Nonostante la paresi agli arti inferiori, cos’altro poteva fare un uomo che era sempre stato attivo intellettualmente, oltre che fisicamente, trovando intorno a sé un “mondo di rovine” non solo materiali, ma forse soprattutto spirituali? Non poteva fare altro che riprendere la sua attività di scrittore propositivo e polemista, di promotore culturale, nel tentativo di offrire le giuste “armi” metapolitiche per una nuova, buona battaglia, per quella che definì una “rivoluzione spirituale”.
E’ quanto fece Julius Evola a partire dal 1949; ma, mentre si conoscono benissimo i libri che egli meditò e scrisse intorno a quel periodo, le opere che revisionò, gli articoli che pubblicò, assai meno si sa della sua funzione di organizzatore culturale, sia nei confronti dei giovani che allora facevano riferimento a lui, sia nei confronti di personalità all’estero, e questo perché le uniche fonti su cui ci si può basare sono i ricordi dei protagonisti e le lettere che Evola scrisse.
Tra la fine degli Anni Quaranta e l’inizio degli Anni Cinquanta Evola cercò di riallacciare i contatti con quelle personalità straniere il cui contributo di idee poteva sembrargli utile nella nuova situazione politico-culturale del dopoguerra, sia che fossero suoi amici, sia che li conoscesse soltanto attraverso i loro scritti. Un atteggiamento “militante”, per così dire, consono alla sua personalità, e che non sempre trovò un adatto riscontro nei suoi interlocutori.
Una delle sue principali attività all’epoca, anche come fonte di sussistenza, era quella di tradurre libri, o di proporre alle case editrici opere che aveva già tradotte o che poi avrebbe tradotte, sempre muovendosi nell’ottica di far conoscere testi importanti per la battaglia politico-intellettuale di quel momento (si sa dell’infruttuosa offerta del Nietzsche di Reininger a Laterza, respinta da Croce, che provocò la rottura tra Evola e l’editore).
E’ appunto con questo intento che il 17 novembre 1953 egli scrisse a Ernst Jünger una lettera rimasta finora inedita. La lettera, che l’Archivio dello scrittore tedesco ci ha trasmessa circa un anno prima della morte di questo, a quanto pare è l’unica che Evola abbia scritta a Jünger o, quanto meno, è l’unica che l’Archivio abbia conservata. Essa verrà pubblicata nella nuova edizione de L'”Operaio” nel pensiero di Ernst Jünger, aumentata di altri scritti evoliani e in uscita presso le Edizioni Mediterranee.
La lettera è tipica delle motivazioni ideali che spingevano Evola a prendere contatto con personalità da lui considerate affini: la richiesta di tradurre Der Arbeiter, vent’anni dopo la sua prima apparizione, sta nelle “analogie del primo col secondo dopoguerra”, sicché “la problematica prospettata in quel libro è di nuovo attuale”; il saggio, dunque, “potrebbe esercitare ancora un effetto di ‘risveglio'”. Se non esistono altre missive evoliane nell’Archivio Jünger, se ne deve dedurre che lo scrittore nemmeno rispose? Sembra strano, dato che all’inizio della sua lettera Evola afferma di aver ricevuto il romanzo Heliopolis con dedica: forse allora Jünger rispose negativamente ed Evola non insistette, decidendo allora di fare l’ampia parafrasi, spiegata e commentata, che apparve nel 1960 presso l’editore Armando e che adesso sta per essere ripubblicata.
Evidentemente Jünger non aveva più quello spirito “militante” che ancora animava Evola: in parte lo dimostrano le opere pubblicate nel dopoguerra, che il filosofo italiano non sempre accolse positivamente, mentre aveva mostrato interesse e apprezzamento (sia per il contenuto sia per lo stile) nei confronti della produzione jüngeriana interbellica, compreso il romanzo “antinazista” Sulle scogliere di marmo, del quale nel 1943 segnalava il profondo senso simbolico. Stesso atteggiamento, peraltro, tenne anche Carl Schmitt: il tentativo evoliano di tradurre qualcosa di suo negli Anni Sessanta per l’editore Volpe fu un insuccesso, come dimostra l’epistolario tra i due.
Da queste lettere, infine, oltre all’atteggiamento attivo e propositivo di Evola emergono anche due notizie biografiche importanti: mentre si era incontrato personalmente con Schmitt e lo aveva conosciuto, ciò non era avvenuto per quanto concerne Jünger. La lettera del 1953 rappresenta il primo (e forse anche l’ultimo) contatto diretto tra i due, anche per un distanziarsi delle prospettive e degli interessi: come risulta dalle recensioni evoliane ad alcune opere di Jünger apparse in seguito (sia inedite che tradotte in italiano), mentre permane l’apprezzamento per lo stile si accentuano le critiche sui contenuti, tanto che tra le varie a disposizione Evola scelse e tradusse per Volpe, negli Anni Sessanta, solo Al muro del tempo, proprio perché aveva punti di contatto e riferimento con L’Operaio (Al muro del tempo viene ora annunciato da Adelphi, ma si può scommettere che l’edizione evoliana sarà ignorata).
La critica man mano più accentuata delle nuove posizioni dello scrittore tedesco da parte di Evola fa sì, certe volte, che non vengano messe in evidenza le reciproche consonanze, almeno nell’immediato dopoguerra. Il filosofo tradizionalista non ha una buona opinione, ad esempio, di Der Waldgang (in Italia reso come Trattato del Ribelle), mentre, ad una attenta analisi, si può constatare che parecchie delle posizioni esistenziali e psicologiche di “Colui che va nel bosco” sono simili a quelle espresse, proprio in quello stesso periodo (1950-’51) da Evola in Orientamenti e, dieci anni dopo, in Cavalcare la tigre: infatti, per fare un solo esempio, la jüngeriana “via della salamandra” ha molti contatti con l'”apolitia” evoliana. Lo scopo è lo stesso: passare indenni attraverso la combustione della Modernità.
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Il testo della lettera di Julius Evola a Ernst Jünger
Il presente saggio è stato tratto dal sito http://www.geocities.com/Athens/Troy/1856
Kaspar Hauser
Anche se è stato messo tra virgolette,occorre specificare che “Sulle scogliere di marmo”di Junger non è affatto un romanzo antinazista.