Poniamoci una domanda per assurdo: Dio è uomo o donna? Certo razionalmente la maggior parte di noi riterrà il quesito stupido, da momento che, ovviamente, per definizione (almeno nelle società occidentali) Dio è asessuato.
Eppure, se pensiamo a Dio, la prima immagine che ci viene alla mente è quella di un personaggio maschile e in tutte le lingue ci riferiamo a Lui con pronomi maschili: è questo il frutto di secoli di “maschilizzazione” del divino, una maschilizzazione di origine sociologico-culturale che ha avuto il suo apice nelle tre religioni monoteiste.
Ma non è sempre stato così: alle origini della storia dell’umanità la concezione religiosa primaria è stata quella del “femminino sacro” e la cosa appare del tutto spiegabile: un genere umano formato da cacciatori-raccoglitori ha unito inconsciamente i ritmi della natura, l’abbondanza dei doni della terra e la magia della nascita e della vita con le donne e il loro potere riproduttivo, dal quale i leader tribali, maschi per logica naturale (chi ha più forza fisica difende la comunità e chi difende la comunità ne ottiene il dominio), si sentivano ovviamente esclusi[1].
Era, d’altra parte, assolutamente ovvio che la percezione intuitiva di uomini completamente immersi nella natura e soggetti ai suoi cicli li portasse a prendere coscienza delle energie alla radice della vita e del mondo fisico. In quest’ottica, la terra stessa doveva sembrare loro un grande, unico essere vivente che li ospitava, li nutriva e determinava la loro vita e morte, con una potenza certamente al di là della loro comprensione e proprio questo vivere concretamente la loro fusione con i ritmi della natura doveva rimandarli all’estasi magistica vissuta nell’accoppiamento con le loro compagne, che portava ad una capacità generativa paragonabile a quella della natura stessa[2].
E’ altamente probabile che questi “uomini naturali”, non avendo alcuna consapevolezza della propria funzione riproduttiva, vedessero tutta la magia procreatrice come prerogativa unicamente femminile e che, conseguentemente, il fascino e il mistero della vita prendessero, nella mente degli umani, una forma femminile sacralizzata: gli elementi sacrali e gli attributi femminili della natura come delle donne appartenevano allo stesso mondo magico delle forze della vita, un mondo che era oltre la comprensione del maschio umano. E’ questa presa di coscienza che deve aver portato allo sviluppo di un mito della creazione relativo ad un antenato singolo e femminile per tutta l’umanità e per il mondo: la Grande Madre Cosmica, su cui si è imperniato tutto un culto primario, con i suoi riti magici e sciamanici[3].
Non è, dunque, un caso che dall’età della pietra emergano rappresentazioni stilizzate, perlopiù statuette in creta o avorio, rappresentanti donne in tutto il loro splendore fertile, a riflettere un culto crescente della fertilità incarnata nel femminino sacro, così come non è un caso che le più recenti scoperte archeologiche ci parlino di società primitive governate da donne e in cui i maschi cacciatori erano sottoposti a un sistema matriarcale[4].
E’, altresì, altamente probabile che, nella visione comune, il sacro femminile fosse identificato con il sole, fonte di vita, è non è senza senso che nelle lingue celtiche e in tedesco la parola “sole” sia femminile, mentre la parola “luna” maschile. Al contrario, la divinità maschile babilonese Sin era raffigurata come luna, così come Osiride in Egitto o Shiva, la divinità più antica dell’India, che viene ancora oggi dipinto con una falce di luna tra i capelli[5].
Talvolta la Grande Dea era anche associata all’albero della vita, perché presiedeva all’abbondanza della natura e alla procreazione e al piacere ad essa associato, ma, in combinazione con le correnti e le forze telluriche, in altre occasioni poteva anche assumere le forme simboliche del serpente o del drago ctonio, considerati come entità positive associate con la vita stessa[6].
Ogni donna era considerata, per certi versi, incarnazione della grande dea, venendone a rappresentare il potere creativo di dea madre e, conseguentemente, qualificandosi come strumento del suo potere nel mondo. In questo senso, solo una donna avrebbe potuto comunicare con l’invisibile, il sacro, fosse essa un’anziana sapiente, una sciamana, una guaritrice, una maga o una sacerdotessa. Per certi versi, possiamo definire questa come l’epoca del trionfo delle donne, viste come incarnazione del sacro, dominatrici della società umana e ispiratrici della nascita della coscienza religiosa: erano in realtà le donne a rappresentare l’unico collegamento tra i maschi di un clan, il vero elemento coesivo sociale e, per il loro ruolo, esse erano trattate con rispetto e timore reverenziale da tutti[7].
Venne, però, il giorno in cui gli uomini si resero conto di non essere non correlati alla procreazione. Probabilmente la nascita delle città e l’organizzazione militare della loro società li avevano resi consapevoli del proprio potere creativo e della loro forza: i re, come primi tra i guerrieri in una società bellicosa, si erano assunti il compito di guida politica delle comunità e avevano bisogno di creare dei a loro immagine per giustificare la loro presa di potere come diritto divino, necessitando di divinità da temere così come essi basavano il loro dominio sul timore che potevano incutere negli altri[8].
Ecco allora che il ruolo femminile doveva proporzionalmente decrescere: le donne divennero, dunque, garanti della procreazione di molti guerrieri, strumenti di un piacere non essenziale, fino a tramutarsi, in alcune culture, semplicemente in beni preziosi, servitrici dell’elemento maschile.
Verosimilmente è possibile ipotizzare che questi cambiamenti di prospettiva culturale abbiano avuto luogo primariamente in Mesopotamia 6.000 anni fa: è più o meno a quest’epoca, infatti, che si situa la leggenda del dio Marduk che uccide la madre Tiamat (non casualmente un serpente gigante…) e prende il potere e il ruolo sacrale che essa deteneva prima[9].
Dopo la tradizione sumera, è il libro della Genesi nella Bibbia che chiede all’uomo di dominare e sottomettere la natura (quindi utilizzando la sua forza fisica), mentre donna e sua rappresentazione simbolica (il serpente) vengono presentate come “il nemico”, il corruttore, immagine che continua con il racconto di Lilith[10].
Così la grande dea solare diventa “lunare”, pallido riflesso della sua connotazione originale, diviene “accessoria” al dio maschile, suo amante e/o suo figlio, il quale detiene da solo il potere di trasmettere la sua energia solare: la dea è solo la madre alle origini del dio, o la sua consorte, relegata ad un ruolo di secondo piano, di contraltare e riflesso della divinità centrale.
Così, la dea perde il suo trono e il femminino sacro, espressione dello sconosciuto, del mistero della natura selvaggia e detentore dei segreti della vita, se non scompare completamente, lascia progressivamente, nel corso dei millenni, il suo alone sacrale, venendo a risultare in qualche modo emarginato all’interno del panorama religioso di pari passo alla perdita di prestigio e importanza sociale della donna in seno alle diverse comunità.
E’ proprio questo parallelismo tra ottica religiosa e sviluppo sociale a risultare particolarmente interessante: l’uomo crea dei a sua immagine, certamente per giustificare il suo potere ma anche come rispecchiamento simbolico del controllo vieppiù esercitato sul lato dell’umanità visto come irrazionale, sulla donna che è simbolo e riflesso della natura fuori controllo. Conseguentemente, l’uomo organizzatore della nuova società strutturata non può che vedere il femminile naturale come caotico, ostile, elemento pericoloso da evitare e dominare (e, più tardi, nelle religioni giudaico cristiane, la porta dell’inferno): il “femmineo”, avendo perso la sua corona sacrale, non diventa altro che un susseguirsi di provocazioni, di disturbi dell’ordine sociale, incarnando l’energia libera, la magia e i poteri occulti che sfuggono al controllo maschile[11].
Ma il processo prosegue e, a poco a poco, le dee antiche del pantheon finiscono per essere cacciate e, così, arrivano a scomparire la consorte di Dio giudaico-cristiana così come le figure femminili che ruotavano intorno all’Allah pre-islamico: il mondo giudaico-cristiano è sospettoso nei confronti della natura libera che viene ad incarnare, nel Cristianesimo, il male, la distruzione del caos, l’antico paganesimo (e non a caso, iconograficamente, si collegheranno i piedi caprini del satiro “naturale” a Satana), le dee saranno nascoste, le loro sacerdotesse combattute, perseguitate, bruciate (fino alla caccia alle “streghe”) e la femminilità e le donne verranno associate con le opere del diavolo[12].
In questo senso Lilith, prima moglie di Adamo (e, culturalmente, evidente memoria della dea madre), viene associata con l’aspetto negativo del serpente e, in tempi biblici, demonizzata dal potere maschile come incarnazione dell’era matriarcale e di quella femminilità libera e dominante troppo pericolosa per il potere degli uomini.
Rifiutata da Adamo, espulsa dal Paradiso, il Signore nega alla sfortunata Lilith il mondo celeste e la relega nelle profondità sottomarine dell’inconscio collettivo, dove sarà compagna di Lucifero o di Samael. Questo mito, combinato con la “colpa” di Eva che seguirà, aiuterà a svalutare la femminilità, togliendole tutto l’alone sacrale e giustificando il dominio e lo stretto controllo degli uomini sulle donne nelle religioni del Libro: addirittura la donna perde anche la sua anima, la prima donna diventa il primo demone solare tentatore e pericoloso, dominatore della oscurità della notte (non casualmente, come Kali, Lilith è scura ed è associata astrologicamente alla luna nera)[13].
Ma il Cristianesimo si diffonde e porta con sé questa concezione ovunque, oscurando tradizioni già presenti in varie culture e nelle quali il culto del femminino era ancora fortemente sentito. Forse il caso più emblematico è quello celtico. All’interno del mondo celtico la dea madre era conosciuta come Dana (o Anna) ed era la personificazione della fertilità, della potenza e della ricchezza della natura: come Gaia in Grecia o Lakshmi in India era lei a nutrire ogni essere vivente. Così diffuso era il suo culto che la dea stessa si era, nel tempo, moltiplicata in una dozzina di divinità femminile (Birgit, Morgan, Epona, Rihannon, etc) presenti nelle leggende e nei riti di tutta l’Irlanda e la Gran Bretagna e proiezioni del ruolo alto e rispettato della donna (almeno in ambito druidico) nella società celtica. La Chiesa cristiana e i suoi missionari dovettero a lungo lottare contro la grande dea celtica e le sue rappresentanti, sacerdotesse e streghe e, certamente, il combattimento fu feroce. Dal momento che la posta in gioco non appariva sufficiente ad estirpare la vecchia religione, fu necessario utilizzare l’inganno: così Anna divenne la madre della Vergine, S. Anna, particolarmente venerata in Gran Bretagna, Birgit fu “travestita” da Santa Brigida, pur mantenendo i suoi poteri di fertilità e patrocinio sulle nascite, gli antichi luoghi di culto furono recuperati dalla Chiesa con un gran numero di cappelle e cattedrali costruite su antichi santuari della dea, in presenza di fonti incontaminate miracolose o mehir neri[14]. Insomma, pur celata sotto diverse sembianze la dea rimase presente nelle terre celtiche e la partita non sembra ancora totalmente finita[15].
Prima dell’avvento dei monoteismi, comunque, come dicevamo, il processo di depotenziamento del femminino sacro era già ampiamente in atto. La dea diventa, dunque, la consorte del dio, o sua madre, spogliata dei suoi caratteri solari, ma, comunque, mantiene una funzione sacra essenziale: diventa la garante del potere di Dio nel momento in cui la sua morte (conseguenza della simbolizzazione dei cicli naturali) sembra distruggerlo. E’, infatti, la dea che, come principio della vita, si fa carico del compito di resuscitarlo, in un atto che ritroviamo in numerose culture antiche:
- in Mesopotamia è Ishtar (una delle varianti della dea madre primaria Astarte) che scende agli inferi per riportare suo marito Tammuz, dio del raccolto, alla vita (o, in una variante, è Inana che fa lo stesso con il dio Damuzi) e, significativamente, deve passare attraverso sette porte, abbandonando ogni volta, la sua corona, i suoi gioielli, il vestito e così via (cosa che simboleggia il passaggio dei sette chakra, ma che è anche chiara simbologia del depotenziamento della dea inversamente proporzionale al potenziamento del divino maschile);
- in Egitto, la Dea in varie forme è onnipresente, anche se perde il suo carattere dominante a favore del dio solare Atum, Ptah e Ra o Aton (ma, comunque, il faraone non può regnare senza la sorella-moglie e la donna mantiene sempre uno status invidiabile e la possibilità di alte cariche) ed è, in ogni caso lei (come Iside) che, con mille peripezie, riassembla il corpo di Osiride sparso dal malvagio Seth;
- in Scandinavia è Freya che si sacrifica per salvare Baldur, il prototipo del dio-uomo perfetto[16].
Gli esempi potrebbero continuare ma, forse, l’esempio più chiaro del ruolo assunto dalla dea lo troviamo nella mistica induista. Quando Shiva era immerso in meditazione sul monte Kailash, è la Dei Parvati che gli dà mandato perché entri in azione e senza tale mandato egli sarebbe rimasto immobile per l’eternità: la dea è l’energia di Dio e la coscienza maschile ancora non può fare nulla senza l’energia sacra e attiva della femminilità cosmica perché nessun potere maschile divino è attivo se non è guidato dalla forza sacra della generatività femminilità[17].
Questo dato atavico, per altro, riemerge anche in miti posteriori, in cui, stante la dominante cultura maschile cristiana, tutto deve essere velato simbolicamente.
Pensiamo, ad esempio al ciclo arturiano: la spada del potere, Excalibur, è il simbolo del potere del femminino sacro nelle mani del re, a cui è data dalla signora del lago (e ad essa la spada ritorna alla morte dell’eroe) e, dunque, Artù stesso regna su mandato del femminino sacro o, almeno, con il suo benestare, tanto che, nel ciclo, Artù ha forza solo quando Ginevra (rappresentante in terra del femminino) è presente nella sua vita come forza solare femminile di chiara origine celtica che il Cristianesimo non ha potuto completamente estirpare[18].
In realtà, se ci riflettiamo, questo aspetto evolutivo della figura del femminino sacro di riscontra, a vari livelli, in pressoché qualunque “quest” come momento di riscoperta da parte dell’eroe solare maschile della femminilità lunare nascosta (che rappresenta junghianamente la sua anima o, secondo il tantra indù, la sua Shakti interiore): quando l’eroe libera, come tipico delle quest, la ragazza prigioniera, si riappropria simbolicamente della sua femminilità segreta, tornando all’unità dell’essere dell’ originale androgino[19].
Non a caso secondo il Vangelo di Tommaso, Gesù dice il regno di Dio si aprirà solo a coloro nei quali si sono uniti il maschile e il femminile: solo tramite tale unione l’eroe diventa un uomo compiuto, un “uomo Luna”. Si tratta, sostanzialmente, di un processo non dissimile al simbolico matrimonio alchemico tra opposti e, d’altra parte “Sophia”, la sapienza ellenistica è donna, così come donne sono le Muse, a dirci che l’energia creativa di un uomo ha un principio femminile laddove il suo lavoro è in realtà quello generativo del femminino sacro[20].
Allo stesso modo, è curioso che il ritorno del femminile sacro violato dalla Chiesa risulti evidente, in pieno medioevo cristiano, nella corrente dell’amor cortese, nella quale la donna è sublimata, solarizzata dal cavaliere o trovatore: “Dio è la donna che hai incontrato”, scrisse il trovatore Uc San Circ e Dante, appartenente ai “Fedeli d’Amore” fa di Beatrice una entità spirituale in grado di guidarlo verso le sfere celesti, vera incarnazione del sacro femminile che è diventato “tramite” per il Dio solare[21].
Qualcosa di molto simile accade nel Sufismo persiano del XII secolo che vede nel femminino una teofania: Dio si rivela nella bellezza della donna amata, la donna è la femminilità pura, sacro testimone e specchio per l’uomo della sua qualità spirituale, che gli fa riscoprire, nella contemplazione del femminile, l’influenza di Dio nel mondo manifestato[22].
Sono queste pulsioni profonde, ataviche a permettere , nonostante secoli di persecuzioni e di oscurantismo maschilista, una sopravvivenza del femminino sacro, una sopravvivenza provvidenziale perché solo la presa di coscienza di una visione antropo-religiosa non macchiata di misogenia ci può permettere, oggi come nel passato, una riappropriazione completa della nostra coscienza trascendentale e una piena armonia dell’essere umano finalmente ricomposto in unità.
Note
[1] S.R. Anderson, P. Hopkins, The Feminine Face of God: The Unfolding of the Sacred in Women, Bantam 1992, pp.28 ss.
[2] J. McLaughlin, Sacred Feminine, Rio Grande Books 2009, pp. 36-41
[3] J. Markale, The Great Goddess: Reverence of the Divine Feminine from the Paleolithic to the Present, Inner Traditions 1999, pp. 18 ss.
[4] M. Gimbutas, J. Campbell, The Language of the Goddess,Thames & Hudson 2001, passim
[5] Ivi, pp. 68-84
[6] M. Stone, When God Was a Woman, Mariner Books 1978, p. 11 ss
[7] Ivi, pp.23 ss.
[8] J. McLaughlin, Citato, pp.67 ss.
[9] L. Shalain, The Alphabet Versus the Goddess: The Conflict Between Word and Image, Penguin 1999, pp. 37-56
[10] J. Day, Yahweh and the Gods and Goddesses of Canaan, Sheffield Academic Press 2002, passim
[11] J. Markale, Citato, pp. 93-96
[12] P. Borgeaud, L. Hochroth, Mother of the Gods: From Cybele to the Virgin Mary, The Johns Hopkins University Press 2008, passim
[13] Ivi
[14] St. Ann la Palud, Locronan, Chartres, ecc.
[15] M.J. Aldhouse-Green, Celtic Goddesses: Warriors, Virgins and Mothers, George Braziller 1996, passim
[16] J. Markale, Citato, passim
[17] Ivi, pp. 47 ss.
[18] P. e D. Campanelli, Ancient Ways: Reclaiming Pagan Traditions, Llewellyn Publications 1991, pp. 106 ss.
[19] Ivi, passim
[20] T. Browsing, The Alchemic Marriage, B.U.P. 1995, passim
[21] E. Gadon, The Once and Future Goddess: A Sweeping Visual Chronicle of the Sacred Female and Her Reemergence in the Cult, HarperOne 1989, passim
[22] Ivi
mainikka
καὶ ἐποίησεν ὁ θεὸς τὸν ἄνθρωπον, κατ' εἰκόνα θεοῦ ἐποίησεν αὐτόν ἄρσεν καὶ θῆλυ ἐποίησεν αὐτούς (Gen. I, 27)
Animus e Anima, maschile e femminile preesistono insieme nell'archetipo umano appena creato (l'ADAM, termine ebraico collettivo); solo successivamente Dio distingue questo ἄνθρωπος in due specie: in effetti la creazione dell'uomo si trova sia nel primo che nel secondo capitolo della Genesi; per gli studiosi si tratta di disorganicità, come se il testo provenisse da fonti diverse male assemblate, ma questa apparente mancanza di unità potrebbe dimostrare una molteplicità logica di atti creativi: prima la creazione dell'Uomo, l'Archetipo, il genere Uomo ad immagine di Dio (nel Logos, nell'intelletto) e poi, nel secondo capitolo, la creazione dei due esseri individuali che partecipano dell'Archetipo e sono quindi insieme Animus e Anima.
Musashi
la stranezza circa la presenza della femminilità concepita in termini assai diversi dalla religione imperante in Europa, e quasi con un fondo iniziatico e segreto, nella letteratura trobadorica va ricondotta al fondo al fondo gnostico-cataro che segretamente ispirava i versi in codice e il "trobar clus" della poesia della Linguadoca, e forse anche- ma con meno sicurezza- dei Fedeli d'Amore.
Ombretta Gentili
la donna è il perno della vita, non è facile ricostruire ciò che andato distrutto. La donna o dea madre nella sua volontà di contaminare il mondo della sua sacralità e della sua saggezza, potrà sembrare strano ma è già nel piano divino il ritorno di Lei, l’Apostola.
[Analisi] I, pet goat II (parte 1) – Di Neve e di Luna
[…] sa, che se cede perderà qualcosa di molto importante, la sua purezza, la sua libertà, Il FEMMININO SACROnon ce la fa semplicemente perché la massa è troppa e il controllo è immenso, immaginate di […]
Rosaria
Molto interessante