Arthur Moeller van den Bruck fu uno dei più alti risultati ideologici conseguiti dallo sforzo europeo di uscire dalle contraddizioni e dai disastri della modernità: fu uno dei primi a politicizzare il disagio della nostra civiltà di fronte all’affermazione mondiale del liberalismo e all’ascesa della nuova anti-Europa, come fin da subito fu giudicata l’America dai nostri migliori osservatori. Di qui una netta separazione del concetto di Occidente da quello di Europa. Il rifiuto dell’Occidente capitalista e della sua violenta deriva antipopolare doveva condurre in linea retta ad una rivoluzione dei popoli europei, ad un loro ringiovanimento, al loro rilancio come vere democrazie organiche di popolo. Come tanti altri ingegni dei primi decenni del Novecento, anche Moeller vide subito chiaro ciò che ancora oggi molti nostri contemporanei non riescono a distinguere: la perniciosità del liberalismo, la mortifera distruttività delle tecnocrazie capitaliste, l’inganno di fondo che dava e dà sostanza a quel centro di decomposizione mondiale, che già allora erano gli USA: falsa democrazia, impero della Borsa, libertà sì, ma unicamente per il dominio delle sette affaristiche.
In una parola, per chiunque avesse occhi per vedere, era evidente che un trucco liberale stava per gettare sui popoli del mondo la sua rete di potere, gestita da minoranze snazionalizzate e apolidi: “L’appello al popolo – scrisse Moeller ne Il terzo Reich, il suo libro più famoso, pubblicato nel 1923 – serve alla società liberale soltanto per sentirsi autorizzata ad esercitare il proprio arbitrio. Il liberale ha utilizzato e diffuso lo slogan della democrazia per difendere i suoi privilegi servendosi delle masse”. Chiaro come il sole! Ottant’anni fa, e con tanta maggiore profondità di analisi politica degli odierni cosiddetti no-global, ci fu qualcuno che centrò in pieno l’obiettivo politico, segnalando con forza quale razza di tarlo stesse corrodendo dall’interno la nostra civiltà … ben più lucidamente di tante “sinistre” – ma anche di tante “destre”… – di allora come di oggi, antagoniste di nome ma complici di fatto.
Il disegno politico di Moeller era preciso: instaurazione di un socialismo conservatore; edificazione di una comunità solidale fortemente connotata dai valori nazionali; avvento di una “democrazia elitaria e organicista”: il tutto, inserito in un quadro di ripresa del ruolo mondiale dell’Europa, gettando uno sguardo di simpatia verso la Russia, il cui bolscevismo Moeller – che fin da giovane fu ammiratore della cultura russa e di Dostoewskij in particolare – giudicava passibile di volgersi prima o poi in un sano socialismo nazionale. Era, questa, l’impostazione generale di quel movimento degli Jungkonservativen che faceva parte della più vasta galassia della Rivoluzione Conservatrice, la dinamica risposta tedesca alla sconfitta del 1918 e alle insidie della moderna tecnocrazia cosmopolita, da cui prese corpo infine il rovesciamento nazionalsocialista.
Il senso ultimo del messaggio ideologico di Moeller è dunque duplice: da un lato, denuncia del dominio dell’economia sulla politica, per cui in Occidente, come egli scrisse, “il rivolgere l’attenzione alla fluttuazione del denaro ha sostituito la preghiera quotidiana”; dall’altro lato, fortissimo impulso alla ripresa della nazione, da incardinarsi su quel moderno corporativismo antiparlamentare in cui lo scrittore tedesco vedeva la vera rappresentanza del popolo, la vera partecipazione alla “comunità di lavoro”. L’occasione di una rinnovata riflessione sul pensiero antagonista di Moeller viene adesso offerta dal libro di A. Giuseppe Balistreri, Filosofia della konservative Revolution: Arthur Moeller van den Bruck (edizione Lampi di Stampa, Milano 2004). Un testo da cui si ricava, ancora una volta e supportata da una preziosa mole di riferimenti scientifici, l’importanza di un progetto politico che non si estingue nella circostanza storica in cui l’autore visse – la Germania guglielmina e poi quella weimariana – ma si presenta a tutt’oggi con la freschezza di un referente politico attualissimo, reso anzi ancora più immediato dal crescente tracollo che negli ultimi decenni ha investito il concetto europeo di nazione sociale.
Moeller ebbe la capacità di risvegliare un sistema ideologico – il socialismo antimarxista – e di collocarlo a fianco del valore-nazione, così da presentare alle masse, stordite dalla doppia aggressione del bolscevismo e del liberalismo capitalista, un modello politico che, se da un lato intendeva rinnovare la società, dall’altro mostrava di volerlo fare senza distruggere i patrimoni di cultura, di socialità e di tradizione comunitaria che l’Europa aveva costruito in secoli di lotte. Tutto questo venne racchiuso dal termine terzo Reich: un’evocazione politica che portava in sé anche una volontà di rigenerazione morale, di rivincita religiosa sul materialismo, e che nascondeva l’antico sogno del millenarismo. Da Gioacchino da Fiore in poi, il “terzo regno” significò aspettativa, non solo religiosa ma anche politica, di un mondo finalmente giusto. Era dunque un mito. E Moeller reinterpretò questo mito in chiave ideologica, mettendolo a disposizione delle masse. Come scrive Balistreri, “il terzo Reich è un mito soreliano”. Questo mito soreliano di attivizzazione del popolo fu infine organizzato politicamente dal Nazionalsocialismo il quale, se non coincise con l’elitarismo e l’impoliticità della Rivoluzione Conservatrice, ne tradusse le istanze teoriche in decisioni politiche, trasformando l’ideologia culturale in politica quotidiana di massa.
Certo, il conservatorismo di Moeller, il suo disegno di una società “dei ceti”, secondo una concezione corporativa conservatrice, rientrava in una tradizione tedesca – quella della Körperschaft, la “comunità dei ranghi sociali” – che esisteva fin dal prussianesimo ottocentesco. E tuttavia la novità del terzo Reich moelleriano consiste nell’abbinare questa tradizione con le esigenze della moderna società di massa. E’ su questo punto che il vecchio conservatorismo doveva diventare il nuovo socialismo. Questo socialismo, come scrive Balistreri riassumendo la concezione moelleriana, “ristabilirà la democrazia nazionale di stampo tedesco, bandendo il liberalismo, il parlamentarismo e il sistema dei partiti, creerà la Volksgemeischaft che si costituirà secondo l’idea dell’articolazione per ceti e corporazioni, e si reggerà in base al Führergedanke“. Moeller aveva compreso che al tentativo di una piccola minoranza di internazionalisti liberali di condurre le nazioni alla sparizione nella “globalità”, si risponde con la nascita di un socialismo dei popoli.
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Tratto da Linea del 12 settembre 2004.
Giuseppe A. Balistreri, Filosofia della Konservative Revolution: Arthur Moeller van den Bruck.
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