E’ opinione generale, che tale libro sia uno Schlüsselroman, cioè un romanzo a chiave, nel quale le vicende e gli stessi personaggi hanno un carattere simbolico e si riferiscono a rivolgimenti e forze in atto ai nostri giorni, avendo dunque il valore di mezzi espressivi fantastici per una idea precisa. Il centro di questo nuovo libro, scritto dallo Jünger nel 1939, è il contrasto fra due mondi. L ‘uno è quello della “Marina” e dei pascoli, sovrastati dalle “scogliere di marmo”; è un mondo patriarcale e tradizionale, ove la vita nella natura e lo studio della natura hanno per controparte una superiore saggezza e un simbolo ascetico e sacrale incorporato eminentemente, nel romanzo, dalla figura di Padre Lampro.
Di contro al mondo raccolto presso le ” scogliere di marmo” sta quello delle paludi e dei boschi, ove signoreggia una paurosa, diabolica figura che lo Jünger chiama l’Oberförster (tradotto con “Forestaro”): è, questo, un mondo ” elementare “, di violenza, di crudeltà; di ignominia, di disprezzo di ogni valore umano.
Il tono della vicenda fantastico-simbolica descritta con arte magistrale dallo Jünger è da “crepuscolo degli dèi”. Il mondo del Forestaro finisce col sopraffare quello della Marina e delle Scogliere di Marmo.
La civiltà e i costumi della Marina sono alterati da processi di corruzione oculatamente diretti, l’anarchia vi si infiltra e non trova nessuna remora in uomini d’azione capaci davvero di imporsi, di far fronte al nihilismo ed alla distruzione. Nel momento del massimo pericolo, due uomini cercano di assumere l’iniziativa di una azione liberatrice.
L’uno, Braquemart, incarna una volontà di potenza e una teoria del superuomo e della superazza alla nietzschiana, teoria che qui si risolve essa stessa in una forma di nihilismo ed è condannata nella sua astratta cerebralità e nella sua mancanza di spontanea grandezza, a fare il giuoco dell’avversario, a cui Braquemart cerca di contrapporsi usando le sue stesse armi.
Lo Jünger, nel proposito, scrive: “In questo ambito occorreva intervenire ed erano quindi necessari ordinatori e nuovi teologi, cui il male fosse noto nelle sue apparenze e nelle sue radici; e solamente allora avrebbe giovato il taglio delle spade consacrate, a guisa di un fulmine nelle tenebre. Per queste ragioni dovevano i singoli vivere con chiarità e forza d’animo anche maggiore, secondo una disciplina più severa, testimoni di una nuova legittimità. Anche chi voglia vincere una breve corsa si assoggetta ad una adatta disciplina; ma qui erano in giuoco i beni supremi, la vita spirituale, la libertà, la stessa dignità umana. Per certo Braquemart riteneva esser, coteste, vane chiacchiere e progettava di ripagare il vecchio (il “Forestaro”) con ugual moneta, ma aveva perduto il rispetto di se, e da ciò ogni rovina ha fra gli uomini il suo principio”.
L’altra figura del mondo della Marina è il principe di Sanmyra, simbolo di una nobiltà ormai spossata. I segni della grandezza tradizionalmente innata, la nobiltà d’animo e la prontezza al sacrificio audace ed eroico si accoppiano in lui alla decadenza propria a ciò che vive unicamente come un retaggio del passato, come un’eco, come qualcosa che è meno nostra che non una proprietà dei morti.
Perciò l’unione delle due figure è come quella di una tradizione crepuscolare congiunta ad una artificiale teoria della potenza, più capace ad accrescere il deserto che non a conferire alla prima una forza nuova. Perciò i due da soli tentano un disperato colpo di mano contro il Forestaro, ma vi perdono la vita e non possono arrestare la catastrofe. Ne può arrestarla lo scendere in campo di Belovar, colui che rappresenta le forze residue della civiltà patriarcale ancora intatta.
L’opera di disgregazione sotterranea si è ormai portata troppo lontano, i “vermi del fuoco” organizzati dal Forestaro son ormai troppo numerosi e troppo potenti. Le forze scatenate del mondo della foresta e delle paludi non possono essere trattenute. Belovar cade nell’ultima, disperata battaglia, dopo di che ferro, fuoco, morte e distruzione si abbattono su tutto il mondo della Marina e delle Scogliere di Marmo.
Padre Lampro, che è il custode del Mistero, della tradizione sacra e della contemplazione, scompare fra le fiamme nel crollo del suo tempio. L’ultimo suo atto è di benedire la testa mozza del principe di Sanmyra, sacrificatosi nell’estremo tentativo e quasi trasfigurato, in esso, da una luce superiore. Arde anche l’Eremo della Ruta, rifugio dello studioso e del saggio, simbolo di umanistica disciplina e di quasi goethiana contemplazione della natura.
Da tutto il mondo della Marina, ormai in fiamme, solo qualcuno riesce a fuggire, con una nave, recando seco, come una reliquia, appunto quella testa mozza, la quale solo molto più tardi, incastonata nella prima pietra, doveva servir di fondamento ad una nuova cattedrale.
Ma per quel ciclo, per quel mondo legato alle Scogliere di Marmo, il trionfo delle potenze scatenate dal Forestaro è l’ultima parola. E l’unica speranza nella tragedia è che proprio l’esperienza del fuoco distruttore sia, per il singolo, un principio di rinascita, la soglia per passare in un mondo incorruttibile.
Nel mondo ideale proprio al nuovo libro simbolico dello Jünger si ha dunque quasi un ritorno a valori, che nel precedente non stavano di certo in primo piano. Molti elementi fanno pensare, che si tratti, qui, di una specie di bilancio negativo proprio del mondo “elementare” epperò, in buona misura, anche del mondo dell’operaio”.
Le forze scatenate che distruggono le città della Marina, dopo aver travolto sia la sopravvivenza generosa, ma pure stremata, della civiltà del Secondo Stato, sia gli artificiali, nihilistici rappresentanti della semplice volontà di potenza e, infine, in Belovar, le poche energie ancora schiette e legate alla terra – queste forze del “Forestaro” danno ben l’impressione del mondo della “mobilitazione totale” , del mondo del Quarto Stato e del “tellurismo” rivoluzionario giunto al limite e rivelante alla fine la sua vera natura.
Con l’avvento di tali forze nelle terre della “Marina” non è il mondo della borghesia, dell’individualismo o del Terzo Stato che crolla, ma un mondo della qualità, della personalità, dell’ascesi, della tradizione misterica e sacra, della “cultura” in senso superiore.
E’ lo stesso Jünger, già assertore della guerra totale e quasi estrema istanza a se stessa, che ora riconosce che “il coraggio guerriero non è il valore supremo”; che è inevitabile andare incontro al mondo della “selva” e del Forestaro quando, insieme alla forza, non si possegga un principio superiore, una legittimazione, per così dire, dall’alto, come quella simboleggiata dalla figura dell’asceta travolto lui stesso nel crollo del tempio in fiamme, dopo l’ultima benedizione.
Tolti i suoi lati apocalittici, il nuovo libro dello Jünger ha dunque un contenuto profondo.
Una chiaroveggenza lo pervade, superiore di certo a quella del periodo di Der Arbeiter, adeguata alla serietà di questi tempi.
Il fenomeno dell’irruzione dell'”elementare”, come si è già detto, è reale: e reale è anche il processo di enucleazione di un nuovo tipo, realistico, eroico, impersonale, capace di un controllo e d’un’azione assoluta, proteso verso una assunzione totale della vita. Anche se il mondo di questo nuovo tipo non corrisponde proprio a quello del “Forestaro”, anche se esso ha lasciato dietro di se il periodo delle distruzioni e dell’anarchia e nel suo avvento non si celebrino solo varie forme di quello del Quarto Stato, pure gli orizzonti non si schiariranno, e un temibile destino non sarà prevenuto, fino a che come controparte non si avrà appunto la tradizione spirituale nel senso più alto, un Ordine non nella prima assunzione soltanto attivistico-guerresca dello Jünger, ma appunto con riferimento a valori trascendenti, alle file segrete di qualcosa “che non è di questa terra” e che forse fino ad oggi è stato ancora custodito.
Il volto dell’epoca che viene dipenderà certamente dalla misura in cui, malgrado tutto, questa possibilità si realizzerà.
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