E’ arrivato da pochi giorni nelle librerie il romanzo di Jon Krakauer Nelle terre estreme (Corbaccio, 272 pag., 16,60 euro), pubblicato in America nel 1996, che già si preannuncia come il degno erede a distanza di ben trantanove anni anni dalla sua uscita del capolavoro di Kerouac On the road, manifesto della beat generation. Di questa ennesima storia di ribellione ad una società consumistica e massificante abbiamo avuto un assaggio durante la passata edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma con il film Fuga in Alaska, tratto dal romanzo di Krakauer e diretto magistralmente dal “ribelle” di Hollywood Sean Penn. E’ la storia vera di un ventidueenne americano, Christopher McCandless, meglio consciuto come Alexander Supertramp, che negli anni Novanta, dopo la laurea, abbandonò la propria famiglia, diede in beneficienza il proprio patrimonio di 25.000 dollari, rinunciò ad ogni comodità ed iniziò un lunghissimo viaggio attraverso l’America che lo porterà a raggiungere l’Alaska in un una disperata ricerca di felicità che non coincide con i valori assodati della società borghese.
Fin qui non sembrerebbe nulla di nuovo visto che Kerouac già aveva profetizzato l’idea di una fuga come salvezza dall’ipocrisia e da quel “lavaggio del cervello” che la società contemporanea impone all’individuo. Di coloro che come Chris si caricavano uno zaino in spalla e partivano all’avventura così Kerouac scriveva: “Nomadi con il sacco sulle spalle, che si rifiutano di aderire alle generali richieste ch’essi consumino prodotti e perciò siano costretti a lavorare per ottenere il privilegio di consumare tutte quelle schifezze che tanto nemmeno volevano veramente come frigoriferi, apparecchi televisivi, macchine, almeno macchine nuove ultimo modello, certe brillantine per capelli e deodoranti e tutta quella robaccia che una settimana dopo si finisce col vedere nell’immondezza, tutti prigionieri di un sistema di – lavora, produci, consuma, lavora, produci, consuma…”.
Quello che però rimane d’attualità è uno spirito di ribellione che evidentemente la società capitalistica, e tantomena quella comunista, non sono riuscite del tutto a sedare nelle nuove generazioni. Il mettersi in viaggio per il giovane Chris così come per lo scrittore Sal Paradise, protagonista di On the road, ha una valenza simbolica profonda che assume l’aspetto del rito inziatico con il quale si cambia definitivamente. Entrambi i viaggiatori, seppur con esperienze molto diverse, sono accomunati dalla ricerca di una felicità che non corrisponde ai canoni assodati e che inseguono nel loro vagabondare. E poco importa se il personaggio di Kerouac finisce per sperimentare le droghe, la libertà sessuale, i paradisi artificiali perché il fine ultimo del suo viaggio è la conquista di una dimensione nuova, di un qualcosa che i i soldi o la posizione sociale non possono garantire. Forse è proprio l’incontro con Dio il fine di questa ricerca, come peraltro ammise candidamente lo stesso Keoruac quando all’epoca gli chiesero che cosa cercasse davvero: “Dio.Voglio che Dio mi mostri il suo volto”.
E anche Chris insegue la sua felicità cercandola nella natura, quella aspra e selvaggia del nuovo mondo e nella solitudine dove televisione, marketing e mode non hanno più alcun valore. Chris diventa a tutti gli effetti un rivoluzionario, un qualcosa che sfugge al controllo della società, ai valori consolidati. Una sorta di San Francesco laico che con la svestizione scopre una dimensione nuova in cui l’elemento spirituale è primario. Non c’è bisogno di prendere i vosti e indossare un saio per cercare Dio o qualcosa per cui valga la pena vivere davvero e questo Chris lo dimostra a pieno titolo. Anche in Italia questo spirito di ribellione e di anticonformismo fu raccolto in passato da destra a cominciare da Evola che non temeva di valutare positivamente anche le esperienze estreme della Beat Generation:
“L’alcool, il sesso, la musica jazz, la velocità, le droghe sono state dei mezzi usati per poter sostenere con sensazioni esasperate il vuoto dell’esistenza. Un vuoto che per la gioventù internazionale del secondo dopoguerra era stato accentuato, in modo spesso traumautico, sia dalle vicende belliche vere e proprie, sia dalle successive, e cospicue conseguenze”. E se molti intellettuali di sinistra dell’epoca bollavano Kerouac e compagni come esempi di estremo individualismo spinto all’eccesso, lo storico gruppo di musica alternativa italiana “La Compagnia dell’Anello” raccoglieva questa eredità e la faceva sua con la canzone “Sulla strada”, autentico manifesto di una gioventù europea fatta di ragazzi “stanchi, sporchi, ma felici” in cerca di valori antichi e profondi che andavano al di là della politica e delle bandiere. L’invito a “prendere dalla vita ciò che puoi” cantato dalla band padovana è lo stesso seguito da Chris che per la cronaca verrà trovato morto nel cuore dell’Alaska con accanto il suo zaino. Sarà così che lo scrittore Krakauer, allora inviato di una rivista, fu incaricato di scrivere della vicenda “inspiegabile di questo ragazzo che all’apparenza aveva tutto e che trovò la sua felicità a migliaia di chilometri da casa.
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Tratto da Il Secolo d’Italia del 13 gennaio 2008.
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