La storia che stiamo per raccontare, come si sa, non ha mai avuto vita facile nel nostro Paese dato che, campanilisti come siamo e come è naturale, dalle nostre parti si è fatto sempre e letteralmente di tutto per farci dimenticare che invece sono circa quarant’anni che la faccenda in questione è stata dimostrata nel modo più completo. Chi scrive ha già da tempo compiuto due lunghi viaggi in Canada e può confermare senza ombra di dubbio che tali avvenimenti sono da decenni materia di insegnamento nelle scuole elementari di quell’immensa nazione. In effetti è proprio così: è dai primi anni sessanta che l’archeologo norvegese Helge Ingstad (con 5 spedizioni archeologiche, fino al 1965) riuscì efficacemente a dimostrare che resti di insediamenti vichinghi datati intorno all’anno mille esistevano realmente lungo la costa nordamericana e in Canada. E pertanto quasi 500 anni prima di Cristoforo Colombo, degli Europei avevano raggiunto l’America. Di fatto però risultò anche che gli esploratori nordici, da un certo punto di vista, non si erano nemmeno accorti della grande scoperta che avevano fatto. Come in tante altre occasioni nella storia avventurosa dell’esplorazione , tutto era avvenuto praticamente per caso.
I Vichinghi (Jomsvikings – pirati vichinghi) erano un fiero popolo medievale di predoni del Nord Europa, capaci di costruire battelli straordinari con i quali compivano le loro scorrerie per mare e fiumi. Erano anche dotati di armi eccellenti per l’epoca e partendo dalla loro mitica capitale, Jomsborg, ricolma di ori e preziosi depredati, e il cui porto era capace di contenere fino a 300 navi per la guerra di corsa, sciamavano per ogni dove: a Occidente verso l’Inghilterra e l’Islanda, a Sud fino al Mediterraneo ed in Sicilia , a Ovest risalendo addirittura il corso del fiume Volga. Man mano che si susseguivano queste incursioni, le loro imprese, comunque sanguinarie e portatrici di lutti in ogni dove, diventavano sempre più leggendarie, tant’è vero che furono trascritte in runico come Saghe e le più importanti sono la Saga di Erik il Rosso (Eiriks Saga) e la Saga della Groenlandia (Groenlendinga Saga). Esse in sostanza descrivono la scoperta dell’America, il primo contatto con i nativi americani originari, abitanti di quella che fu poi chiamata dai Vichinghi “Vinland“ (la “Terra del Vino di bacca“, o meglio, la “Terra Fertile“, che forse è la traduzione più esatta) e in definitiva la dimostrazione che, a differenza di Colombo, tale “scoperta” era avvenuta per metodici “salti” geografici e nell’arco di un centinaio di anni.
Tutto avvenne per balzi successivi: il punto di partenza per raggiungere l’America fu ovviamente la Norvegia ed in seguito attraverso le Isole Farøer, l’Islanda già colonizzata e la Groenlandia. Quello che generalmente spingeva i Norvegesi verso la navigazione in Occidente, a colonizzare le isole atlantiche minori e poi l’Islanda e la Groenlandia fino ad arrivare al tentativo di insediarsi in America del Nord, era stato il costante bisogno di terra, pascoli e nuovi spazi di pesca. Il primo vichingo a scorgere la Groenlandia, per esempio, fu probabilmente un uomo di nome Gunnbjörn , la cui nave il maltempo aveva trascinato fuori rotta dall’Islanda, verso Occidente, intorno al 960 d.C. Ma senz’altro il primo ad insediarsi in Groenlandia fu il capo vichingo e predone Erik il Rosso.
Erik (o meglio Eirik) era nativo dello Jaeder, che si trova nella Norvegia Sud-Occidentale. Il nostro uomo non era certo un santo anzi, semmai l’esatto opposto. Nel 982 d.C., dopo che questo predone con i suoi degni compari si era lasciato andare ad un’ennesima serie di saccheggi ed omicidi, i suoi stessi concittadini lo misero al bando per tre anni, col divieto di rimanere in Norvegia ed in Islanda. Il Rosso aveva dimostrato di essere un sanguinario, ma non era affatto uno stupido ed in più era un marinaio navigatore di razza come ce ne sono pochi, e con un manipolo di fedeli al seguito, conoscendo quello che era successo precedentemente al suo conterraneo Gunnbjörn almeno vent’anni prima, riuscì a raggiungere per primo la Groenlandia (la Terra Verde) , un posto glaciale e non molto ospitale e che quindi non era verde per niente, se non per il fatto che, avvistata durante il periodo estivo, lasciava intravvedere erbe, muschi e licheni, sotto la neve.
L’esploratore non perse tempo e con i suoi uomini, trovato un fiordo favorevole per installare una prima base e alcune piccole fattorie (zona di Tunugdliarfik), cominciò a rifornirsi di legname e alimentari con la caccia, la pesca ed il commercio con gli Eschimesi, i veri nativi del luogo da tempo immemorabile. In questo vero e proprio luogo di frontiera, ai confini del mondo, la vita dei primi colonizzatori era durissima, molto più vicina alle prime gesta norvegesi dei Vichinghi e Normanni di due secoli prima, con i Drakkar sempre in mare a pescare, ed in terra gli uomini intenti a costruire abitazioni di legno. Queste abitazioni, che spesso si trovavano ai bordi dei corsi d´acqua, ricordavano molto le palafitte costruite in oriente che erano molto simili se viste dall´ alto a grandi distese di case tra piscine interrate e risaie. In confronto , la vita bucolica e agricola dei Vichinghi islandesi sembrava un paradiso. Ma Erik il Rosso ce la fece e, scaduto il periodo dell’esilio forzato triennale, tornò in Islanda a raccontare quello che aveva fatto.
Proprio in quegli anni l’Islanda aveva subito una grave carestia agricola ed Erik non fece pertanto molti sforzi per convincere molte persone, ricchi e poveri, agricoltori e pescatori, cacciatori e sfaccendati a veleggiare con lui per colonizzare definitivamente la Groenlandia, convivendo con gli Eschimesi. Si armò una flotta di trentacinque navi, con 2000 persone e centinaia di capi di bestiame, e si salpò dall’Islanda. In mare ci fu purtroppo una tempesta e solo una quindicina di Drakkar riuscirono a raggiungere la Groenlandia. Ma avventure e disgrazie del genere allora erano praticamente nella norma ed Erik con la sua gente riuscì a costituire in Groenlandia, nel giro di poco tempo, il primo efficace luogo di insediamento stabile, ricordato ancora oggi dagli esperti con il nome di Insediamento Orientale (l’attuale Julianehab) a Eiriksfjord.
Qui Erik crebbe i suoi tre figli, il maggiore Leif Eriksson e gli altri due figli Thornvald e Thornstein. Ma è Leif il personaggio che ci interessa di più perché, secondo le saghe, fu proprio lui il primo a scoprire l’America. Non appena Leif aveva dimostrato di cavarsela da solo (e cioè guidare un’imbarcazione in mare aperto, secondo la buona tradizione Vichinga) i suoi genitori lo mandarono in Norvegia per studiare ed apprendere l’arte del commercio marittimo. Leif era in gamba, aveva voglia di affermarsi ed inoltre, dato che non era così rigido e duro come suo padre, voleva anche studiare. Immancabile ci fu allora l’incontro con la Chiesa di Roma, e Leif si fece battezzare, diventando cristiano. Eriksson tornò così in Groenlandia con un prete, che aveva lo scopo di cristianizzare gli insediamenti Vichinghi in quel luogo sperduto. Nonostante la freddezza dimostrata da suo padre, che non ne voleva sapere del cristianesimo, con i suoi preti “buoni a nulla“ (si espresse proprio in questi termini) e perditempo, Leif riuscì, con i favori di sua madre, a far erigere delle chiese sia nell’Insediamento Orientale che in quello “Occidentale“, che nel frattempo era stato creato.
In questo periodo siamo ormai intorno all’anno 1000, proprio il periodo in cui Leif decise di intraprendere alcuni viaggi di esplorazione a Ovest. Da tempo si vociferava negli insediamenti che più in là della Groenlandia doveva esserci “qualche cosa“ . Un tale, di nome Bjarne Herjolfsson, sviato dalla solita improvvisa tempesta e spinto sempre più a Ovest, aveva avvistato tempo prima una terra, ma non vi era approdato veramente. Era riuscito comunque a ritornare e a raccontare la sua avventura. Questo era tutto quello che Leif sapeva, ma per il momento gli bastava. Con una ciurma di 35 uomini, tra i quali alcuni di coloro che erano stati sull’imbarcazione di Bjarne testimoni dell’avvistamento della terra sconosciuta, partì (la data esatta non si conosce) e veleggiò verso Occidente in esplorazione. Con loro vi era anche uno “del Sud“ (secondo i Vichinghi) , un tedesco di nome Tyrkir e amico di Eriksson. Dopo quattro giorni di navigazione durissima, pericolosa e contrastata aspramente dai marosi, Leif si imbattè dapprima in un ampio costone pietroso, una zona assolutamente inospitale che venne chiamata “Helluland“ (la Terra delle Pietre) . Sarebbe l’odierna Terra di Baffin. Continuando a veleggiare in direzione Sud questa volta, scoprì una ampia costa lussureggiante e ricca di boschi. Questa zona certamente più invitante venne poi chiamata “Markland“ (la Terra dei Boschi): corrisponde all’attuale Labrador.
Ma Leif voleva andare ancora più a Sud, e aveva ragione. Proseguendo nella navigazione costiera Leif Eriksson raggiunse una terza terra che gli sembro così ricca e promettente che decise di sbarcare e tutti insieme vi si stabilirono, costruendo dapprima dei ripari di fortuna e poi delle capanne vere e proprie in un accampamento che venne chiamato Leifsbudir (Le Capanne di Leif). Nel frattempo si decise insieme di esplorare l’interno e altre parti della costa. Da queste prime ricerche all’interno scaturì l’episodio che pare abbia avuto a che fare con il nome che fu scelto in seguito per battezzare questo terzo territorio, Vinland, appunto (con la massima probabilità la parte settentrionale di Terranova, chiamata così da Giovanni Caboto nel 1497). Ma potrebbe essere solo una leggenda.
Il tedesco Tyrkir, uno strampalato mattacchione, si era perso nei boschi e non lo si trovava più. Ma Leif voleva trovarlo: non voleva assolutamente perdere i suoi uomini in un modo così stupido, e poi aveva bisogno sempre di braccia da impiegare nel lavoro, perchè erano in pochi. Dopo un po’ Tyrkir fu ritrovato, ma si comportava stranamente, diceva cose senza senso e non si reggeva in piedi. Sembrava ubriaco. Quando si riprese sostenne di avere trovato nel bosco delle viti e delle bacche con le quali aveva tratto un succo che, una volta bevuto, lo aveva inebriato. Ecco che da questo aneddoto la leggenda vuole che sia nato il nome di Vinland, la Terra del Vino. In realtà in quelle zone di Terranova la vite non avrebbe mai potuto attecchire e pertanto gli esperti si sono limitati ad osservare che, per i primi esploratori Vichinghi , quella terra sembrava così fertile che addirittura, a loro parere, si sarebbero potute coltivare delle viti e quindi il termine Vinland dovrebbe essere meglio tradotto con il significato di “Terra molto fertile“ o “Terra fertile da vino“.
In ogni caso Leif e la sua piccola spedizione svernarono nel Vinland in un clima tutto sommato accettabile e l’estate successiva ritornarono in Groenlandia a raccontare la loro impresa, tutti pieni di apprezzamento per quelle terre, per l’assenza di gelo, per l’erba, i boschi e i frutti, per il legname ed i salmoni. Leif Eriksson avrebbe voluto ritornare al più presto nel Vinland ma, purtroppo, nel frattempo suo padre il Rosso era morto e, come figlio maggiore, doveva subentrare necessariamente nella direzione del clan famigliare, come da buona tradizione nordica. Fu deciso che si sarebbe sobbarcato l’onere dell’impresa suo fratello Thornvald, che comunque era un uomo di valore.
Seguendo le indicazione di suo fratello, Thornvald riuscì a raggiungere l’accampamento nel Vinland che Leif aveva costruito nella prima spedizione e, senza indugio, condusse una spedizione esplorativa lungo la costa occidentale di Terranova. Raggiunse l’imbocco di un grande estuario e vi si diresse all’interno, in direzione Ovest. Poco dopo avvenne il primo incontro con i fieri indigeni nordamericani. Purtroppo le cose non andarono molto bene, dopo i primi tentativi di approccio. Gli indiani d’America non erano docili come gli Eschimesi e, in breve tempo, visto che i Vichinghi non erano certo tipi che ci pensavano due volte a tirar fuori asce e spadoni, il tutto finì in una violenta zuffa.
L’unico caduto da parte vichinga fu proprio Thornvald, colpito da una freccia indiana. Senza altre perdite l’equipaggio tornò alle capanne di Leif dove vi trascorse l’inverno senza altri incidenti e la primavera successiva rifece vela per Eiriksfjord in Groenlandia , dove raccontarono a Leif tutto quanto era loro accaduto.
La brutta avventura con gli indigeni americani (soprannominati Skraelingar dai vichinghi, termine dispregiativo che significa “bruttoni urlanti“) aveva lasciato il segno, e Leif, con suo fratello morto, non se la sentì di dare il via ad un vero e proprio tentativo di colonizzazione del Vinland in prima persona. Chi allora tentò veramente di colonizzare quella parte dell’attuale Nordamerica fu un Normanno islandese di nome Thorfinn Karlsefni, un commerciante vichingo che aveva sposato tale Gudrid, una figliastra di Erik il Rosso. Circa 160 uomini e donne tentarono l’avventura portandosi dietro nella traversata anche parecchi animali e riuscirono tutti a raggiungere il Vinland. Ma la vita per loro non fu per niente facile. Da un’analisi comparata che i vari esperti e studiosi hanno tratto dalle descrizioni delle due Saghe nordiche, possiamo dire con certezza che il tentativo di colonizzazione del Vinland durò tre anni, tre anni molto difficili. Non si riuscì a stabilire una vera pace tra i nativi americani ed i vichinghi anzi, nell’ultimo periodo di permanenza scoppiò una vera e propria guerra tra gli “Skraelingar“ e i Nordici. Le linee di collegamento con la Groenlandia erano poi molto esili e molto lunghe, vi erano molti malumori e liti tra le stesse famiglie dell’insediamento ed infine il potenziale umano era veramente insufficiente per resistere sia alle pressioni degli indiani ostili che per rendere vivibile quel territorio.
Karlsefni, sia pure a malincuore decise alla fine di andarsene. Essendo un uomo di buon senso l’islandese si era veramente reso conto che non poteva continuare a far vivere il suo gruppo nella paura di essere totalmente annientato dagli indigeni in combattimento. Questo tentativo di colonizzazione del Nord America si risolse pertanto in un sanguinoso e drammatico esperimento che in sostanza non ebbe seguito. Diversi ricercatori sono concordi nel sostenere che tutti questi viaggi cessarono completamente al più tardi nel 1020 d. C. Altri archeologi sostengono che sporadici ulteriori approdi per meri motivi di caccia e pesca continuarono fino al XIII secolo ma possiamo sostenere che, in realtà, veri e propri tentativi di colonizzazione non si verificarono più e anzi, in seguito, nel corso del medioevo in Europa si perse completamente il ricordo di questi approdi avventurosi e delle tracce dei Vichinghi in Nordamerica.
Questi coraggiosi navigatori nordici potrebbero essere stati veramente i primi nell’era cristiana a raggiungere il Nuovo Mondo anche se, a dire la verità, negli ultimi tempi si sostiene da più parti, e con insistenza, che in quello stesso periodo, o poco dopo, dall’altra parte del continente Nordamericano, sulle coste del Pacifico, potrebbero essere approdati degli esploratori cinesi del Celeste Impero. Ma ovviamente tutto questo, come si è soliti dire, è un’altra storia.
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Bibliografia Essenziale
C.W. Ceram, Il Primo Americano, Einaudi, Torino, 1972.
Roberto Bosi, I Miti dei Vichinghi, Convivio / Nardini, Firenze, 1993.
Gwin Jones, I Vichinghi, Newton Compton, Roma, 1995.
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