Per tutta la sua vita, Hans Günther maneggiò idee pericolose. Le idee della antropologia fisica a orientamento innatista-razziale, idee allora assai diffuse non solo in Germania, ma anche in Inghilterra e in America. Sul finire della sua vita – per un discernibile karma – quella pericolosità gli si ritorse contro. Günther fu imprigionato in campo di concentramento. Patì la fame e maltrattamenti per tre anni. Quindi nel 1948 fu liberato, visse come un pesce fuor d’acqua nella Germania Occidentale, ma negli anni Cinquanta ebbe anche l’ “onore delle armi” di essere nominato membro onorario della American Society of Genetics. Günther non era infatti un ciarlatano, piuttosto era quello che gli Americani chiamerebbero “a dangerous mind”.
Le idee dell’antropologia fisica sono corresponsabili di quanto di grave è accaduto nel XX secolo. E per quanto i danni prodotti dal riduzionismo biologico non siano neppure minimamente paragonabili a quelli del riduzionismo economico di Marx, una macchia oscura permane su quegli studi che con un certo compiacimento approfondiscono il tema delle distinzioni degli uomini in razze. E tuttavia, se non vogliamo fiabescamente considerare gli uomini come angeli senza corpo, è pur doveroso indagare e comprendere – con la massima tolleranza – le distinzioni che intervengono tra i vari gruppi umani. Distinzioni di colori e di forma, di sistemi ghiandolari e di ritmi di crescita. Per questo può giovare rivedere quanto Günther scriveva nel 1925 in Tipologia razziale dell’Europa, oggi per la prima volta edito in Italia dalla Ghenos di Ferrara. La parte più bella, meno spinosa del libro è probabilmente quella in cui l’antropologo descrive gli affascinanti movimenti dei gruppi paleo-europei nella preistoria, il loro incrociarsi, scontrarsi sui terreni selvaggi che ancora portavano i segni dell’ultima glaciazione.
Sul discusso argomento della distinzione in razze il XXI secolo dovrebbe raggiungere un equilibrio di interpretazione. Oggi il fattore razziale è del tutto escluso dalle considerazioni storiche. Eppure basta guardare la cartina delle confessioni europee per capire che essa in realtà ricalca lo schema delle sottorazze europee… col cattolicesimo dei mediterranei, il protestantesimo dei nordici, l’ortodossia degli slavi etc. D’altra parte l’elemento razza non deve essere esagerato altrimenti non si comprendono molte cose: perché i puri Germani del IV secolo si convertirono ad una tipica religione del Levante? Come hanno fatto i purissimi nordici dell’Olanda ad auto-rincoglionirsi in quaranta anni di stile di vita “caraibico”? E così via.
Forse bisognerebbe abbandonare lo stesso concetto di “razza”, termine di ascendenza zoologica – equina e reimpostare su nuove basi il discorso. Ma è altrettanto necessario liberarsi da un tabù che è tanto forte come il tabù del sesso nell’Ottocento: il tabù che impedisce di accettare l’esistenza di “nature”, di corporeità (e forse anche di psicologie) differenziate all’interno della generica umanità.
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Articolo pubblicato su Linea del 7 gennaio 2004.
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