E’ sempre piacevole leggere gli scritti di Leonardo Magini per la facilità con cui riesce a catturare l’interesse del lettore, coordinando e presentando le sue conoscenze della tradizione etrusco-romana (e non solo). Negri, nella prefazione, ricorda Astronomia etrusco-romana,[1] dove Magini ha dimostrato “la sussistenza nella prisca Roma di un sapere astronomico giuntovi apparentemente ex improviso, per l’invenzione numana. E giacché tutto ciò […] non può appartenere alla tradizione interna del popolo romano – ed è anzi letto dalle fonti proprio come riforma del calendario di Romolo, questo sì primitivo e disorganizzato -, l’autore propone che le spettacolari coincidenze di queste conoscenze numane con tradizioni e saperi che palesemente rinviano al Vicino Oriente, soprattutto babilonese, “saltando” la Grecia, siano il frutto della mediazione etrusca fra il Vicino Oriente e l’Italia, in cui li avrebbe portati la loro migrazione dalla Lidia” (p. 11).
In questo volume è stato riunito il contenuto di alcune relazioni tenute al Sodalizio Glottologico Milanese tra il 1996 e il 2004 inerenti ai rapporti tra onomastica etrusco-romana e lessico indoiranico con particolare riguardo al mito. Mito ‘etrusco-romano’, perché – giustamente ricorda l’Autore nella premessa – “a volte è difficile definirne l’origine, assieme a quella dei nomi dei protagonisti; valga per tutti l’esempio del ratto delle Sabine, i cui nomi a stretto rigore dovrebbero essere latini o sabini, e invece ci giungono quasi certamente per un tramite etrusco” (p. 15).
I nomi dei mesi, i nomi del mito etrusco-romano, i toponimi, i teonomi, le glosse, i termini comuni del lessico etrusco e i termini latini di etimologia ignota sono gli argomenti in cui era diviso il materiale delle relazioni che nel presente volume è stato riorganizzato secondo l’ordine alfabetico (il nostro e non quello etrusco). Quasi voci enciclopediche, veri saggi di lunghezza variabile ma di contenuto intenso.
Magini ha voluto segnalare un dato di fatto: “che l’etrusco è una lingua portatrice di una onomastica del mito – e forse anche di un lessico – che presentano singolari affinità con il lessico dell’indo-iranico” (p. 16). Questo studio potrebbe aprire “la strada a una ‘riscoperta’ dell’etrusco per via semantica e a una riconsiderazione del suo posto nel contatto con la protostoria delle lingue dell’Oriente indoeuropeo” (p. 17).
Dovendo selezionare tra quanto vorrei segnalare, mi piace ricordare “la concordanza, in quattro casi su otto, dei nomi dei mesi etruschi e antico persiani” (p. 23). Di particolare importanza considerando la difficoltà di trovare nelle lingue indoeuropee comuni nomi dei mesi.
Molti ricorderanno il mito di Ercole e Caco, pochi, forse, quello rappresentato in un celebre specchio di Bolsena che ci documenta il mito, altrimenti sconosciuto di Cacu degli eroici gemelli etruschi Vipinas (Avle e Caile) – ovvero i fratelli Vibenna – e di Artile il cui nome non è ricordato da nessun’altra fonte classica.[2]
Alla voce husrnana troviamo una dissertazione storico-religiosa oltre che linguistico comparatistica gravitante intorno allo zafferano e al suo uso iniziatico.
Particolarmente rilevante il gentilizio Arianas, attestato in epoca alta nel territorio fiesolano, che “va interpretato direttamente e semplicemente come “ariano” e costituisce la forma etrusca del nome proprio che gli stessi ‘arii’ o ‘ariani’ usavano per identificarsi” (p. 73). Come ricorda Dionisio di Alicarnasso[3] gli etruschi chiamavano se stessi col nome di un loro capo, Rasenna. Le iscrizioni confermano la forma rasna, “e va collegato alla forma, indoeuropea anche questa, che dà in latino la forma nominale rex, “colui che dirige, re” e in sanscrito la forma verbale rajati, ” (p. 74) e il derivato raja.
Da segnalare anche il lungo e articolato dossier dedicato a Scaevola, Mucius e Cordus che spazia dagli studi di mitologia comparata indoeuropea di Georges Dumézil alle fonti classiche: Plutarco e Livio[4] ma anche Cicerone.[5] Attraverso il culto di Fides per giungere agli istituti giuridici della nuncupatio e della mancipatio. Per concludere che “ancora una volta l’etrusco si porrebbe come una lingua portatrice di un lessico affine all’indoiranico, trasmesso al latino dove lo si ritrova fossilizzato nell’onomastica del mito” (p. 89).
Magini individua il significato dei tre nomi che il mito lega all’etrusca disciplina: Vecu è la “Voce” (o la “Parola” o il “Discorso”); Tages è il “Testo” (o meglio il “Contesto”); Tarchon è “Colui che medita, riflette ragiona, specula”. Più avanti ci ricorda che la “nozione di albero felix[6] è di origine etrusca” (p. 115 n. 127).
Terminiamo il nostro florilegio da questo prezioso volume ricordando che “tra i nomi delle divinità romane ve ne sono diversi che, già nella loro forma latina, denunciano – secondo l’opinione prevalente – la provenienza dall’etrusco. Prendiamone due tra i più importanti: Saturnus, o Saeturnus, e Vertumnus, o Vortumnus. Del primo si sospetta la presenza nella sua forma originale nel Satres del Fegato di Piacenza” [7] (p. 103) mentre il secondo è definito da Varrone[8] deus Etruriae princeps.
Un libro di sicuro interesse per chiunque è attratto dalla Tradizione di Roma, indipendentemente dal fatto che il sistema concettuale indoiranico sia “appartenuto anche alla preistoria della lingua etrusca” (p.122). Concludendo – e attenzione Magini si modera – “l’etrusco è una lingua dall’Oriente indoeuropeo, una lingua che ha avuto in tempi immediatamente protostorici forti e profondi contatti con le lingue dell’Oriente indoeuropeo” (p. 122).
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LEONARDO MAGINI, L’Etrusco, lingua dall’oriente indoeuropeo, prefazione di Mario Negri, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2007, pp. 134, s.i.p.[9]
[1] L. Magini, Astronomia etrusco-romana, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2003, cfr. la ns. Rassegna bibliografica, in “Arthos”, n.s., 12, [pp. 247-253], pp. 252-253.
[2] Per un approfondimento del mito di Ercole e Caco e dello specchio di Bolsena vedi L. Magini, La quaglia e la cornacchia – Quattro dialoghi sul mito di Ercole e Caco, Guerini, Milano 1991.
[3] Dionisio 1.30.3.
[4] Plutarco, Publicola 17, Livio, 2.12, Dionisio 5.29, Floro 1.10.
[5] Cicerone, De officiis, 3.15, 3.17 e 3.31.
[6] Sui significati giuridici e religiosi cfr. R. del Ponte, Aspetti del lessico pontificale: gli “arbores felices”, in Id., La Città degli Dei, Ecig, Genova 2003, pp. 71-74.
[7] TLE 719.
[8] Varrone, De lingua latina, 5.46.
[9] Recensione originariamente pubblicata ne “La Cittadella”, a. VII, n.s., n° 29, genn.-mar. 2008, pp. 77-79.
paolo fedeli
Penso di condividere la q u i d d i t à del libro, anche perché Erodoto ci dice che gli Etruschi provenivano dall'Iran, o, meglio, egli dice dall'ASIA Minore. Nel carro etrusco che fu portato in Usa vi sono istoriate scene omeriche-sarà solo coincidenza? Ho scritto, anni fa, ETRURIA REGIONE D'EURASIA. E' solo un p a m p h l e t per contrastare i celtomaniaci del tempo. Spero che possa stamparlo, o prima o poi. Mi interesserebbe leggere il libro dello studioso, naturalmente.
Anonimo
[…] prefazione di Mario Negri, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2007, pp. 134, s.i.p L'etrusco, lingua dall'Oriente indoeuropeo | Mario Enzo Migliori Ma, mi pare che l'Autore sia tornato un po' sui proprii passi, rispetto alle proposte […]