L’antigiudaismo nell’Antichità classica di Gian Pio Mattogno è un libro fondamentale per capire l’essenza della questione ebraica, ancor oggi poco conosciuta al di fuori di una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Il volume di Mattogno è diviso in due parti: la prima è un’esaustiva esposizione dell’argomento in forma saggistica, la seconda è una raccolta di testimonianze latine e greche sul tema, con testo originale a fronte.
Ovunque gli ebrei si siano stabiliti in comunità fra gli altri popoli, hanno suscitato sentimenti di diffidenza e di avversione. Le accuse che i popoli pagani muovevano ai giudei, oltre alla stravaganza della circoncisione, erano: il particolarismo etnico-religioso, che rendeva le comunità ebraiche un corpo estraneo rispetto al resto dell’umanità, l’ateismo, poiché gli ebrei rifiutavano di partecipare ai culti di altre divinità, e l’aspirazione al dominio mondiale, che seppur in forme embrionali, già allora cominciava a caratterizzare il popolo ebraico. La letteratura filogiudaica, ovviamente, attribuisce alla fantasia distorta e frustrata dell’antisemita i sentimenti di ostilità verso gli ebrei, insinuando l’esistenza di una presunta patologia antiebraica. Tuttavia la concomitanza delle fonti di varie culture pagane nel giudizio sugli ebrei non sembra essere casuale: in particolare la superba e inaudita pretesa di essere il popolo “eletto” ha colpito gli intellettuali pagani dell’antichità. Da parte degli ebrei si portava avanti una polemica contro i pagani che venivano accusati di “idolatria” e di “immoralità”, accreditando l’idea di un giudaismo buono e filantropico.
Com’è noto la prima documentazione storica inerente la questione ebraica riguarda l’esodo degli ebrei dall’Egitto, al punto che la stessa apologetica giudaica afferma: «l’Egitto occupa, dal punto di vista della lotta contro gli ebrei, il posto che in Europa spetta alla Germania» (E. Zolli, Antisemitismo, Roma, 1945). La vicenda dell’esodo sarà paradigmatica e diventerà un modello di riferimento per tutta la letteratura filosemita. La storia “sacra” tramandata dalla Bibbia ha presentato gli ebrei come vittime di una persecuzione, tuttavia le fonti di parte avversa descrivono gli egizi impegnati in una grandiosa epopea di riconquista della propria terra, e dipingono i faraoni come eroi della lotta di liberazione nazionale contro gli invasori ebrei.
In epoche successive comincia a diffondersi la sensazione che gli ebrei aspirino al dominio mondiale. Il geografo Strabone nota che «gli ebrei sono penetrati in tutti gli stati e non è facile trovare nel mondo intero un solo luogo nel quale questa razza non sia stata accolta e non sia divenuta padrona». Con l’Impero Romano gli ebrei conobbero alterne vicende, in alcuni casi furono graditi agli imperatori, in altri casi furono visti con diffidenza, al punto che ci sono testimonianze che accusano gli ebrei di praticare l’omicidio rituale: la veridicità dell’accusa non è provata, tuttavia è indicativa della sensazione di estraneità che i pagani provavano nei confronti degli ebrei. Nelle grandi città del mondo antico si insediavano quartieri ebraici che erano governati da un etnarca, come se questi quartieri fossero uno stato nello stato: gli ebrei erano spesso i cittadini più potenti e facoltosi, e talvolta la rabbia dei ceti popolari dava origine ad assalti ai quartieri ebraici che si configuravano come dei “pogrom” ante litteram. Le testimonianze dei maggiori intellettuali di età imperiale sulla questione ebraica sono straordinariamente simili: Cicerone stigmatizza il giudaismo come una religione barbarica, e ritiene che gli ebrei siano nati per restare in servitù; Seneca disprezza gli ebrei come un popolo miserabile e criminale; Tacito afferma che gli ebrei sono celebri per l’odio che nutrono verso il genere umano; Giovenale ritiene che un ebreo indicherebbe il cammino da seguire solo ai suoi correligionari. Le fonti antiche, dunque, concordano nel denunciare la xenofobia ebraica, ma per la cultura ufficiale queste opinioni riflettono solo le dicerie che circolavano tra i pagani antisemiti, e già nell’antichità nacque una letteratura filosemita il cui compito era di salvaguardare gli interessi e i privilegi degli ebrei mettendoli in buona luce presso le classi dirigenti pagane. Tuttavia Mattogno rileva come anche nei due più autorevoli autori giudei, Filone e Giuseppe, non sia difficile smascherare l’ebreo tradizionale camuffato dentro l’abito greco-romano. Davvero significativa, a tal proposito, è questa affermazione di Filone: «il regno di Dio sarà stabilito nell’interesse di tutti, anche se la nazione di santi (Israele n.d.r.) dominerà tutte le altre nazioni come la testa domina il corpo».
Paradossalmente, dopo la distruzione dell’antico Israele da parte dei Romani, la concezione razzista ed esclusivista di “popolo eletto” si rafforza ulteriormente con lo sviluppo dell’ebraismo talmudico. La letteratura filosemita giustifica queste concezioni intolleranti con la necessità di preservare il popolo ebraico dalla presunta “immoralità” dei pagani. Al di là del fatto che l’accusa di immoralità rivolta ai pagani è davvero singolare (verrebbe da dire: da che pulpito viene la predica!), occorre ricordare che tutti i fenomeni di “antisemitismo” si sono sviluppati in seguito all’atteggiamento arrogante e supponente degli stessi ebrei, che fin dall’Antico Testamento hanno giustificato tesi sterminazioniste contro i non ebrei, e che hanno emanato vere e proprie leggi razziali per preservare l’identità giudaica. A sottolineare l’antitesi inconciliabile fra paganesimo e monoteismo ebraico, Mattogno ricorda che «i Greci e i Romani non solo non praticarono mai l’esclusivismo religioso, e non giunsero mai a considerare falsi gli dèi degli altri popoli, ma si mostrarono addirittura disposti ad ospitare e ad assimilare divinità e culti stranieri».
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Gian Pio Mattogno, L’antigiudaismo nell’Antichità classica, Edizioni di Ar, Padova, 2002, pp.228, € 21,00 – www.libreriaar.it
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