu vero che il fratello, laico e devoto, dovette uccidere il gemello Remo.
Così come Roma è eterna, così come è vero che furono sette i re perché gli stessi scavi archeologici hanno dato ragione ai sacerdoti di Rea Silvia fecondata da un fallo di solido fuoco. Ha sempre avuto ragione Tito Livio e con lui Niccolò Machiavelli, che ne commentò la dottrina perché ogni rito politico è anche rito religioso. Ha sempre avuto ragione Giovanni Boccaccio, autore di una mirabile Genealogia degli dei, e tutta la storia delle origini di Roma attraverso le fonti ha ragione perché l’identità romana per l’Italia e per lo stato è il sigillo sacro primigenio: il futuro, insomma, è dietro le spalle. «Il fondamento culturale e religioso d’Occidente è pagano» spiega Domitia Lancetta, studiosa del dionisismo, animatrice dell’associazione di studi Symmetria. «L’immagine del lupo nella Roma sacra è anteriore alle presunte radici cristiane; così come, nella pur ecologistica cultura moderna, non c’è nulla di paragonabile alla bellissima Preghiera del pastore tramandataci da Ovidio. È il Cristianesimo che invece può avere radici nostre, giammai il contrario».
Roma, dunque, è radice a se stessa. Niente di folcloristico, neppure l’ombra della new age, nulla che possa indulgere a stravaganze, al contrario: studi severi, dottrina profonda e, soprattutto, gravitas. È vero «che gli dei di Roma si sono rifugiati in India» come dice Pio Filippani Ronconi, il grande orientalista invitato a suo tempo dallo scià di Persia per festeggiare i 2.500 anni di Dario imperatore in Iran e applaudito dagli zoroastriani e dai saggi sciiti per un’allocuzione in latino. Ma lo spirito sacro della romanità ancora oggi reclama i suoi paesaggi: la campagna lungo l’Appia antica dove pascolano gli armenti, proprio a pelo con gli studi di Cinecittà, è ancora canone dell’ideale classico. E il genius loci della paganitas è vivo nel fiume Tevere, nell’Isola sacra, nel Mausoleo di Adriano, nei musei e nei Fori (dove con i pagani anche i romani vanno in inconsapevole pellegrinaggio) ma infine anche all’Auditorium.
È successo qualche domenica fa, di mattina. Il Comune di Roma e l’editore Laterza avevano organizzato all’Auditorium una lezione di Andrea Carandini, archeologo, autore di bellissimi libri sull’Urbe, l’ultimo dei quali è La leggenda di Roma. È il primo volume edito da Fondazione Valla, Mondadori editore, titolo Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città. Una folla da concerto rock attende la lezione del professore. «Più gente che con Leonardo Di Caprio» così diranno a Carandini gli organizzatori dovendo fronteggiare in sala e fuori dagli ingressi più di cinquemila persone. Il successo colpisce Gennaro Malgieri, consigliere d’amministrazione della Rai, che già pregusta di fare della religione di Roma arcaica un canovaccio di consumo popolare che eguagli le letture dantesche di Roberto Benigni e di Vittorio Sermonti.
Carandini, erede di una famiglia di agrari dal sussiego radical (tanto da meritarsi un motteggio sulla falsariga dello slogan comunista: «La terra ai Carandini!», in luogo di «La terra ai contadini!»), è un fenomeno pop. Con un elzeviro sul Corriere della sera lo stesso professore cercherà di darsi una spiegazione: «Siamo stufi di fragori musicali e discoteche». Tiziano Terzani raccontava di un banchetto in India quando una signora d’alta casta gli rivolse l’imbarazzante domanda: «Quanti sono in Italia gli adoratori di Zeus padre?». E Roma vive ancora. I gentili, i pagani che continuano a frequentare i luoghi sacri, scendono nelle catacombe non più come «luoghi infettati dai morti», bensì per svegliarle ai riti misterici della tradizione. A San Callisto vi si leggono le iscrizioni di Giulio Pomponio Leto, un erudito rinascimentale, arrestato con Bartolomeo Sacchi detto il Platina. Sono tracce di una tradizione che pochi iniziati hanno tenuto viva e ben s’accordano con lo spontaneo avvicinamento del popolo ai richiami arcaici di Roma.
Dal successo hollywoodiano del Gladiatore, dove per la prima volta si vede un eroe non necessariamente convertito al Cristianesimo, al De Reditu, film dall’omonimo libro di Claudio Rutilio Namaziano. Il viaggio fiero e lugubre di un magistrato romano (V secolo dell’era volgare) lungo quel che rimaneva di un impero sfregiato dai galilei e dai barbari goti. E con in cuore la volontà tragica di restaurare il mos maiorum (la tradizione dei padri). Un altro segnale di orgoglio gentile, quasi un antigladiatore nostrano. Mentre in libreria il riscatto pagano è affidato al best-seller di Valerio Massimo Manfredi L’ultima legione. «Ovviamente le operazioni commerciali non partecipano dell’archetipo sacrale ma certamente allertano un richiamo ancestrale» spiega Sandro Consolato, direttore della rivista La Cittadella, animatore del Mtr, ovvero Movimento tradizionale romano («Tradizionale, non tradizionalista» puntualizza Consolato). E ancora: «Alla decadenza degli studi classici corrisponde una sempre più forte domanda di radici». Il 21 aprile, Natale di Roma, è stato chiamato in Campidoglio Renato Dal Ponte. È il massimo studioso della religione dei padri, ha tenuto l’allocuzione davanti ai membri dell’Accademia delle scienze di Mosca, la terza Roma («Terza e mai più» recitano gli ortodossi). Ogni dettaglio è un archetipo.
Il 17 dicembre uomini e donne di grande eleganza festeggeranno i Saturnalia e il 25 dello stesso mese, giusto per dare a Cesare quel che è di Cesare, la festa del presepe per loro sarà solo il Natalis solis invicti. Nulla che rimandi alla Galilea, si tratta infatti della più antica festività mithraica, è il giorno in cui Roma rifulge di splendore divino. L’eternità di Roma prescinde, precede e sovrasta lo stesso sigillo cattolico. Consolato rivendica ciò che in Lituania, Grecia e Bretagna è normale: «Normale che qualcuno, invece che subire il razionalismo laico o l’erranza cattolica, eserciti la pietas».
Tutti i giornali e le televisioni non mancano all’appuntamento di Assisi con la Marcia della pace, ma la verità del popolo corre per sentieri occulti. Per le Idi di marzo gruppi di persone si recano ai piedi della statua di Cesare, ne incensano i marmi e poi rendono onore alle pietre del Palatino. Piero Fenili, magistrato, oggi curatore della rivista Politica romana, studioso assai raffinato, ricorda di aver visto ai piedi del condottiero, tra gli altri fiori deposti, una corona con una ben precisa dedica: «A Giulio Cesare, il primo dei generali e degli avvocati». Perfino i tifosi della A.S. Roma ci vanno in pellegrinaggio, ma quella corona con le ghiande di quercia, precisa Fenili «dovevano averla portata gli avvocati».
Roma, una polis teocratica
«Nella repubblica islamica dell’Iran accanto al calendario musulmano si festeggia il capodanno zoroastriano, i fedeli della tradizione pagana hanno templi e libertà di culto, il grande Henry Corbin, l’interprete della filosofia sciita ha spiegato l’imaginale, ovvero la profondità della religione persiana, evidenziando tutte le connessioni con il pensiero dell’origine. È pur sempre la terra da dove arrivavano i magi del presepe». Omar Camiletti, shaik, autorevole esponente della Lega musulmana mondiale, è anche un profondo conoscitore dell’Urbe e della religione romana arcaica: «Ancora più importante della parola Roma è la sigla S.P.Q.R., dunque il senato e il popolo di Roma, l’élite e il popolo, la miscela armonica che ha costituito l’unicità della comunità. Il senato e il popolo in processione segnano la necessaria unità della gens anche attraverso la coesione di comunità civile e comunità politica.
«Saranno gli illuministi a voler relegare la religio a una dimensione privata. Roma è invece un esempio di polis teocratica dove religione e politica coincidono. Un musulmano d’Occidente si riconosce nel ghibellinismo, le istituzioni indoeuropee si vivificano nel fermento dell’Islam. «Il califfo è più affine all’imperatore che al papa, solo la Legge è il nostro impero. Sono piuttosto i fondamentalisti modernisti, ostili alla tradizione, a fare del principe dei condottieri un papa. Quella è solo la clericalizzazione dell’Islam, una faccenda da guelfi».
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Tratto da Panorama n° 46 del 16 novembre 2006.
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