Nel III secolo si verificò in tutto l’impero romano una gravissima crisi economica e sociale definita dagli storici la “grande crisi”. Tale crisi determinò soprattutto quattro importantissimi fenomeni sociali: la crisi e il degrado delle città; violentissimi e sanguinosi conflitti sociali tra il proletariato urbano e l’ordine dei curiali che deteneva il potere economico, politico e sociale nelle città; il forte aumento dei fenomeni migratori in tutti i territori dell’impero romano e quel fenomeno socio-culturale che gli storici sociali definiscono la “democratizzazione della cultura”.
Tale crisi produsse delle lacerazioni profonde nel tessuto economico e sociale dell’impero dando origine a una serie di problemi che continuarono anche nel corso del IV secolo. Dobbiamo tuttavia precisare che già alla fine del II secolo i segni della crisi erano abbastanza evidenti. Per quanto riguarda il degrado delle città gli aspetti esteriori di tale crisi potevano essere individuati con grande facilità in quanto erano molto evidenti.
Si ebbe un rapido calo del livello medio della vita nelle città. In secondo luogo la pubblica amministrazione non era più in grado, come accadeva nel periodo in cui le città godevano di ottime condizioni di vivibilità, di provvedere ad assicurare i servizi essenziali quali la costruzione di strade pavimentate, di bagni pubblici e di mercati organizzati. Inoltre la pubblica amministrazione non era più in grado nel III secolo nemmeno di svolgere una sia pur minima opera di prevenzione di quelle malattie infettive come ad esempio la peste cosicché tali malattie si diffusero senza nessun controllo in molte città a tal punto da decimare pesantemente la popolazione urbana.
In terzo luogo il degrado urbano giunse al punto tale che in alcune città che erano situate vicino ai boschi e alle foreste si aggiravano liberamente nelle strade cittadine belve feroci che uccidevano o terrorizzavano gli abitanti delle città.
In quarto luogo alcune città come ad esempio Alessandria d’Egitto erano state gravemente danneggiate dalla guerra civile scoppiata nell’impero romano nel 260 cosicché molti degli abitanti di tali città avevano dovuto abbandonare le loro case e fuggire nelle campagne circostanti.
Infine le invasioni dei barbari e in particolare quella degli Eruli avevano conferito alle città che essi avevano saccheggiato un aspetto squallido e inoltre ne avevano determinato un definitivo declino economico e sociale.
In un contesto di questo tipo certamente molto problematico e difficile era sempre più aumentato il distacco e la reciproca diffidenza tra le classi più potenti, reali detentrici del potere politico ed economico, e il proletariato urbano. Per fare un esempio concreto i ricchi non concedevano più ai proletari e neppure ai piccoli borghesi quei prestiti a lunga scadenza che in altri periodi storici avevano migliorato le condizioni di vita delle classi più deboli dal punto di vista economico e politico. Gli appartenenti alle classi che detenevano il potere nelle città chiedevano per concedere prestiti agli appartenenti alle classi subalterne interessi molto più gravosi di quelli che chiedevano in passato ed inoltre pretendevano la restituzione dell’intera somma che avevano dato in prestito entro un anno, mentre in passato concedevano ai loro debitori diversi anni di tempo per restituire la somma in questione. Queste nuove regole imposte a coloro che avevano urgente bisogno di prestiti dai membri delle classi che detenevano il potere suscitò grande rabbia ed indignazione nel proletariato urbano e nella piccola borghesia, che cominciarono a nutrire forti sentimenti di odio nei confronti dei ricchi che non mostravano nessuna sensibilità nei riguardi della classi sociali più deboli imponendo loro condizioni durissime per ricevere prestiti, condizioni mai richieste in passato.
In sintesi quindi i violentissimi e sanguinosi conflitti sociali tra classi egemoni e classi subalterne che scoppiarono nelle città dell’impero romano nel III secolo furono dovuti in massima parte al rifiuto dei membri delle classi dominanti di concedere prestiti ai membri delle classi sociali più deboli a condizioni più accettabili ed umane come avevano sempre fatto in passato. Da tale rifiuto nacque un odio sempre più feroce ed implacabile nell’animo del proletariato urbano e della piccola borghesia nei confronti dei membri delle classi che detenevano il potere accusati di voler sfruttare la difficile situazione economica per applicare interessi esosi e disumani ai prestiti che venivano chiesti dai membri delle classi subalterne, le quali in mancanza di tali prestiti non potevano nemmeno soddisfare i bisogni più elementari e quindi non potevano assicurarsi il minimo per sopravvivere.
I conflitti sociali generati da questo stato di cose ma anche da altre ragioni divennero sempre più violenti al punto tale che nella maggior parte delle città dell’impero scoppiavano sommosse sempre più violente e che inoltre tendevano a durare per periodi di tempo sempre più lunghi. Dobbiamo precisare che ogni volta che in sociologia o nella storia sociale si parla di conflitti sociali per poter comprendere pienamente la gravità e la pericolosità di tali conflitti sociali dobbiamo utilizzare due variabili: la violenza che dipende dal tipo di armi e dal tipo di danni fisici causati ai nemici sociali e la durata temporale di tali conflitti. Tali sommosse e tali guerriglie civili all’interno delle città mettevano in grave pericolo non solo la tranquillità psicologica dei membri delle classi dominanti ma spesso mettevano in pericolo anche la loro incolumità fisica, basti pensare che non pochi membri dell’ordine dei curiali vennero linciati o quanto meno rischiarono di essere linciati dal proletariato urbano inferocito.
Appare chiaro che in una situazione così critica e conflittuale, il compito di mantenere l’ordine pubblico che spettava di norma ai funzionari della polizia municipale delle varie città diventava un compito difficilissimo e a volte addirittura impossibile da svolgere.
Infatti il numero dei funzionari della polizia municipale, sebbene in molte città fosse stato aumentato da leggi speciali, non era sufficiente a tenere sotto controllo le frequentissime sommosse e gli altrettanto frequenti tentativi di linciaggio effettuati dai membri delle classi subalterne nei riguardi dei membri delle classi superiori (dobbiamo anche tenere presente che il proletariato urbano nutriva già prima del III secolo un certo risentimento nei confronti della classe dei curiali accusati di amministrare le città tenendo esclusivamente conto dei loro interessi e di quelli dei membri dei ceti superiori ed ignorando completamente i gravi problemi che affliggevano il proletariato urbano. Tuttavia proprio quei prestiti a lunga durata a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza che venivano concessi ai proletari impedivano che tale risentimento si trasformasse in vero e proprio odio dando luogo ad episodi di violenza e a sommosse).
Stando così le cose in molte città furono inviati dei soldati in pieno assetto di guerra che avevano il compito sia di dare una mano ai funzionari della polizia municipale sia di intimorire con le loro armi il proletariato urbano che mostrava, spinto dall’odio nei riguardi delle classi dominanti di non aver minimamente paura né della polizia municipale né delle severissime leggi speciali fatte emanare sia dal potere centrale sia dall’ordine dei curiali. Ma sebbene possa sembrare incredibile, l’odio che il proletariato aveva sviluppato nei confronti delle classi dominanti era diventato così intenso, violento ed incontrollabile che i membri delle classi subalterne non si fecero spaventare nemmeno dai soldati schierati in pieno assetto di guerra e pronti a colpire in maniera spietata con le spade e con le lance i partecipanti alle sommosse. Ma il numero di individui che partecipava a tali sommosse era in molte città così elevato che essi pur essendo armati solamente con pietre e bastoni inflissero gravi perdite ai soldati. Tra l’altro dobbiamo anche dire che il mancato tentativo da parte dell’ordine dei curiali di instaurare un dialogo con il proletariato urbano e la conseguente scelta di affidarsi solamente a mezzi repressivi finì per aumentare notevolmente sia la violenza sia la durata temporale dei conflitti tra le classi sociali urbane. Di conseguenza i membri delle classi dominanti non sentendosi abbastanza protetti né dalla polizia municipale né dai soldati decisero che dovevano difendersi e farsi giustizia contando anche sulle loro forze cosicché essi mandarono molti dei loro figli in palestre paramilitari dove tali giovani venivano addestrati a combattere vere e proprie battaglie militari.
Dato che appare evidente da quanto abbiamo detto che la maggior parte delle città dell’impero erano diventate un vero e proprio campo di battaglia tra le classi sociali, molti individui appartenenti ai ceti medi ed inferiori non volendo essere coinvolti in queste vere e proprie guerre civili decisero di emigrare anche per uscire fuori da questo circolo vizioso di tipo economico e sociale. Di conseguenza molti individui volenti o nolenti vennero sradicati dalle loro città natali, dovettero rinunciare ai loro affetti più cari, rompere tutte le reti sociali che si erano faticosamente costruiti e dovettero anche accettare di rinunciare a tutte quelle consuetudini e a quelle abitudini che costituivano il loro punto di riferimento (per dirla in un altro modo questi individui dovettero rinunciare a tutte le loro radici culturali, religiose, sociali ed affettive ed andare incontro a tutta una serie di incognite).
Quindi dobbiamo mettere in evidenza che se da un lato le aristocrazie cittadine mantennero inalterate le loro abitudini e i loro rapporti sociali un discorso assai diverso bisogna fare per i proletari che emigravano o anche per i mercanti che non potendo più vendere i loro prodotti a causa della crisi economica nelle loro città natali dovevano vagabondare da un lato all’altro dell’impero trovandosi non solo in una situazione di totale solitudine ma anche spesso in ambienti che certamente non li accoglievano nel migliore dei modi ma con diffidenza. Dobbiamo anche dire che anche se un certo numero di proletari, di mercanti, di liberti riuscirono a migliorare le loro condizioni economiche emigrando in un luogo diverso da quello nel quale erano nati è altrettanto vero però che pagarono tale miglioramento delle loro condizioni economiche con altissimi prezzi di tipo psicologico in quanto non solo dovettero abbandonare luoghi, cose, persone per loro importantissimi ma dovettero anche affrontare le preoccupazioni e le incertezze derivanti dal doversi inserire in città che in quel periodo storico diventavano sempre più cosmopolitiche e nelle quali i rapporti umani specie tra individui appartenenti a classi e a popoli diversi erano estremamente difficili e raramente duravano nel tempo ed erano basati su una sincera amicizia.
Inoltre accadeva spesso che un membro del proletariato o un mercante o un liberto che si erano trasferiti dalla città nella quale erano nati in un’altra città dell’impero fossero costretti a lasciare sempre per motivi economici e di lavoro anche la nuova città dove si erano trasferiti per spostarsi in un altro luogo dove dovevano di nuovo affrontare gli stessi problemi di inserimento e la stessa difficoltà di costruire rapporti sociali sinceri e duraturi che avevano già dovuto affrontare nella prima città dove si erano trasferiti.
In sintesi poteva accadere a non pochi individui in quel periodo storico di dover cambiare anche sette otto volte se non di più il loro luogo di residenza in quanto il loro lavoro richiedeva tali tipi di scelte. Tali continui cambi di residenza determinavano anche un notevole stato di stress e di ansia in tali individui che in alcuni casi li portavano a non sopportare lo stato di emarginazione sociale che spesso dovevano subire cosicché a volte scoppiavano anche scontri fisici tra alcuni individui emigrati e gli abitanti locali.
Nonostante il forte aumento dei flussi migratori i conflitti sociali nelle città di cui abbiamo parlato in precedenza continuavano a creare serie preoccupazioni agli appartenenti alle classi dominanti che temevano sempre di subire azioni violente da parte del proletariato urbano che nonostante la presenza dei soldati in città e nonostante che i giovani appartenenti alle classi dominanti costituissero delle ronde armate per difendere i loro parenti non smettevano di scatenare sommosse che a volte costavano la vita sia ai membri delle classi dominanti sia a quelli che cercavano di mantenere l’ordine pubblico. Stando così le cose un certo numero di membri delle aristocrazie cittadine decise di abbandonare le proprie residenze situate nelle città per trasferirsi nei latifondi e nelle case altrettanto lussuose che possedevano in campagna, dal momento che negli ambienti rurali essi correvano molto meno rischi che in città in quanto i conflitti sociali erano molto meno violenti e frequenti. Tali individui conducevano nelle loro tenute di campagna una tranquilla vita borghese e si dedicavano soprattutto agli studi ed alla contemplazione della natura così essi per un certo periodo di tempo riuscirono sia a sfuggire ai pericoli derivanti dai conflitti sociali urbani sia a dedicarsi ai loro interessi culturali.
Tuttavia questa loro beata e piacevole vita tranquilla dedita agli studi e alla contemplazione delle bellezze della natura durò per un periodo di tempo limitato perché a poco a poco i conflitti sociali che in un primo momento avevano interessato solo le città cominciarono ad essere presenti anche nelle zone rurali e provinciali dell’impero. Col passare del tempo i ricchi non poterono sentirsi più tranquilli neppure nelle zone rurali e provinciali dove si avvertì in maniera spesso drammatica che i conflitti sociali più importanti erano diventati oramai frequenti anche nelle zone rurali, sia a causa dell’ulteriore aggravarsi della crisi economica, sia a causa del diffondersi delle idee del proletariato urbano anche tra le masse contadine.
Dobbiamo ora mettere in evidenza un altro importantissimo fenomeno socio-culturale che si manifestò nel III secolo nell’impero romano: tale importante fenomeno prende il nome di “democratizzazione della cultura”.
Mentre l’ideale della cultura classica greco-romana continuava a rivestire una grandissima importanza tra i membri dei ceti superiori fortemente romanizzati dell’impero che tendevano ad arroccarsi sulle proprie posizioni la stessa cosa non avveniva a livello delle masse popolari che sentivano totalmente estranea la cultura romanizzata delle classi superiori. Di conseguenza insieme al diffondersi dei conflitti sociali prima nelle città e poi nelle zone rurali cominciò a diffondersi tra le masse popolari una cultura di tipo indigeno che altro non era che la cultura che preesisteva alla conquista romana. Le ragioni di tale diffusione di queste culture indigene e popolari nelle varie zone dell’impero sono certamente molteplici: in alcuni casi il diffondersi di esse trovava la sua ragion d’essere in un ritrovato spirito nazionalista ostile ai dominatori romani; inoltre le classi inferiori tornarono a valorizzare le abitudini, la cultura, la lingua dei loro antenati proprio per reagire al fatto che i membri delle classi superiori tendevano ad esaltare la cultura e la lingua portata dai conquistatori romani. Per dirla in altro modo le masse popolari volevano trovare la forza di opporsi e di scatenare conflitti sociali anche prendendo come punto di riferimento le culture indigene precedenti alla conquista romana.
Comunque sia tali culture delle classi inferiori si distinguevano per il loro carattere regionale e prevalentemente rurale e finirono per diventare un simbolo, un collante di tipo psico-sociale che aumentava il grado di coesione sociale tra i membri delle classi subalterne, un fattore motivante della lotta che i membri delle classi inferiori conducevano contro le classi superiori appoggiate dai conquistatori romani.
Il verificarsi di questo fenomeno può essere documentato in vaste zone dell’impero romano ma noi ci limiteremo a prenderlo in considerazione a titolo di esempio per quanto riguarda l’Occidente la Gallia dove si ebbe il ritorno specie nelle campagne dell’antica cultura celtica e per quanto riguarda l’Oriente ci limiteremo a prendere in considerazione la cultura popolare dei contadini copti che risiedevano non lontano dalla cosmopolitica città di Alessandria, simbolo del mondo e della cultura classica ed anche simbolo dei valori universali del mondo classico che venivano messi in discussione dal processo di “democratizzazione della cultura”.
Per quanto riguarda la Gallia dobbiamo dire che si ebbe una fortissima rinascita soprattutto nelle campagne ma in parte anche nelle piccole città dell’antica cultura celtica che preesisteva alla conquista romana e nella quale si riconoscevano con orgoglio i popoli di queste regioni che abitavano nelle zone rurali anche dopo la conquista romana. Infatti dobbiamo tenere presente che gli ideali della civiltà e della cultura classica erano penetrati in profondità sia nella Gallia sia in altre zone dell’impero solo nelle classi superiori urbane legate all’impero di Roma economicamente e di conseguenza anche politicamente e culturalmente. Ma tali ideali non avevano certamente fatto presa tra il proletariato urbano e i contadini sfruttati nelle zone rurali che non ottenevano nessun vantaggio dalla conquista romana. Di conseguenza sia presso il proletariato delle città della Gallia sia presso i contadini e le plebi delle campagne galliche continuavano invece a godere di grande popolarità e fiducia la cultura, la lingua, la religione celtica. Per tale ragione pian piano le antiche divinità celtiche riacquistarono un posto di grande rilievo nei popoli della Gallia e anche ripresero gran parte del prestigio che avevano perso i Druidi. Di conseguenza si venne a creare un dualismo di tipo religioso tra i membri delle classi superiori romanizzate che adottavano una religione tradizionale romana e le masse popolari urbane e rurali che adoravano le antiche divinità celtiche.
Per quanto riguarda la parte orientale dell’impero anche qui è possibile evidenziare quella “democratizzazione della cultura” di cui abbiamo parlato in precedenza (vogliamo chiarire che con “democratizzazione della cultura” gli storici fanno riferimento alla rinascita delle culture locali e delle lingue autoctone nelle classi inferiori durante la crisi del III secolo). Queste culture locali che non erano mai sparite completamente trassero vantaggio e si rafforzarono nel III secolo proprio a causa della crisi economica in quanto divennero un cavallo di battaglia delle classi inferiori impegnate nei conflitti sociali le quali classi oramai non avevano più fiducia nei membri delle classi superiori accusati di essersi accordati con i romani a danno degli interessi delle classi più deboli e di aver tradito i valori e la cultura degli antenati al fine di romanizzarsi completamente. Per dirla in altro modo tali classi rivendicando l’importanza delle culture locali, delle religioni locali e della lingua autoctona potevano utilizzare tali lingue, tali culture ereditate dagli antenati ed abbandonate dai membri delle classi superiori romanizzate come arma nella loro lotta contro le classi dominanti appoggiate dai romani.
Per quanto riguarda la parte orientale dell’impero abbiamo detto che prenderemo come esempio i contadini copti, uomini molto poveri che nella maggior parte ignoravano il greco ed il latino e conoscevano solo la loro lingua natale ovvero il copto. Anche se i copti abitavano vicino ai più grandi centri del mondo ellenistico a cominciare da Alessandria essi erano orgogliosi della loro lingua, delle loro tradizioni e della loro cultura. In definitiva possiamo dire che non solo in Egitto ma in quasi tutte le zone dell’impero le masse popolari conservavano con orgoglio la cultura ricevuta dagli antenati. Tuttavia ci teniamo a mettere in evidenza che la grande crisi del III secolo e le profonde lacerazioni nel tessuto sociale e culturale dell’impero che essa produsse aumentò di moltissimo il fascino delle culture locali, delle religioni preesistenti alla dominazione romana, degli usi e costumi degli antenati e delle lingue autoctone perché tutti questi fattori diventarono un cavallo di battaglia, un’arma da utilizzare contro gli odiati membri delle classi superiori romanizzate che a dire delle masse popolari urbane e rurali di molte zone dell’impero avevano tradito la cultura e la religione degli antenati per appoggiarsi ai dominatori romani e per meglio sfruttare con l’aiuto di essi le classi inferiori. In definitiva si creò un dualismo culturale oltre che economico: da un lato le classi superiori ricche, potenti che utilizzavano il latino o il greco e accettavano gli ideali della cultura classica e dall’altro le classi inferiori urbane e rurali povere, prive di potere che adottavano la cultura, la lingua e la religione degli antenati ovvero la cultura, la religione e la lingua locale.
alberto
Ben, bene ben !
Trovo scrito:
…
Tuttavia ci teniamo a mettere in evidenza che la grande crisi del III secolo e le profonde lacerazioni nel tessuto sociale e culturale dell’impero che essa produsse aumentò di moltissimo il fascino delle culture locali, delle religioni preesistenti alla dominazione romana, degli usi e costumi degli antenati e delle lingue autoctone perché tutti questi fattori diventarono un cavallo di battaglia, un’arma da utilizzare contro gli odiati membri delle classi superiori romanizzate che a dire delle masse popolari urbane e rurali di molte zone dell’impero avevano tradito la cultura e la religione degli antenati per appoggiarsi ai dominatori romani e per meglio sfruttare con l’aiuto di essi le classi inferiori. In definitiva si creò un dualismo culturale oltre che economico: da un lato le classi superiori ricche, potenti che utilizzavano il latino o il greco e accettavano gli ideali della cultura classica e dall’altro le classi inferiori urbane e rurali povere, prive di potere che adottavano la cultura, la lingua e la religione degli antenati ovvero la cultura, la religione e la lingua locale.
…
Meno male che un po' alla volta si sta infrangendo il monolitismo dogmatico di una "romanizzazione paradiasiaca" in contrapposizione a una "barbarizzazione infernale" …
Per quanto mi riguarda non credo che le lingue, le culture, le tradizioni e gli dei dei singoli popoli "romanizzati" siano mai stati da questi abbandonati e dimenticati.