La già ricca bibliografia evoliana, dopo le raccolte di articoli e saggi per “testata giornalistica” che avevano fatto seguito alle antologie per argomento, ci propone una nuova raccolta di testi dall’apparente disomogeneità degli argomenti trattati. Il curatore del volume attingendo all’immenso giacimento, in gran parte dissepolto, di quel patrimonio costituito dalla pubblicistica evoliana ha realizzato la presente antologia “che ha come motivo conduttore – come spiega il curatore nell’introduzione – quello della riflessione critica e della recensione ad opere di vario argomento (storico, filosofico, religioso, politico o di critica del costume) in scritti usciti fra l’inizio degli anni 20 e la fine degli anni 50 del secolo scorso” [1].
La chiave di lettura c’è data dal titolo della raccolta, Il mondo alla rovescia, ripreso dall’omonimo saggio[2], emblematico della critica evoliana alla società moderna delineata in questa silloge così come nell’insieme della sua opera. Oggi come allora nella società che ci circonda: “Tutto procede al contrario di come dovrebbe andare, in tutti i campi viviamo all’insegna dell’anomalia più assoluta. A partire dal campo politico, prostituito al puro interesse economico, sino a quello del rapporto tra i sessi e le diverse generazioni. Non a caso a questo Mondo alla rovescia si contrapporrà quella Rivolta contro il mondo moderno che già nel 1934 Evola proporrà come modello di riferimento per una riscossa tradizionale. Tale ripresa non si è verificata allora né, tanto meno, vi sono speranze si verifichi oggi, ma tuttavia occorre sia sempre indicata alle generazioni future, dal momento che il nostro principale compito, oggi, è quello di fare opera di testimonianza”[3].
Forse è proprio questo spirito di testimonianza che ha spinto la nuova casa editrice Arya di Genova a iniziare la propria attività con questo primo volume.
Gli scritti ricompresi nella presente antologia sono, nella quasi completezza, ripubblicati per la prima volta dopo di quella del quotidiano o periodico prescelti. Ma per alcuni va tenuto presente che Evola “riscrisse o trattò i medesimi argomenti in quotidiani o periodici differenti, in tempi di solito ravvicinati, talvolta a distanza di tempo e in certi casi anche inserendoli in sue opere più organiche”, come ci ricorda Renato Del Ponte[4] che puntualmente ci segnala tutti i riferimenti nella nota bibliografica.
La scelta dei testi fatta dal Del Ponte mi sembra sia stata molto efficace e bisogna dargli merito per la cura con cui interviene con note essenziali e non invadenti sia quando servono di aggiornamento che quando debbono sopperire al delinearsi di “alcune carenze della visione evoliana”[5]. In questo libro “soprattutto nella concezione assai limitativa del Rinascimento italiano (…) In tale campo, ad Evola sono certamente sfuggiti (perché mai veramente approfonditi) quegli aspetti positivi (e sono molti) che il Rinascimento ha rappresentato (pur in mezzo a limiti, che certamente esistono) quale autentica e partecipata riscoperta della classicità da parte di alcune élites“[6].
Fra i vari saggi mi piace ricordare La nozione romana della morte, non solo perché significativa dell’attenzione che l’antiaccademico Evola aveva per quanto di buono e di utile proveniva dal mondo accademico[7], in questo caso lo scritto giovanile di Angelo Brelich, ma anche per il suo valore intrinseco.
“La comprensione del mondo antico ai nostri contemporanei, e, soprattutto ai vari “specialisti”, viene ostacolata dalla supposizione, che l’uomo antico avesse più o meno gli stessi problemi di quello moderno e ne cercasse, come noi, la soluzione sotto specie di “teorie”, di formule concettuali. Presupposto quanto mai erroneo: la mentalità pre-moderna, in quel che essa ha di specifico e di peculiare, non si lascia ridurre alla razionalità: essa ebbe altre forme di conoscenza, alle quali non il concetto o la “teoria”, bensì il simbolo e il mito servirono da mezzi espressivi. E qui bisogna allontanare un secondo pregiudizio degli interpreti moderni: quello, secondo il quale il mito non sarebbe che una diversa, fantasiosa e primitiva espressione degli stessi significati, che l’uomo moderno esprime invece in concetti. Di nuovo, si tratta di tutt’altro: la base del mito fu essenzialmente costituita da stati di coscienza: essa si riferiva ad “esperienze”, non a costruzioni logiche“.[8]
Da segnalare per la sua “rarità”, naturalmente anche per il contenuto, Realismo, architettura nuova e Fascismo. Senza riferirsi a questo o quel particolare progetto ma ponendosi su un piano superiore troviamo un Evola lodatore dell’architettura razionalista il cui stile rientrerebbe fra quelli elementari. “Questi stili – il dorico, in certi aspetti l’egizio e il romano e, in genere, ciò che è arcaica traccia comune al ciclo delle prime civiltà ariane – sono stili di potenza. Più che “volere” sé stessi e che essere “pensati” quale “arte”, essi si pongono direttamente quasi come prolungamenti delle forze delle cose nell’uomo quale costruttore primordiale“[9].
Il bello si “identifica allo stile che può sorgere spontaneamente dalle forme volute dalla tecnica e dal calcolo a che la materia architettonica realizzi perfettamente, matematicamente, senza nulla in più o in meno, ciò che l’uomo si è proposto. Onde scompare la persona, rimane un metodo e uno stile di pura oggettività”[10].
Di alto livello sono anche le recensioni e le messe a punto dell’appendice. Una lettura da non mancare.
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JULIUS EVOLA, “Il mondo alla rovescia” ( saggi critici e recensioni 1923 – 1959), a cura di Renato Del Ponte, Edizioni Arya, Genova 2008, pp. 222, € 21,00. [Recensione originariamente pubblicata in “Arthos”, a. VII, n.s., n° 16, 2008, pp. 92-93]
[1] R. Del Ponte, Introduzione all’op. rec., p. 6.
[2] Che affronta il tema, per usare “una espressione piuttosto barbarica”, la definizione è dello stesso Evola, della “sociosofia dei sessi” (p. 41).
[3] R. Del Ponte, cit., p. 6.
[4] Id., nota bibliografica, cit. p. 212.
[5] Notoriamente: Etruschi, Rinascimento e Risorgimento.
[6] R. Del Ponte, Introduzione, cit., p. 8 n. 7.
[7] Ricordo sempre con affetto che all’incirca nel 1970 lessi in uno scritto di Evola la segnalazione con commento positivo dei Contributi allo studio del diritto augurale di Pierangelo Catalano [Giappichelli, Torino 1960, pp. XVIII, 655] che mi spinse a cercare quest’opera, prima in biblioteca e poi in libreria.
[8] P. 99.
[9] P. 36.
[10] P. 38.
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