Nell’ambito della lotta dei valori tradizionali in rotta di collisione costante con la fase ferrica, si sono registrate diverse riprese e rinvigorimenti dello spirito tradizionale. La concezione dell’uomo in quanto essere nel mondo e del mondo, ha attraversato molte fasi nel corso dell’antichità, prima in ambito filosofico, poi con l’avvento del cristianesimo in discussione teologica. L’uomo come fautore di gesta, l’uomo come fautore e succube di un destino; l’uomo in contrasto con il Dio, l’uomo al servizio del Dio. Altresì fu messo in rapporto alla natura diabolica dei commentarii tardo romani, quando già i germi dell’ateismo più satanico (in senso etimologico) e disaggregante erano scoppiati tra le moltitudini, anche nelle sfere dei cosiddetti “sapienti”. La discesa – sarebbe meglio chiamarla con il termine già inflazionato di caduta, per chi scrive non fu un viaggio rettilineo all’interno di un crepaccio, ma un cadere – rialzarsi per poi scivolare – continuo. Nello spazio di pochi secoli si ci trovò di fronte ad un totale ribaltamento teo-ideologico, sociale e storico senza precedenti nel mondo antico. I secoli VIII e specialmente IX vedono un’affannarsi di moti contro-tradizionali che passeranno dal regicidio alla suddivisione animica dell’homo divinis, scaraventato dalle altezze olimpiche ai degradati stadi prometeici che tanto ci sono familiari nel nostro XXI secolo. I secoli centro-finali di quella che per parte della storiografia corrente é identificato come alto medioevo (V – IX sec.; pieno medioevo X- XV sec.) videro i prodromi della perdita di divinità propria dell’uomo, della giustificazione del/dei regicidi e dell’abbandono della divinità dal mondo, quello che porterà poi all’inarrestabile chiusura del ciclo (Kali Yuga) e al nichilismo pre-catastrofe dei tempi moderni.
Nell’intento di tracciare una sorta di minima concezione spirituale e storica dell’uomo, si è deciso di partire da quella della scuola Pitagorica, che probabilmente rappresenta la raffigurazione esoterica più chiara e ben delineata tra le molte proposte, ripresa anche in seguito da Platone. La visione microcosmica approccia lo studio super-normale dell’uomo identificandolo a sistema ordinato, un piccolo mondo, micro-cosmo organicistico nel quale tutto è armonico e riflesso cristallino del superiore, in un continuo gioco di sopra-sotto (ciò che sta sopra sta anche sotto), di ecoico e di eco-strutturale del divino. Homo, quasi un “ortus conclusus” del super-umano, un giardino chiuso del trascendente. Questa interpretazione ben si bilanciava con quella sapienziale greca, che parlava di aggregati eterici fondamentali e classici dell’uomo, formati da spirito, anima e corpo. I primi due slegati dalle meccaniche terrestri, se non per l’alloggiamento forzato nel corpo, prigione putrefattiva e terrestre, di carica negativa e tellurica. In ambito egizio (specialmente in fase tolemaica, dove si assiste ad una ripresa magico-iniziatica) si contraddistingueranno poi in Akh (forza divina/ibis); Ba (anima idealizzabile come phantasma della coscienza, raffigurata come la fenice – doppia simbologia di rinascita) e Ka, spirito o forza vitale. Le due energie spirituali avevano il compito post-mortem di traghettare l’alito (Pta) superiore verso l’altra riva, metaforicamente al di là del fiume Nilo, verso la terra dei morti. Il corpo, che doveva conservarsi il più possibile preservato e intatto, era sì caduco e terrestre, ma rappresentava (specie per quanto riguardava le dinastie sacro- regali) un’ancora fondamentale con il mondo dei vivi, cui la rescissione sarebbe stata fautrice di disastri e grave offesa all’ordine cosmico. La ricerca alchimistica, che già nei testi medievali effettua una ripresa diremmo quasi anastatica di conoscenze e saperi (attaccati nel frattempo da forze contrarie, le quali avevano tentato il tutto per tutto per annullare l’imponente corollario tradizionale) si fisserà sugli stadi fondamentali di Nigredo, Albedo e Rubedo. Parliamo della chiara trasposizione delle tre essenze, stavolta però invertite per poter essere sublimate e, dallo stadio più materico e ctonio (alcuni testi iconografici parlano del liquido nerastro attorno e dentro al cadavere, spesso circondato da corvi, estremamente denso e profumato) riportate all’essenza più pura e trascendente del cosiddetto “oro filosofale”.
Restando nell’ambito ristretto entro i cui confini vorremmo agire, si può riassumere dicendo che la triplice suddivisione è detta tricotomia classica:
Terra. Al mondo materiale corrisponde il corpo;
Psiche. Al mondo psichico l’anima;
Spirito. Al mondo spirituale il puro spirito.
L’analogia armoniosa che legherebbe il mondo alle sfere superiori e superne sarebbe precipuamente l’uomo, anellum caudalis di micro e macro cosmo.
Il concetto tripartito viene messo in discussione nei primi secoli dell’organizzazione statale e imperiale della cristianità e dei dogmi ad essa collegati, e già a partire già dai primi concili, per essere poi diametralmente salvato da intellettuali vicini all’area orientale bizantina (fors’anche per contrasto ideologico con la chiesa romana).
L’evento mistico dottrinale cui teniamo di tratteggiare i caratteri generali è certamente la fine della tripartizione spirituale e l’inizio della concezione anima- corpo moderna.
Possiamo notare come nell’approssimarsi del secolo VIII agisca una potente dissoluzione graduale della struttura politica e legale del mondo classico, che verrà sostituita dalle culture nascenti affermatesi nel continente dopo la caduta dell’impero di Roma. L’inserimento di potenti case regnanti, tutte di discendenza indogermanica, di cui molte destinate a regnare per un migliaio d’anni sull’Europa, provocò da un lato un cambiamento di rotta politico- spirituale, con l’inabissarsi dell’esperienza eroico- virile romana, dall’altro una incontrovertibile conservazione di un corpus di mitologemi, ideali, consuetudini e strutture puramente tradizionali (qualcuno direbbe iperboree) ad opera delle popolazioni teutoniche. Alcune di queste ataviche consuetudini legate al sangue, al ‘ruolo’ e alla sacralità della figura guerriera (che per alcuni popoli come i franchi, i goti e parzialmente i visigoti, facente parte anche di quella sacrale) videro una guerra senza quartiere all’approssimarsi del secolo successivo, nell’intento di spezzare ciò che non andava spezzato.
Nel IX secolo la battaglia delle forze dissolutrici e disaggreganti vide uno scagliarsi con impeto contro figure sacrali ed epifaniche, intrise di caratteri cristologici che dovevano sempre più fare i conti con una cultura nordico-eroica che tutto era fuorché di carattere tellurico. Se vogliamo accennare alla dinastia merovingia, desautorata e ‘tonsurata’ letteralmente e fisicamente nel tentativo di quasi magia nera, per annullare il potere divino dei rex sulla loro gens. Da notare il fatto che dopo la tonsura della chioma regale, attributo virile e sacrale da sempre caratteristico della stirpe franca, il pipinide Carlo Magno si affrettò a sposare una principessa merovingia e a incrociare altri membri della famiglia con principesse superstiti, in un’isteria legittimatrice per favorire la futura stirpe carolingia, regnante fino all’anno 880 circa. Il gesto contro – magico faceva sì che il potere sacrale si annullasse per il passato ma non per il futuro, cosicché restassero comunque in auge gli attributi magici. Un vero e proprio paradigma dei confusi tempi che vennero dopo.
L’evento mistico dottrinale che decretò la fine di questa visione complessa dell’uomo e, se vogliamo, spaziale dell’homus inteso come ‘organismo celeste in un celeste disegno’ sulla quale vogliamo porre l’accento, fu la fine della tripartizione spirituale, decretata nel concilio ecclesiastico di Costantinopoli dell’anno 869 della nostra era. L’annus horribilis pare fu annunciato da varie sciagure e saccheggi ai danni di templi cristiani nel mediterraneo e nel mare del nord, ad opera di azioni piratesche. Il concilio fu indetto da papa Nicolò I nell’ambito di una revisio doctrina et episcopis profonda. L’obiettivo più volte reiterato era la rottura definitiva con l’ala orientale della chiesa, interessata a visioni e suggestioni diverse. Accadde così che mentre le discussioni erano in corso, il papa proclamò (quasi con un’urgenza di rimettere le cose in chiaro) che l’uomo non doveva più essere considerato una tricotomia di spirito, anima e corpo; ma ridotto a semplice anima e corpo. La tricotomia diveniva così estromessa con un colpo di spugna dalla visione teologica cristiano- romana, relegando da quell’epoca in poi lo spirito a livello di pura e semplice qualità intellettuale e negandolo come qualità personale; l’uomo fu esemplificato come depositario di solo corpo e anima, quindi sottraendo di fatto una porzione divina dal mondo (oltre che dall’uomo). Lo scisma e i dibattiti senza fine che ne seguirono portò alla separazione tra chiesa d’Oriente e di Occidente, una frattura infausta e insanabile, che ancora oggi porta con sé ferite spirituali di ciò.
Dottrinalmente parlando, l’uomo era ridotto alla visione bidimensionale, tramite la quale con il solo ausilio materico dei sensi doveva approcciarsi alla rivelazione cristologica, paradossalmente proprio perché per sua natura extra corporea e ultra umana, diveniva una manifestazione monca di una parte fondamentale. Inutile aggiungere che, al già povero panorama ideologico dell’impianto cristiano, scevro di pulsioni superiori in senso tradizionale e assoluto, uno dei molti colpi assestati nel corso dei secoli fu inferto proprio dal suo stesso interno. Anselmo d’Aosta fu un recuperatore in tal senso, analizzando la vecchia visione umana in rapporto con quella post-dogma, e rivedendo per quanto gli fu possibile alcune interpretazioni carenti della stessa.
La visione di incontro-conservazione tra le forze superne e quelle inferiori agenti nel cosmo personale e proprio dell’uomo fu molto apprezzata e veicolata dalla scuola magico-teurgica del pieno rinascimento, con filosofi del microcosmo (e la tricotomia ad esso connessa) quali Cornelio Agrippa, Paracelso e il misticismo platonico del Campanella.
Riteniamo giusto aver delineato una minima introduzione storico-filosofica, che ha deliberatamente toccato la sola area mediterranea lasciando fuori la metafisica indù, le scuole manichee e altre visioni orientali, con la volontà precisa di restare in ambito specifico, e non allargarsi troppo verso ambiti generali (o peggio ancora generalizzanti) e orizzonti che meriterebbero dei seri studi futuri. La complessità della tripartizione della spiritualità umana e la sua successiva messa al bando ha di fatto desautorato prima ancora che l’uomo, il quale assieme alla natura e alla trascendenza che ne é parte non perde certo attributi superiori, quanto alla visione, l’idea stessa della ricerca spirituale in toto. Semplificando un sistema complesso si ha dato il via ad interpretazioni prima blasfeme, poi ateiste e infine nichiliste, rendendo la nostra vita sulla terra non meno collegata al cielo, solo molto più povera di ‘accessi’ per la conquista di esso.
Per ulteriori approfondimenti, rimandiamo alle opere citate in bibliografia, che hanno ispirato queste e molte altre riflessioni.
Giandomenico Casalino, Il nome segreto di Roma, Mediterranee, Roma 2003.
Id., Essenza della romanità, Edizioni Arya, Genova 2014.
Ernest Kantorowicz, I due corpi del re, Einaudi, Torino 2012.
Nicola Abbagnano, Storia della filosofia antica, UTET Torino 2013.
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