Il recente film di Oliver Hirschbiegel Der Untergang (La caduta), sugli ultimi, drammatici giorni di Berlino, costituisce un’importante testimonianza storica. Vi vediamo rappresentati sul grande schermo, senza le eccessive deformazioni propagandistiche che contrassegnano la maggior parte delle pellicole sulla guerra, i sanguinosi eventi che segnarono la caduta dell’Europa e il suo tragico asservimento alle potenze vincitrici del conflitto. Pur se con alcuni limiti piuttosto vistosi, La caduta rappresenta una straordinaria novità. Dopo sessanta anni dalla fine della guerra, sinora ben pochi film di una certa consistenza erano stati girati, per così dire, con l’occhio degli sconfitti: l’unico che ci venga in mente è U-Boot 96 di Wolfgang Petersen, anch’esso caratterizzato da analoghi toni tragici e dalla significativa caratterizzazione dei protagonisti, pronti ad affrontare con rassegnata determinazione e alto senso del dovere tremende sciagure.
La caduta prende le mosse nel novembre 1942 a Rastenburg nella Wolfsschanze, la “Tana del lupo” sede del quartier generale del Führer, nei boschi della Prussia sudorientale: viene rappresentata l’assunzione della segretaria personale Traudl Junge (Alexandra Maria Lara) da parte di Hitler (Bruno Ganz). La vicenda si sposta poi rapidamente alla fine di aprile 1945 e segue le vicende della Junge e del personale della Cancelleria del Reich sino alla fine della guerra. I personaggi che si alternano sullo schermo, con l’eccezione di un mostruoso dottor Goebbels (Ulrich Matthes), Ministro della Propaganda e Gauleiter di Berlino, sono ben rappresentati dal cast di attori. Spiccano in particolare tra questi le figure dell’SS Brigadeführer Wilhelm Mohnke (André Hennicke), cui Hitler aveva affidato la difesa militare del centro di Berlino, dell’architetto Albert Speer (Heino Ferch) e dell’aviatrice Hanna Reitsch (Anna Thalbach), che pilotò l’ultimo aereo che raggiunse Berlino assediata. Vi è una cura minuziosa e tutta tedesca nella ricostruzione dei minimi particolari, dagli ambienti alle uniformi, che testimonia l’accurato lavoro di ricerca che è stato svolto per la preparazione del film (ha assistito il regista lo storico Joachim Fest, autore del libro su cui la pellicola si è principalmente basata).
Al di là di ogni agiografia, la battaglia di Berlino si situa in un territorio in cui la vicenda storica si confonde col mito, o meglio, per citare le parole di Adriano Romualdi, «ogni breve episodio si cristallizza nella memoria dei secoli, ogni figura subisce una stilizzazione eroica, ogni battaglia diventa epopea e mito». E il film di Hirschbiegel riesce a trasmettere questa sensazione proprio attraverso uno spinto e crudo realismo, sebbene vengano lasciati in secondo piano almeno due aspetti che avrebbero meritato una maggiore attenzione. Anzitutto, viene completamente ignorato il significativo apporto di volontari di ogni nazionalità accorsi alla difesa di Berlino; furono proprio alcuni di costoro, francesi della divisione SS Charlemagne e scandinavi della SS Wiking, gli ultimi difensori della Cancelleria. In secondo luogo, cosa forse ancor più grave, gli invasori russi restano per tutto il film in una sorta di zona d’ombra, su cui la telecamera sembra non voler indugiare; la stessa lotta e la determinazione con cui essa viene condotta dai Tedeschi appare come qualcosa di puramente astratto, quasi come se i difensori di Berlino non sapessero quale destino di violenze, di eccidi di massa, di deportazioni e di riduzione in schiavitù sarebbe di lì a poco toccato alla nazione; gli innumerevoli suicidi di civili e militari cui si assiste lungo tutto il corso del film sembrano dettati quasi in via esclusiva dal dolore per la sconfitta militare e il crollo del nazionalsocialismo, ma pressoché per nulla dalla coscienza di ciò che sarebbe arrivato, di lì a poco, a prenderne il posto.
Colpiscono, poi, alcuni personaggi solo apparentemente secondari, come i giovanissimi cacciatori di carri della Hitlerjugend che sacrificano la loro vita, la sempre allegra Eva Braun (Juliane Köhler) che segue con animo lieve Hitler sino al suicidio, e i sei figli di Goebbels uccisi dalla madre col cianuro, perché non sopravvivessero alla fine di un mondo. L’epilogo del Terzo Reich è stato definito Götterdämmerung, la caduta degli dei preconizzata dall’Edda: e in effetti rare volte nella storia si è assistito a un crollo così tragico di un mondo, tra le fiamme e le macerie. Al di là dei limiti segnalati, la rappresentazione cinematografica che ne è stata data da Hirschbiegel rievoca in modo piuttosto efficace quei giorni eroici e terribili.
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