Franco Rendich con il suo L’origine delle lingue indoeuropee. Struttura e genesi della lingua madre del sanscrito, del greco e del latino (II ed. riveduta e ampliata, Palombi Editori, Roma 2007, pp. 424, € 24,00) espone una nuova teoria sull’origine e la formazione delle più antiche radici verbali alla base delle lingue indoeuropee avvenuta nelle sedi iperboree prima dell’inizio delle migrazioni verso sud che in vari periodi raggiungeranno l’Iran, l’India, l’Anatolia, i Balcani e la penisola greca, l’Italia e le altre lande europee. Migrazioni che originavano dall’antica patria artica degli indoeuropei, giuste le opere del Tilak[1]. L’Autore tenta di dimostrare che i suoni delle lettere dell’alfabeto delle lingue indoeuropee, presi singolarmente, non erano privi di significato. Crede, infatti, che sin dall’inizio i suoni delle consonanti e delle vocali avessero un preciso valore semantico.
La ricostruzione dell’indoeuropeo compiuta nel testo parte dal presupposto che i nomi dati alle cose non sono nati arbitrariamente, senza un nesso logico con le cose nominate, bensì “mettendo insieme” i suoni di consonanti e di vocali così da poter descrivere almeno un carattere essenziale delle cose nominate, o almeno un aspetto dell’azione svolta dal soggetto. Degne di nota le connessioni evidenziate fra la prima lingua indoeuropea e la teologia delle acque. La natura divina delle Acque che sarebbe stata all’origine del sentimento religioso occidentale (in senso lato).
Da segnalare l’avvenuta pubblicazione della nuova edizione di un classico degli studi indoeuropeisti, da lungo tempo attesa: le Origini indoeuropee di Giacomo Devoto (Edizioni di Ar, Padova 2008, pp. 576, € 60,00). Quella del Devoto è una vera summa, sostenuta dal più severo e limpido rigore scientifico, ricca di un immenso patrimonio di notizie geografiche, antropologiche ed etnologiche che non può ne dovrebbe essere ignorata da chi mostra interesse alle nostre origini.
Seppur con ritardo vale di essere consigliato Il paese dei Tirreni. Śerona toveronarom di Claudio De Palma (Olschki Editore, Firenze 2003, pp. X-196, € 23,00) il quale partendo dall’ormai famosa stele di Kaminia (Lemno) ci guida alle varie presenze tirreniche d’Oriente e d’Occidente: dall’area egeo-anatolica alla penisola iberica. Secondo l’Autore e secondo molti altri studiosi che l’hanno preceduto l’etnico tirreno deriva “dal teonimo turan, la Dea Madre dei Tirreni, assimilata in età storica alla greca Afrodite” (p. 102). E tur-an è interpretato come ‘Colei che dona’. Significato da integrare in ‘Colei che dona la vita’ avendo presente che si tratta della Madre di tutti gli Dei e di tutti gli esseri viventi.
“Potremmo identificare in Turan la Cibele venerata sul monte Ida nella Troade, protettrice della città che da essa aveva preso il nome: tarui-sa in un documento dell’archivio di Hattusa, la stessa Dea, chiamata da Omero Afrodite, che proteggeva Enea, l’eroe che avrebbe trapiantato in suolo italico i Penati della sua città, e l’avrebbe fatta rivivere in un’altra grande città: Roma tirreno-latina.”
“La città di Troia è chiamata in etrusco truia, dall’iscrizione di settimo secolo sull’oinochoe della Tragliatella” (p. 103).
Interessanti anche le considerazioni concernenti la formazione dell’etnico rasenna.
“Si può affermare che il settore delle religioni italiche sia stato relativamente trascurato dagli storici o, più esattamente, che solo occasionalmente essi abbiano prodotto, in questo campo, ricerche ad ampio raggio o studi approfonditi su singoli istituti o su figure divine”. Così l’incipit della prefazione di Enrico Montanari al libro di Flavia Calisti Mefitis: dalle madri alla madre. Un tema religioso italico e la sua interpretazione romana e cristiana (Bulzoni Editore, Roma 2006, pp. VI-338, € 23,00).
Un libro che merita “di venire accolto nella tradizione degli studi storico-religiosi. Per di più esso tenta la via, sempre ardua e precaria, di una collaborazione fra ricerche di taglio classicistico e quelle di indirizzo antropologico” (p. IV). L’Autrice riesce a coordinare i dati archeologici con quelli storico-religiosi e le fonti classiche e a spaziare dai santuari della dea nella Valle d’Ansato in Irpinia e a Macchia di Rossano in Lucania per giungere a Cremona, a Roma dove, forse, fu evocata e agli altri siti dove il suo culto è attestato.
Tra l’altro il libro non risente del pregiudizio primitivista “riguardante le religioni antiche: è vero che spesso le divinità erano legate ad elementi della natura, ma la venerazione loro tributata non era certo dovuta a tale aspetto; non si tratta di religioni animiste giunte ad un livello superiore di espressione, bensì di religioni strutturate ed articolate, che riversano sulle figure divine venerate funzioni ritenute basilari per l’esistenza del gruppo e che accolgono, accanto all’elemento fisico, che potrebbe assurgere a ruolo di simbolo, un’infinita serie di risvolti e di problematiche” (p. 13-14).
Un’originale ed interessante ricerca sullo spazio augurale romano è quella che ci fornisce Elio De Magistris col volume Paestum e Roma quadrata. Ricerche sullo spazio augurale[2] (Guida, Napoli 2007, pp. 240 € 16,50). Lo schema interpretativo proposto dall’autore, Ricercatore di Topografia dell’Italia antica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Salerno, come evidenzia Giovanni Maria De Rossi nella premessa, “diventa così una chiave di lettura per rintracciare legami perduti e sciogliere nessi oscuri; in effetti, prima d’ora sarebbe stato difficile immaginare che la Roma quadrata di Varrone ed il pomerio tacitiano dipendessero dal sistema organizzativo dello spazio usato dal collegio augurale. Analogamente, allo stesso sistema è riconducibile la funzione dei culti di Juventas e Terminus, a lungo ricercata e la cui incomprensione faceva di Terminus, in particolare (…) ora riconquista tutta la sua dignità di confine dello spazio più importante di Roma: lo spazio nel quale è lecito interloquire con Giove, fuori del quale si ha il vitium che porta con sé il blocco delle attività pubbliche di magistrati e assemblee” (p. 9).
La ricerca del De Magistris conferma che lo spazio religioso ed augurale dell’urbe è organizzato anche su capisaldi temporali definiti dal moto apparente del sole, oltre che sulla successione stagionale dei culti. Come Mircea Eliade insegna, la fenomenologia religiosa condiziona la percezione e l’organizzazione di spazio e tempo. “detto con le parole di Furio Camillo, i Romani sono e saranno tali solo rimanendo in quello spazio scandito da culti peculiari e inamovibili, sui quali si organizzano i tempi della città. Le conferme topografiche, precise ed ineludibili, a tali ragionamenti sono messe in evidenza dall’autore, che non manca di sottolineare quanto ne sia interessata la struttura funzionale della società romana, al punto da sostenere che chi mette le mani su questo sistema di equilibri irripetibili lo fa per impadronirsi della res publica” (p. 10).
Con il titolo Sanctorum Quattuor Coronatorum Tabularia A. MMVIII E.V. (Acadèmia editrice d’Italia e San Marino, Bologna 2008, pp. 288 s.i.p.) è stato pubblicato il primo volume di studi e ricerche organizzato dalla Loggia “Sancti Quattuor Coronati” aperto a lavori non solo dei membri della loggia ma anche ad autori esterni, diligentemente coordinati da Mikaela Piazza. Raccoglie studi multilaterali e multidisciplinari le cui tematiche spaziano in vari campi di ricerca suddivisi per comodità redazionale in quattro settori: dell’Ordine Massonico e del Rito Scozzese Antico ed Accettato; i Santi Quattro Coronati e la tradizione iniziatica; culti, simboli, riti; i saperi massonici: filosofia, scienza, storia, culture.
Fra i vari contributi ci piace segnalare, senza nulla togliere agli altri, seguendo l’ordine di pubblicazione nel libro: Il misterioso potere che dirozza la pietra. Da Valeria Luperca ai Santi Quattro Coronati del nostro Renato del Ponte; Brevi variazioni sul tema platonico di Er, figlio di Armenio, nativo della Panfilia di Gian Franco Lami; Deo Soli Invicto Mitrae: i misteri iniziatici nella Roma imperiale ed il Mitreo del Circo Massimo di Antonio Insalaco; Il Pitagorismo e la numerologia: spunti per una riflessione di Anna Maria Gammeri; Kami no michi – La via degli Dei di Giovanni di Ruffia Solero.
Dulcis in fundo un libro che ricostruisce la plurimillenaria storia della nostra martoriata frontiera orientale: Il confine d’Italia in Istria e Dalmazia. Duemila anni di storia (Edizioni Think Adv, Venezia 2007) di Luigi Tomaz[3] autore oltre che del testo anche delle illustrazioni comprese la rigorosa ed esaustiva cartografia.
Nel lungo saggio di presentazione Arnaldo Mauri, Decano della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, riconosce che il metodo dell’analisi storica compiuta dal Tomaz “è rigoroso, non vi è posto né per animosità né per interpretazioni distorte o di fantasia. L’Autore, pur non nascondendo i propri sentimenti di profugo dell’isola di Cherso, una delle terre irrimediabilmente perdute dall’Italia, si sforza di essere sereno ed obiettivo, anche se, ovviamente, non si può ragionevolmente pretendere da lui un assoluto distacco dai temi trattati. La sua opera non mira a suscitare polemiche, ma, semmai, a conferire chiarezza a certi episodi meno noti o volutamente mantenuti oscuri delle complesse vicende storiche dell’area adriatica” (p. 6).
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[Pubblicato in: “La Cittadella”, IX, n.s., 34, apr.-giu. 2009, pp. 75-79].
[1] Edizioni italiane delle opere curate da R. del Ponte: B. G. Tilak, Orione, a proposito dell’antichità dei Veda, Genova 1991; B. G. Tilak, La dimora artica nei Veda, II ed. con app. La cronologia vedica, Genova 1994.
[2] Il Cap. XII “Auguraculum, pomerium e mura della città” è stato pubblicato on line in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione romana 6 = http://www.dirittoestoria.it/6/Monografie/De-Magistris-Auguraculum-pomerium-mura.htm.
[3] Del quale ricordiamo In Adriatico nell’Antichità e nell’Alto Medioevo, recensito nella nostra Rassegna bibliografica (“Arthos”, n.s., VIII, 12, 2004, pp. 248-249).
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