Trattando dell’attività di Julius Evola in Ungheria, nel Capitolo III del nostro studio Julius Evola sul fronte dell’Est (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1998, p. 40) avevamo ipotizzato, sulla scorta di alcune informazioni forniteci da Róbert Horváth, che la conferenza evocata nell’evoliana Autodifesa del 1951 avesse avuto luogo nel castello anglo-barocco di Sárszentmihály, oppure al n. 23-25 della budapestina Verbôczy utca, dove nel 1922 aveva parlato anche Thomas Mann. Lo stesso Horváth (nel suo scritto riportato in Appendice al nostro studio, a p. 78) ipotizzava altri possibili scenari del discorso di Evola, finché successive ricerche svolte in Ungheria hanno individuato un’altra casa della contessa Zichy, sita al n. 21-23 di Táncsics utca, sempre a Budapest.
Se non fosse stato opposto un formale rifiuto da parte delle autorità del distretto corrispondente, tre associazioni tradizionaliste ungheresi avrebbero collocato sulla facciata di questo edificio, nel centenario della nascita di Evola, una lapide con la seguente iscrizione:
“Su invito di questa casa, venne in Ungheria Julius Evola (1898-1974), il grande filosofo, politologo, storico delle religioni e pensatore tradizionalista italiano. Per coloro che rendono omaggio non agl’idoli, ma ai princìpi che stanno dietro alle individualità”.
Bisogna dire però che nel paese danubiano l’interesse per l’opera di Evola non si limita ai circoli tradizionalisti. Anzi, in un suo saggio intitolato Un tradizionalista antitradizionale: la scoperta di Julius Evola, il professor Imre Madarász, direttore del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Debrecen, parla addirittura di una “Evola-renaissance in Ungheria”. Quanto allo strano titolo del saggio, è lo stesso professor Madarász a illustrarne il senso:
“Il paradosso supremo, il più grande, il più caratteristico e istruttivo dell’opera e della filosofia di Julius Evola consiste nel fatto che in Europa non è stato attivo un filosofo più antitradizionale di lui, che viene comunemente considerato uno dei più significativi pensatori tradizionalisti se non il più significativo in assoluto. Per l’uomo europeo infatti la Tradizione [Hagyomány], l’unica Tradizione [Tradíció], quella che si può scrivere con la maiuscola, indica proprio ciò che Evola, in maniera sempre più energica nei periodi successivi della sua attività, ha condannato e rifiutato in misura pressoché totale: l’Antichità classica, il Cristianesimo (che Novalis legava all’Europa come un sinonimo, tramite la congiunzione ‘ovvero’), l’Umanesimo-Rinascimento, in cui i due termini precedenti trovano la loro sintesi, nonché quelle correnti che ne custodiscono, ne aumentano e ne sviluppano ulteriormente l’eredità, ossia il razionalismo, l’illuminismo, i liberalismi nazionali, la democrazia; ciò che è al di fuori di ciò, non è Tradizione, perché non è conosciuto o non ha continuità. Ciò che è stato prima, si riduce soltanto a ipotesi, speculazioni, leggende; ciò che a tutto questo si è contrapposto, non merita molta gratitudine da parte dell’Europa: ed Evola ha indicato proprio ciò come tradizione positiva”.
Vi sarebbe da obiettare che il rapporto di Evola con l’Antichità (anche “classica”) e con lo stesso Cristianesimo è un po’ più complesso di come ci viene rappresentato dal professor Madarász. Ma, a prescindere da ciò, qual è il motivo per cui ci si dovrebbe occupare dell’opera di Evola, quando non si condivide il concetto evoliano di Tradizione e si rifiuta la posizione assunta da Evola nei riguardi delle correnti di pensiero che hanno caratterizzato la cultura europea? Secondo il professor Madarász, il valore dell’opera di Evola è quello di una sfida. E siccome oggi incombe più che mai la minaccia di una interruzione della tradizione culturale europea, quella tradizione nella quale risiede l’unico rimedio possibile per i mali che affliggono l’Europa, in particolare l’Europa centrale e orientale, trovare questo rimedio “sarà la risposta più autentica alla sfida di Evola”.
Insomma, pur non concordando con le vedute evoliane, soprattutto per quanto riguarda Illuminismo e Risorgimento, il professor Madarász considera Julius Evola un pensatore significativo e importante, che gli Ungheresi farebbero bene ad approfondire. Tant’è vero che lo stesso professor Madarász ha inserito la voce Evola, Julius alle pp. 347-348 del vol. XIX del Világirodalmi Lexicon [Lessico della letteratura mondiale], uscito a Budapest nel 1996.
Di ben diverso orientamento è il testo di Róbert Horváth intitolato A politika funkciója Julius Evola életmûvében [La funzione della politica nell’opera di Julius Evola], uscito nel 1998, in occasione del centenario della nascita di Evola, presso la budapestina Camelot (che già aveva edito, nel 1996, A múló ember típusa [La razza dell’uomo sfuggente]).
Nel suo testo, Róbert Horváth sviluppa un’idea già implicita nel saggio Evola in Ungheria. Il barone Julius Evola e l’aristocrazia magiara – apparso in appendice a C. Mutti, Julius Evola sul fronte dell’est e poi, in versione ungherese, sul n. 3 (21 giugno 1998) del periodico “Sacrum Imperium”. Secondo Horváth, il radicalismo politico di Evola rinvia ad un significato che si potrebbe definire, in analogia coi livelli di significato più profondi delle dottrine tradizionali, esoterico. In altri termini, nella dottrina evoliana la politica corrisponde a ciò che il linguaggio simbolico dell’esoterismo islamico chiama “la scorza” (al-qishr), ovvero a ciò che potrebbe essere definito il “veicolo” o il “mezzo” espressivo di un significato trascendente. Infatti, la politica evolianamente intesa è, nella sua realtà essenziale, un’azione rituale che consente di occupare il Centro dell’essere e di permanervi in maniera stabile: “Si tratta – scrive Horváth – della conquista della realtà metafisica, dell’Assoluto. Qui si può trovare anche la chiave dell’interpretazione della solarità e dell’affermazione della regalità. Evola riteneva che le forme tradizionali della politica da lui praticate potessero essere i riti di questa appropriazione legittima (legitima usurpatio, come la chiamò De Maistre” (p. 16). Eseguendo l’azione politica come rito, dunque, e “nella misura in cui fu in grado di farlo, egli seppe rendere stabile per sé lo statuto e il diritto della guida spirituale, della preminenza e del primato. Certe indicazioni, certi adattamenti e certe conoscenze sono in lui così perfetti, che non possono scaturire se non dallo statuto spirituale superiore del Centro e dal sapere metafisico che ad esso indissolubilmente appartiene” (p. 19). Insomma, Julius Evola “ha mantenuto il significato trascendente della politica al di sopra del significato mondano e non ha mancato di porre in risalto la possibilità di un passaggio dall’uno all’altro” (p. 23).
Benché diffuso in una tiratura estremamente ridotta (200 esemplari numerati), lo scritto di Róbert Horváth ha avuto una certa risonanza. Infatti sul numero di aprile 1999 della rivista “Havi Magyar Fórum” [Foro Ungherese Mensile] Lajos György ha pubblicato un’ampia e approfondita recensione (Szellem és politika: Julius Evola [Spirito e politica: Julius Evola]), nella quale si osserva come Horváth abbia individuato “una funzione veramente unica e singolare nel posto centrale e decisivo che la politica occupa nell’opera di Julius Evola, una funzione di cui finora non si era parlato nell’abbondante letteratura internazionale riguardante Evola” (p. 44).
Sempre nel 1998, la budapestina Stella Maris ha arricchito il proprio catalogo (in cui figurano opere di Guénon, Burckhardt, Lings, Eliade ecc.) con Orientációk [Orientamenti] di Julius Evola. Si tratta di un volumetto prefato da Róbert Horváth in cui si trovano, oltre ad Orientamenti (Centro Studi Tradizionali, Treviso 1988), anche altri quattro testi evoliani (A harc és gyôzelem árja doktrinája [La dottrina aria di lotta e vittoria], A hôsiesség arcai [Volti dell’eroismo], Az élethez való jog [Il diritto sulla vita], Légy hû saját természetedhez! [Fedeltà alla propria natura]), rispettivamente tratti da La dottrina aria di lotta e vittoria, Ed. di Ar, Padova 1986, e da Etica aria, Europa, Roma 1992. Nel frattempo, Róbert Horváth ha continuato a promuovere la pubblicazione di scritti di Evola e su Evola nella rivista “Pannon Front”, della quale è uno dei principali redattori. Sul n. 15 (1 giugno 1998) è stato tradotto un articolo di Mario Aprile uscito sul n. 6 di “The Scorpion”: Miért pont Evola? [Perché proprio Evola?]. Sul n. 17 (1 ottobre 1998) troviamo due articoli di Evola: A “Bolygó hollandi” [L'”Olandese volante”] e A “Bolygó hollandi” – Látomások a tengereken [L'”Olandese volante” – Visioni sui mari], tratti rispettivamente da “Il Regime Fascista” dell’11 giugno 1936 e del 19 giugno 1936. Sul n. 18 (1 dicembre 1998) vengono proposti un Naplórészlet Julius Evoláról [Brano di Diario su Julius Evola], dalle Memorie di Mircea Eliade, nonché Taurophonos, una recensione, siglata H. R. [Horváth Róbert], di Eis und Licht Tonträger, un CD uscito a Dresda per il centenario di Evola. Anche sul n. 19 è presente Evola, con A cigány hegedûk még mindig szólnak a függöny mögül [Violini tzigani suonano ancora al di là della cortina], da “Roma”, 24 settembre 1954, un pezzo di colore su cui torneremo più avanti. Sul n. 20 (1 aprile 1999): Miklós Alexander Barti, Evola és az SS [Evola e le SS] e Hitler és a titkos társaságok [Hitler e le società segrete], che Evola scrisse per “Il Conciliatore”, XIX, 10, ottobre 1971. Sul n. 23 (1 ottobre 1999): J. Evola, Megjegyzések a “Bal Kéz Útjához” [Note sulla “Via della mano sinistra”], da “Vie della Tradizione”, n. 6, aprile-giugno 1972.
Per quanto riguarda il versante italiano, va segnalato un recente quaderno della Fondazione Julius Evola, Il Maestro Dioniso. Scritti sulla musica 1936-1971, a cura di Piero Chiappano, Roma 1999, dove la musica ungherese e la musica romena costituiscono argomenti di un certo rilievo. Il paragrafo finale dell’articolo Esplorazioni di vita notturna europea (pp. 35-40), originariamente apparso sul “Corriere Padano” del 30 luglio 1938, è dedicato infatti alle orchestre zingare e alla loro “arte negromantica”. Il paragrafo rimette in circolo, abbreviandolo, il contenuto di Ore danubiane, che uscì anch’esso sul “Corriere Padano”, il 20 ottobre 1936, e testimonia la presenza di Evola in Ungheria un paio d’anni prima del famoso viaggio a Bucarest. Ore danubiane non compare nella presente raccolta, mentre viene riproposto Una notte a Bucarest (pp. 41-43), un “pezzo di colore” apparso sul “Roma” del 9 marzo 1951 che è stato riprodotto in Appendice a J. Evola, La tragedia della Guardia di Ferro, Fondazione Julius Evola, Roma 1996, pp. 57-59. Segue Violini tzigani (pp. 45-47), dal “Roma” del 24 settembre 1954, dove la parte finale si limita a riprendere la descrizione di un locale notturno budapestino già fatta in Ore danubiane, mentre quella iniziale, che tratta delle orchestre romene, contiene un paio di motivi meritevoli di attenzione e comunque segnalati dal curatore Piero Chiappano. Il primo di tali motivi è l’idea di una relazione tra l’antico dionisismo tracico e la musica popolare romena: “Grundthema della riflessione musicale evoliana”, nota Chiappano, che ritornerà quattro anni più tardi nella lettera di Evola a Vasile Lovinescu (in Appendice a C. Mutti, op. cit., pp. 101-104). Il secondo motivo è l’apprezzamento positivo dell’anticomunista Evola nei confronti della politica musicale seguita dalle autorità comuniste romene, la quale consiste nel “rispettare e perfino (…) favorire tutto ciò che è folklore di contro alla musica ‘occidentale’ (americana e afro-cubana)” (p. 46). Tale contrapposizione ritorna in Musica moderna e jazz, Capitolo 23 di Cavalcare la tigre ripubblicato in Appendice, dove Evola giudica significativo della contemporanea fase di decadenza il fatto che l’odierna musica occidentale, anziché utilizzare gli elementi del folklore musicale europeo, ad esempio “molti ritmi dell’Europa sud-orientale, romeni o ungheresi” (p. 73), abbia preferito attingere al “patrimonio delle razze più basse ed esotiche, dei negri e dei meticci della zona tropicale e sub-tropicale” (p. 74). Insomma, come osserva giustamente il curatore di questa raccolta, nel “decisivo (…) soggiorno in Romania e in Ungheria (…) Evola fa esperienza di una musica (…) che sembra affidare alle sue possibilità ‘negromantiche’ il contatto col sovramondo e periziare la reazione dell”essere’ agli spossamenti psicologici e trivialmente umani” (p. 13). Del rapporto di Evola con la musica ungherese parla Gregorio Bardini al termine dell’articolo In requiem della musica contemporanea, “Rinascita”, 22 luglio 1999, ripresentando, senza citarne la fonte, i dati contenuti alle pp. 40, 41 e 56 del nostro Julius Evola sul fronte dell’Est, cit.
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(Nella versione integrale dell’articolo, pubblicata su “Studi Evoliani” 2000, segue una parte dedicata a “Evola e la Romania”).
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