Un’opera letteraria si può leggere in vari modi, sul piano orizzontale e sul piano verticale. Ad esempio, se ne può fare un’esegesi estetica, storica, linguistica, strutturale e anche sociologica, sociopolitica, antropologica, etnologica, addirittura economicista e così via. Ma se ne può fare anche un’analisi psicologica, ad esempio ricorrendo alla psicologia analitica, alla psicologia freudiana, agli archepiti junghiani eccetera. Immagino che nessuno avrebbe nulla da dire sul fatto in sé, cioè che certe interpretazioni sono da considerarsi arbitrarie e quindi “proibite”, anche disapprovando metodi che non si condividono o respingendo risultati che non si approvano, ma senza affermare che sono illegittimi.
In questo sarebbe addirittura d’accordo l’Unità che, grazie alla prestigiosa penna di Roberto Arduini, è tornata sul problema della interpretazione dell’opera di Tolkien, rivelandosi dopo decenni – diciamo pure quarant’anni! – assolutamente post-ideologica (almeno sul piano della cultura) visto che il suo redattore scrive di «avere a noia il cos’è di destra e il cos’è di sinistra», contraddicendosi però con quanto scritto qualche giorno prima avendo attaccato «i più zelanti alfieri della interpretazione di destra» come il sottoscritto e l’amico Quirino Principe, contrapponendoci, oltre che la tesi del «tardoromanticismo» di Tolkien appena scoperta quelle del professor Portelli, che a questo punto si potrebbe benissimo definire «uno dei più zelanti alfieri della interpretazione di sinistra» dell’opera tolkieniana.
Ora però, se tutte queste interpretazioni sono accettabili, ce n’è una del tutto inaccettabile perché non provata, non attendibile e priva di fondamento: quella che si può definire mitico-simbolica, se non vogliamo usare il termine di simbolico-tradizionale, ché all’Arduini potrebbe venire l’orticaria. Eppure questo tipo di interpretazione è un po’ antica e non invenzione mia o di altri scribacchini novecenteschi, ma forse l’Arduini non lo sa. Scriveva Padre Dante all’inizio del Trecento, appena sette secoli fa, e precisamente nel Convivio (II, 1, 2-6) che «le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi», e cioè letterale, allegorico, morale e «anagogico, cioè sovrasenso». L’interpretazione mitico-simbolica si rifà a questo concetto, ha una sua dignità e una sua legittimità, o forse anche Dante scriveva corbellerie, diceva sciocchezze, affermava cose insensate?
Questa interpretazione non viene contraddetta da altre, casomai le integra, le completa, le fa capire meglio, a volte le rettifica e le smentisce. Inoltre, come ha dimostrato ad abundantiam Mircea Eliade è ancor più legittimata dal fatto che il “sovrasenso”mitico, con il suo profondo significato metafisico e spirituale, ancor oggi si nasconde nei luoghi culturali più impensati, e tanto più nella letteratura dell’Immaginario (orrore, fantascienza, fantastico e simili). In tal modo si riesce a dare uno spessore a testi che altrimenti resterebbero, come Lo Hobbit e ancor più Il Signore degli Anelli, non tanto favole per ragazzini quanto avvincenti storie di avventure per adulti, e nulla più. Invece sono qualcosa d’altro, altrimenti – ecco la domanda cui i vari Arduini non sono capaci di rispondere – non si spiegherebbe il loro duraturo successo di oltre 70 e 50 anni rispettivamente presso generazioni successive, con milioni di copie in tutto il mondo anche in nazioni non occidentali, che esisteva già prima dell’uscita della trilogia cinematografica. Un successo non contingente né superficiale dovuto “alla moda”, ma profondo, sentito, coinvolgente, extraletterario (ed è questo a distinguere Il Signore degli Anelli da altri famosissimi long sellers mondiali).
A tutto questo, la cultura esclusivamente storicistica, sociologica, economicista o puramente estetico-letteraria non sa dare una risposta precisa e convincente. Solo andando alla ricerca degli archetipi simbolici e mitici di cui è impastata l’opera tolkieniana si riesce a capire il motivo di questo coinvolgimento dell’Immaginario collettivo e del suo perenne successo. Inutile stare a sfottere su questo tema: anche il ricorso al termine fabula (come 28 anni fa fece Portelli e oggi riprende Arduni) viene compiuto senza comprenderne le vere implicazioni: poiché la fabula, intesa non certo dal punto di vista dello strutturalismo, è una delle tappe in cui il mito è disceso sino a noi, e quindi non è distaccata assolutamente dall’“intreccio” (come affermò sempre il professor Portelli in un convegno Anpi a Cuneo nel 1982 e non certo sulle pagine del quotidiano del Pci, e ripete di nuovo adesso l’Arduini sbagliando però riferimento bibliografico tanto per accreditare la fola che il quotidiano comunista in fondo in fondo Tolkien lo aveva trattato benino…), ma è un tutt’uno con esso: perché quello delle opere di Tolkien è un intreccio favoloso, quindi anche tardoromantico.
Infatti, non si capisce perché per il redattore del quotidiano diretto da Concita De Gregorio questa tardoromanticità di Tolkien dovrebbe essere in antitesi o in conflitto con una sua interpretazione mitico-simbolica al punto da farla escludere come una solenne boiata. Al contrario la rafforza, considerando la rivalutazione romantica di fiaba, leggenda e mito, cioè delle radici primordiali delle letterature nazionali. Si può anche capire come gente che si è formata in una cultura di cui il giornale fondato da Gramsci è senza dubbio una espressione, per sua natura, formazione, visione del mondo non riesca ad afferrare certe cose, le rigetti e anche le critichi. Ma sono o non sono passati gli anni, come l’Arduini anche sottolinea?
Il mondo cammina e ha sepolto sotto le macerie certe ideologie cui questa cultura faceva (ma a quanto pare ancora fa) riferimento, eppure siamo sempre fermi allo stesso paracarro: a condannare chi la pensa diversamente, o almeno in un certo specifico modo che fa comodo definire “di destra” perché sa tanto di politica politicante e per quell’ambiente è a priori squalificata, affermando genericamente che si scrivono sciocchezze, corbellerie, castronierie e ultimamente grazie a Dio solo “manchevolezze”.
Devo quindi tornare su questo punto che non avevo affrontato in Mobydick del 16 gennaio solo per carità di patria nella mia prima replica a l’Unità, ma giacché Arduini insiste con tono alquanto saccente e maleducato è bene entrare – ahimè per lui – nei dettagli. Ci si riferisce dunque al fatto che nella mia postfazione a La leggenda di Sigurd e Gudrùn (Bompiani 2009) ho affermato che non esisteva ancora una edizione del Beowulf tradotto da Tolkien che, mi si contesta, sarebbe invece uscita addirittura sette anni fa, nel 2002, a cura del professor M.C. Drout. Ma è Arduini che scrive una sciocchezzuola, perché evidentemente si riferisce al volume J.R.R.Tolkien, Beowulf and the Critics curato da Drout e edito dall’Arizona Center for Medieval and Renaissance Texts and Studies che contiene vari scritti ma solo saggistici di Tolkien, scoperti da Drout nel 1996 e che vengono confrontati con quelli già noti (ad esempio Beowulf: Monsters and the Critics, la cui traduzione è in Il medioevo e il fantastico, Bompiani 2003, da me curato). Non mi sembra proprio che sia il testo scoperto invece alla fine del 2002 sempre da Drout in una scatola anonima custodita dalla Bodleian Library della Università di Oxford al quale invece ho fatto riferimento, cioè la traduzione integrale e il commento di Tolkien al poema medievale. Le cose non stanno dunque così come l’Unità crede e mi rinfaccia.
Di più: questo “nuovo”testo non è ancora edito perché bloccato da un contenzioso giudiziario sui diritti, pare fra l’Università e gli eredi Tolkien. E quindi la “corbelleria” o “manchevolezza” non è mia ma di Arduini. E adesso pover’uomo? Comunque sia, ci fosse pure stata si sarebbe trattato da parte mia di una svista bibliografica e niente più, ma che a quanto pare per l’Arduini inficerebbe ogni altra precedente analisi critica del sottoscritto, squalificandolo a vita. Non è alquanto fazioso come ragionamento? Direi di sì, ma ci si deve pur appigliare ad una cosa qualsiasi pur di demolire un nemico…
Il fatto è, come già ricordato, che i critici de sinistra delle vecchie e nuove generazioni hanno la coscienza sporca e un profondo e non ammesso senso di colpa per come hanno trattato Tolkien dal 1970 in poi. E quindi hanno una coda di paglia chilometrica. Si devono allora emendare del loro passato scoprendo adesso, per esempio, un Tolkien “tardoromantico” e negando un Tolkien “miticosimbolico”.
Giustamente Arduini scrive pensando inconsciamente a se stesso: «È ora che il passato si faccia da parte…». Ovvio, il loro passato: sicché oggi non se ne deve più parlare e non è affatto necessario scusarsi di quanto scritto nell’arco di trenta o quarant’anni! La questione è che “a buttarla in politica”, a fare il giochino “Tolkien è di destra”(e quindi è un reprobo da condannare) mentre, che so,“Philip Pullman è di sinistra” (è quindi è un genio da osannare), è stata proprio la Sinistra culturale appunto dal 1970, anche se adesso si atteggia a post-ideologica e non fa più alcun riferimento a questo suo passato, letteralmente inventandosi benemerenze che non ha mai avuto. Ma il sottoscritto, che insieme a molti altri ha difeso Tolkien da allora sino ad oggi da questi attacchi, non l’ha mai “buttata in politica”nei suoi scritti, a meno che non si voglia s/qualificare come “di destra”l’interpretazione mitico-simbolica, o quella “tradizionalista”, o quella (non nostra) “dualista”. Però il solo averlo fatto dà il destro (!) a certi attuali critici di sinistra per affermare che Tolkien è stato “manipolato dalla destra”, sol per averne messo in risalto alcune innegabili caratteristiche che per i nostri recensori progressivi sono intollerabili. Ma poiché il sottoscritto, e non solo lui, non è mai stato “organico” ad alcun partito, né ne ha mai avuto la tessera, come è al contrario successo per innumerevoli intellettuali legati al Pci, ma fa riferimento soltanto a una cultura e a una visione del mondo avversate dalla sinistra “che pensa”, ecco che, per un riflesso condizionato, Tolkien lo si sarebbe “manipolato”, o “strumentalizzato” come anche è stato detto da alcuni buontemponi di sinistra, di centro e addirittura destrorsi. Difeso sì, interpretato
sì, manipolato e strumentalizzato mai. E, per non farla troppo lunga, agli interessati alla ricostruzione di tutta questa faccenda sono costretto a rimandare alla mia dettagliata introduzione al volume Albero di Tolkien (Bompiani 2007).
Non è che questi giochini di parole possano durare in eterno, e infatti ormai mostrano la corda. Certo, però, che hanno stufato pur se servono a ricreare, agli occhi degli inesperti lettori di oggi, una specie di verginità tolkieniana perduta.
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Tratto da Liberal del 27 gennaio 2010.
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