Evola e la Cultura: un tema dalla vaste implicazioni e dalle molteplici possibilità di sviluppo. Per quanto ci riguarda, cercheremo di cogliere i referenti culturali ed esistenziali che stanno a monte della produzione specificatamente speculativa del pensatore romano. Ciò alla luce del fatto che, gli scritti filosofici di Evola, non solo rappresentano il cuore vitale di tutta la sua elaborazione teorica, ma seguono, dal punto di vista della periodizzazione della sua produzione, al momento propriamente artistico, e sono contemporanei al maturare dello stesso interesse esoterico. Pertanto, nonostante l’ulteriorità in divenire, sia peculiarità pratica prima che teorica di Evola, l’individuo assoluto sarà, fino alle ultime opere e agli ultimi giorni di vita, termine ineliminabile di un confronto che Egli visse innanzitutto con se stesso e, quindi, con l’esistenza.
Del resto, i primi decenni del secolo XX, in Italia e in Europa, videro il prodursi di grandi cambiamenti storico-politici: dall’esplodere del primo conflitto mondiale e della rivoluzione russa, all’affermarsi del fascismo. Questi avvenimenti facevano seguito a una profonda rivoluzione intellettuale che li aveva, in parte, determinati. In campo filosofico, nel nostro paese, in quegli anni, si assisteva all’affermarsi del neo-hegelismo, le cui radici risorgimentali si svilupparono nei sistemi crociano e gentiliano: l’opera filosofica di Evola si afferma in questo contesto intellettuale, come tentativo di superamento dell’hegelismo, in particolare della sua declinazione attualista. E’ tra il 1917 e il 1924, che Evola elabora il suo sistema teoretico, anch’esso impregnato, prevalentemente, di riferimenti alla cultura di lingua tedesca, ma non solo. In esso sono facilmente rintracciabili riferimenti al personalismo francese, oltre che all’ultimo Schelling, a Stirner, a Schopenhauer, ma soprattutto a due autori della mitteleuropa Weininger e Michelstaedter.
Come è stato rilevato (Di Vona): “..Fu il pensiero allora nuovo ed insolito di Michelstaedter che l’attrasse, tanto da desumere da lui, oltre che una forte ispirazione, la stessa idea dell’individuo assoluto”. Ora, se si vuol capire la reale portata della proposta evoliana, è necessario riferirsi all’esperienza radicale, onesta e sincera, del filosofo goriziano. Questi aveva teorizzato la persuasione, l’assoluta sufficienza a se stesso dell’io, il possesso attuale della vita, fin dal 1910, quando, dopo aver terminato la sua tesi di laurea, il 17 ottobre, si tolse tragicamente la vita, con un colpo di pistola alla tempia. Di Michelstaedter Evola aveva sentito parlare dal cugino Emilio, suo amico, nonché curatore della seconda edizione delle opere di Carlo. La lettura delle pagine della Persuasione e la rettorica fu, per Evola, una rivelazione. Egli vide nel goriziano : “ ..uno degli scrittori che nell’epoca moderna hanno affermato l’esigenza dell’individuo di assurgere ad un essere, ad un valore assoluto mettendo fine a tutti i compromessi con cui si maschera l’abios bios”.
Evola ritiene che valore sia da individuarsi in ciò che esiste per se stesso, che non chiede a nulla il principio della propria vita, della propria potenza: l’autarchia. L’esito ultimo dell’attualismo era stato, al contrario, di carattere gnoseologico, incapace di saldare il dualismo di verità e libertà, di pensiero e vita. Il persuaso michelstaedteriano realizza, invece, la sintesi di conoscenza e azione. Il suo agire è conoscere, il suo conoscere è agire. L’essere non è più semplice oggetto di teoresi, ma lacerante mancanza, svelata all’uomo dalla voce persistente del dolore che spinge al superamento di questa condizione dimezzata. La contemplazione del dolore e della morte sono in grado di trapassare la fitta tela tessuta dalla rettorica, e ci permettono di perseguire il beneficio della persuasione. Ad essa si giunge superando la componente desiderativa-samsarica (si, i due pensatori avevano in comune la stessa attenzione per il buddismo: un buddismo attivo e virile, in cui la shakti, l’infinita potestas cosmica, svolge un ruolo di primo piano) che reifica, attraverso il legame stabilito dalla correlatività di coscienza, l’uomo rettorico, condannandolo a una vita di dipendenza. Tale uomo rinvia al futuro, che si dilata sempre davanti a ogni presente, il possesso della vita. Egli vive inseguendosi negli istanti successivi, come ben esemplifica la metafora del peso michelstaedteriana, desunta da Schopenhauer, finchè l’incidente della morte non chiuda definitivamente il conto.
E’ stato notato che la richiesta di consistenza esistenziale nasce, nel filosofo isontino, come in molti altri autori di quel periodo, dalla polemica anti estetica inaugurata da Kierkegaard: ciò consente di definire, quindi, non soltanto transidealismo la filosofia di Evola (De Mattei), visto il rapporto, sia pur critico, intrattenuto con Gentile, ma anche transesistenzialismo (Negri), atteggiamento speculativo che sarebbe stato mutuato dall’influenza di Michelstaedter. Tema del quale chiariremo le prospettive nel corso del nostro intervento.
Resta il fatto che, più della descrittiva esistenziale, agì su Evola il coraggio dell’impossibile, proprio della persuasione, rinviante a una dimensione eminentemente pratica. Infatti, l’eleatismo svolge nel pensiero del goriziano la funzione critica di destrutturare la negatività dell’inconsistenza rettorica, nonché di modello, comunque improprio, della persuasione. Infatti, la via che conduce a essa, non è per tutti, non può essere indicata o suggerita, ma realizzata individualmente: deve dar luogo a una effettiva rottura di livello ontologico esistenziale. La lingua del persuaso è il modo imperativo, che rappresenta l’esigenza etica per eccellenza. Per questo, molti tra i più avveduti interpreti di Michelstaedter, hanno parlato della sua filosofia in termini di esperienza mitica, utopica o mistica.
L’indistinzione gnoseologico-ontologica originaria, viene riaffermata in termini etici e volitivi dal filosofo. La persuasione non è un processo concettuale, ma atto: un atto non agente: “Essere persuaso e persuadere, avere nel possesso del mondo il possesso di se stesso, essere uno egli ed il mondo”. Su questa strada, Michelstaedter ha incontrato: “il cammino delle antiche religioni misteriche presocratiche, nelle quali la scoperta del vero sé coincide con l’atto dell’indiarsi, è quello stato dell’essere che apre la comunicazione con il divino” (Carchia) in una prospettiva decisamente post-metafisica. Non è quindi casuale che Evola, nei Saggi sull’idealismo magico, e nelle altre opere sistematiche, guardasse a Michelstaedter come a un predecessore. Egli ritiene che, postulando la persuasione, Michelstaedter abbia relegato vita corporea e natura alla dimensione del non valore (in linea con le tendenze fondamentali del suo ebraismo di provenienza). Di converso, secondo Evola, il valore sta per Michelstaedter nel permanere spazio – temporale. Quindi, per Evola: “il punto della persuasione… avrebbe il senso di una consunzione cosmica”. Di fatto l’insufficienza michelstaedteriana è spiegata, dal pensatore tradizionalista, attraverso il riferimento all’aristotelico atto impuro, cioè quello proprio delle potenze che non giungono da sé all’attualità. Il limite di Michelstaedter è colto da Evola nell’aver posto, questi, il mondo come non valore e poi aver sviluppato il concetto di persuasione in antitesi a questo non valore. E’ l’io, per Evola, che pone la privazione come momento da superare e da negare. Quindi la persuasione è da vivificare con un principio dinamico, con una ulteriore radicalizzazione, in senso prassista, del misticismo michelstaedteriano.
E’ il momento del magismo evoliano. Non è casuale, negli stessi anni, la frequenza di Kremmerz e del maturare degli interessi orientalistico-realizzativi, mai disgiunti da una visione del mondo che esclude, in modo netto, il richiamo fideistico o, comunque, appigli al trascendente. Ciò è testimoniato dalla collaborazione evoliana, tra il 1924 e il 1928, a L’Idealismo Realistico di Vittore Marchi, rivista di simpatie massoniche e mazziniane. Sulle sue pagine Evola svilupperà una polemica anti guénoniana, motivata dal suo occidentalismo trans-formativo che, allora, mal si conciliava con l’intellettualismo metafisico del tradizionalista francese (con il quale la riconciliazione avverrà circa dieci anni dopo). In altro articolo, sulla stessa rivista, si palesano, a nostro giudizio le vere coordinate dello sviluppo del pensiero evoliano: ci riferiamo a Dualismo cristiano e dionisismo nella filosofia mistica di Pietro Zanfrognini, del luglio del 1926, testo nel quale emergono profonde consonanze con la visione della grecità propria di Michelstaedter.
Alla luce di ciò che si è riferito risulta quantomeno paradossale che la critica, poco o nulla, si sia occupata del rapporto Michelstaedter – Evola. La lettura evoliana di Michelstaedter sembra aver colpito, tra gli esegeti della persuasione, solo Giorgio Bergamaschi, studioso dell’Università di Padova. Questi ritiene che per Evola occorresse: “restituire all’umanità il senso di episodio, di possibilità, poiché l’uomo non comincia e finisce in se stesso, ma va oltre le proprie condizioni corporee e spazio temporali per poter congiungersi con la potenza e la libertà dell’infinita potestas”. Inoltre, Evola, per Bergamaschi, tende a ricondurre la persuasione, servendosene per costruire il suo idealismo magico, a presupposti non filosofici, ma ermetico-realizzativi. Poiché, anche per Evola, il cogito, il soggetto astratto, non dà luogo al sapere ma, semmai, al voler sapere, Egli ricava da Michelstaedter questo monito: “Agire, non speculare”. L’individuo per divenire assoluto deve sintonizzarsi all’infinita potestas cosmica: una metafisica della pura potenza, quindi, quella dell’individuo assoluto che, per Bergamaschi, rappresenterebbe una deformazione interpretativa della persuasione di Michelstaedter. Il suo giudizio è così radicalmente negativo poiché la potenza evoliana è letta in termini di mero dominio esteriore, il cui correlato immediato è la violenza. Ma dominio e potenza in Evola non hanno in sé nulla di cosale (Lami), e sono termini attinenti ad un conseguito controllo psichico, di natura, come si vedrà, platonica. Basta leggere il testo evoliano: da esso emerge in termini chiari ed espliciti che il filosofo romano, come Michelstaedter, ha mirato a una realizzazione trascendentale dell’individuo, a una verticalizzazione dell’esistere, a una ontologizzazione dell’esistenza: “ L’atto creatore, l’atto di potenza, che non è atto di desiderio o di violenza, ma atto di dono, anziché distruggere il perfetto possesso, lo testimonia e lo riconferma”. L’individuo assoluto è, pertanto, la possibile soluzione pratica della filosofia della persuasione.
Ciò non implica, per altro, il dover leggere la filosofia di Michelstaedter come pensiero del dominio, poiché neppure Evola appartiene a questo orizzonte speculativo. Errano, quindi, anche gli interpreti di scuola severiniana di Michelstaedter, come Brianese, al quale pur si devono una monografia e una serie di saggi interpretativi assai stimolanti, nel collocare la filosofia della persuasione tra quelle anelanti al dominio assoluto e totale, al di là di quello parziale realizzato nella dimensione della pura rettorica. Pensiamo che i due pensatori, oggetto di questa nostra comunicazione, abbiano sviluppato filosofie della liberazione o dell’auto-liberazione, di energeias en argian, che si collocano lungo il crinale della crisi della modernità, per proporsi come ricerche di un approdo immanente al valore. Persuaso e individuo assoluto sono due figure, due metafore, due tentativi di portarsi oltre la linea del nichilismo e configurantesi, in via preliminare, come antropologie inattuali. Per questo, l’atto di entrambi, è il risultato di un protratto Streben ordinante il singolo, la sua coscienza: è il far prevalere, in essa, la dimensione noetica, lo sforzo conoscitivo, interminabile, che pone in sintonia con le potenze cosmiche e i loro ritmi, e che distingueva, un tempo, la qualità propria dell’aner, da quella dell’animale anthropos. Ciò trasforma virtuosamente le qualità mentali dell’uomo, permettendo il recupero del ricordo, della memoria mitica. Il continuo autotrascendimento del dato vitale immediato costituisce, non scadendo mai in atteggiamenti esistenzialistici, la filosofia dell’esistenza propria dell’individuo assoluto e del persuaso.
Non si tratta tanto di distinguere, come si è fatto, tra un esistenzialismo negativo (assente anche in Michelstaedter), ed uno positivo. Si tratta, invece, di leggere l’analitica dell’esserci, presente anche nei due autori, come propedeutica al superamento di una condizione umana dimezzata, atteggiamento proprio di ogni dottrina tradizionale. Tale anelito del singolo non può non avere, pertanto, un esito politico. Evola, con Michelstaedter, ribadendo il primato aristocratico del vero, non si fa portatore di un ascetico distacco dal mondo, di una rinuncia alla città, al contrario indica la via del possibile ritorno alla città giusta, essendo il suo spirito animato da un inguaribile ottimismo (Lami). Certamente, il pessimismo cosmico-storico attribuitogli da De Felice, e il conseguente mito politicamente incapacitante, gli erano estranei. La sua filosofia nasce da un confronto con la vita, con la storia e con la cultura del proprio tempo che, ai problemi dell’uomo di quell’età, ha cercato di dare risposta e soluzione. Proprio per questo ha sbagliato chi ha voluto parlare della tradizione evoliana come sradicata da ogni percorso storico presente nell’effettualità, anzi, proprio il tendere incessante a vivere da individuo assoluto radica, chi si ponga lungo questo percorso esistenziale, nel contesto comunitario. Solo tendendo alla meta è, del resto, possibile proporsi come modello ordinante e attivo per i propri simili. Non è senza significato che, al libro di Negri su Evola, abbia fatto seguito un altro testo, dello stesso autore, dedicato a Michelstaedter, L’uomo e la città. In esso l’autore rivolge all’isontino le medesime critiche rivolte a Evola: individuo assoluto e persuaso escluderebbero dal proprio orizzonte la dimensione comune della vita, nonchè l’unico prassismo possibile, quello lavorista che, in ambito filosofico, non può che dar luogo alla gradualità gnoseologica, ben esemplificata dall’attualismo. Escluderebbero entrambi, nello impossibile tentativo di divinizzare l’esistenza umana, la ferialità dei nostri giorni. Riteniamo, al contrario, che solo ponendosi lungo gli itinerari dell’utopia evoliana, evitando il rischio di ridurla a un infantile tentativo di realizzazione letterale, che, inevitabilmente, la farebbe scadere in utopismo, sia possibile rendere, per così dire, festivo, nonostante tutto, il clima del nostro tempo limitato.
Insomma, la relazione Evola – Michelstaedtrer ci pare essenziale per decifrare filologicamente la filosofia del primo, il quale mai disconobbe la centralità del pensatore suicida per il proprio idealismo magico. Quando, infatti, ortopedizzò, nel 1949, la Teoria dell’individuo assoluto, tagliò radicalmente molte delle citazioni tratte da altri autori, ma non quelle riferibili a Michelstaedter (Melchionda). Del resto, il confronto con la filosofia della persuasione, crediamo permetta di collocare Evola nel vasto panorama filosofico europeo, vista la straordinaria anticipazione michelstaedteriana delle tematiche heideggeriane. E’ necessario oggi, soprattutto, tentare di dare risposte ai bisogni contemporanei. Evola stesso cercò di farlo in Cavalcare la tigre, modello teorico pensato in un epoca cronologicamente non lontana da noi ma, esistenzialmente e politicamente, assai diversa. Si tratterà di operare una sorta di adattamento dei precetti espressi in quell’opera alla realtà mercuriale del nostro tempo, anche sotto il profilo della disciplina interiore. In questo tentativo, ausilio fondamentale potrà essere tratto lungo la linea speculativa segnata dall’ontologia heideggeriana e, per altri aspetti, dal pensiero neosapienziale di Colli.
E’ paradossale come, nel mondo degli studi tradizionali, almeno rispetto a Guénon, l’importanza del confronto con Heidegger sia stato subito compreso (ci riferiamo al saggio di Leopold Ziegler, comparso sul numero unico di Etudes traditionélles del 1951, dedicato al pensatore francese) anche se, successivamente, nessuno lo ha più sviluppato in termini di effettiva analisi comparativa. Per quanto riguarda Evola invece, il discorso è diverso perché egli stesso, a più riprese, ha mostrato una incomprensione dell’opera del tedesco che, al contrario, coma ha rilevato Zecchi, avrebbe potuto essere un autore con il quale colloquiare. In fondo, la speranza nutrita da Evola nei confronti del fascismo, fu la stessa che portò Heidegger verso il nazismo, letto come movimento destinale. Rifacendoci a Daniel Cologne, in particolare al volume La révolution guénonienne, nel quale sostenne essere il pensiero di Evola una sorta di prolungamento politico del guénonismo, basato sull’utopia platonica adattata ai tempi moderni, possiamo affermare che la rivoluzione dei persuasi resta, a tutt’oggi, non solo la meta verso cui far convergere ogni sforzo esistenziale, ma anche ogni sforzo teorico, mirato, naturalmente, a dare risposte, comunque mai definitive, ai bisogni e alle speranze di questo tempo. Ciò è sicuramente possibile, in quanto l’individuo assoluto non è l’uomo di ieri o di oggi, ma rappresenta l’Uomo, l’ideale cui tendere nei giorni, ahimè, feriali della vita.
Lascia un commento