Nella pluralità chiassosa e multiforme che caratterizza il Sistema – pluralità comunque illusoria, tesa a mascherare la sostanziale convergenza delle sue forme – spicca, per l’unanimità che lo circonda, il tema dei “diritti umani”. Al giorno d’oggi non c’è nessuno – nessuno – che osi pubblicamente dichiararsi estraneo alla morale dei diritti dell’uomo ed alla filosofia che ne è alla base. Ciò è facilmente constatabile se solo si osserva il “dibattito” che ha caratterizzato questi giorni di guerra, dibattito essenzialmente teso a “dimostrare” se il modo migliore per esportare nel mondo i valori “universali” dei diritti dell’uomo sia attraverso l’utopia cosmopolita e pacifista alla Emergency oppure tramite lo sbrigativo pragmatismo yankee alla Bush. Due prospettive, come si vede, così lontane eppure così vicine; nessuna delle due, comunque, si allontana dagli stessi valori di fondo e dalla stessa ideologia implicita. I diritti umani rimangono sempre sullo sfondo, tacitamente assunti come valore supremo. Comprendere l’essenza di questa moderna religione, scoprirne le origini e lo sviluppo ci sembra quindi essenziale per chiunque oggi voglia porsi in contrapposizione col Sistema senza avere le armi spuntate in partenza, trovandosi a combattere il fuoco con la benzina.
Genealogia della dottrina dei diritti umani
I “diritti dell’uomo” sono la suprema espressione dell’Egualitarismo, ovvero di quella tendenza storica nata e affermatasi per la prima volta nella storia con il giudeo-cristianesimo ed in seguito dispiegatasi storicamente nelle sue varianti laiche (democrazia liberale, comunismo, mondialismo ecc). La fase originaria – quella che Giorgio Locchi chiamava la fase “mitica” [1] – dell’Egualitarismo contiene già in sé tutti i suoi sviluppi futuri, seppur in forma latente e non espressa. Questo vale anche per la dottrina dei diritti umani.
Nota Stefano Vaj [2], infatti, che il monoteismo giudeo-cristiano contiene, nella sua prima formulazione, tutti i postulati teorici che stanno alla base della moderna dottrina dei diritti dell’uomo: la credenza in un diritto naturale la cui validità trascenda ogni diritto positivo concreto e sia espressione di una morale oggettiva e universale; l’affermazione della priorità dell’individuo su ogni comunità organica, affermazione direttamente conseguente dall’idea della salvezza individuale; la credenza nell’esistenza di una “persona umana” indipendente da ogni determinazione concreta, cioè il primato dell’“Uomo” tout court sugli “uomini” storicamente situati; la mentalità universalista e cosmopolita che considera il genere umano come una unità indifferenziata rispetto alla quale ogni appartenenza è un accidente trascurabile. Tutti questi mitemi sono contenuti in modo chiaro ed esplicito nella formulazione originaria della tendenza storica egualitarista; questo non vuol dire, tuttavia, che nella Bibbia si trovino espressi, anch’essi in modo esplicito, i diritti dell’uomo stessi così come li conosciamo oggi. Per giungere a ciò, l’Egualitarismo deve dispiegarsi totalmente, attraversando e consumando fino in fondo la sua fase “ideologica” – usiamo sempre il linguaggio di Locchi –, la fase, cioè, in cui le differenti ideologia sorelle, nate dallo stesso seno, si contrappongono l’un l’altra. E’ questa la fase storica che coincide con il periodo che va dall’affermazione del Protestantesimo sino alla fine dell’Ottocento. In quest’arco di tempo le diverse forme ideologiche dell’Egualitarismo, dimentiche della propria comune origine, si danno battaglia, ciascuna rivendicando il primato nell’affermare la medesima visione del mondo.
I fondamenti teorici della dottrina dei diritti umani emergono in modo sempre più evidente all’interno della riflessione egualitarista (pensiamo a Grozio, a Locke, a Kant, alle Costituzioni statunitensi, alle Dichiarazioni solenni della Francia post-rivoluzionaria, agli ideali di fratellanza universale che costantemente emergono all’interno della tradizione marxista ecc.), e tuttavia non si è ancora in grado di “ricomporre l’infranto”, per dirla con Benjamin; cosa manca? E’ ovvio: manca un nemico assoluto di fronte al quale coalizzarsi e ritrovare la perduta unità. Questo nemico, è appena il caso di dirlo, è rappresentato dall’emergere nella cultura europea di una tendenza nuova, antiegualitaria e antiumanista, cristallizzatasi poi politicamente nei movimenti fascisti europei. E’ nella guerra contro il Fascismo che l’Egualitarismo trova la sua sintesi finale sotto l’insegna dei diritti umani. Questa ritrovata unità troverà la sua celebrazione nella faida giudiziaria di Norimberga. Tutto il dopoguerra, poi, servirà per espellere ogni “residuo ideologico”. In questo senso va inteso tutto il travaglio – tra pentimenti, conversioni, ripensamenti e psicodrammi – dei “progressisti” in cerca, per tutta la seconda metà del Novecento, di un comunismo “dal volto umano”, di un ideale di emancipazione finalmente depurato di ogni velleità rivoluzionaria, di ogni slancio di eroismo, di ogni tentazione autoritaria. Troveranno tutto ciò nel culto dei diritti umani, vero punto di convergenza di tutte le ideologie egualitarie vecchie e nuove, luogo di raccolta per tutti gli spretati della rivoluzione e maoisti in crisi di coscienza. Il 1989, anno della caduta del muro di Berlino – e bicentenario della rivoluzione francese … rappresenterà quindi la data del trionfo della dottrina dei diritti dell’uomo quale nuova religione laica del Sistema.
Trionfo di una morale
Definitivamente assurta a “orizzonte morale dei nostri tempi” (Robert Badinter), la religione dei diritti dell’uomo celebra oggi il suo trionfo e la sua espansione planetaria. Virus ideologico dalla capacità etnocida pressoché totale, questa morale presuntamene universale fornisce l’armatura ideologica ad un neo-colonialismo che al posto del “fardello dell’uomo bianco” ha oggi come giustificazione un devastante coktail di angelismo e ipocrisia. “Cercando di imporre una norma morale particolare a tutti i popoli, [la religione dei diritti dell’uomo… mira a ridare buona coscienza all’Occidente permettendogli di istituirsi una volta di più come modello e di denunciare come ‘barbari’ coloro che rifiutano questo modello”[3].
La distruzione dei popoli passa anche da qui, dall’imposizione a livello planetario dei “valori” occidentali e dalla conseguente disintegrazione di ogni legame organico, di ogni tradizione particolare, di ogni residuo di comunità – tutti ostacoli alla presa di coscienza della nuova “identità globale” da parte del cittadino dell’era della globalizzazione. “Come edificare la ‘società’ multirazziale? Evidentemente estirpando ogni precedente identità (e quindi differenza). La cancellazione delle differenze è l’a priori trascendentale, la condizione di possibilità della ‘società’ multirazziale. Ma con cosa riempire questo vuoto? Ricorrendo necessariamente ad uno strumento astratto (e quindi ideologico). E allora: il diritto è la risposta; dunque accumunare ogni uomo attraverso il diritto. Ma quale diritto?”[4].
La risposta è ovvia: attraverso la concezione astratta e anti-politica dei diritti dell’uomo. Se la globalizzazione è il nostro destino – come vuole la vulgata – allora i diritti dell’uomo contengono in sé una verità para-religiosa, sono veramente l’espressione di una morale che ha il suo fondamento in un rinnovato “senso della storia”. Pretendendosi verità auto-evidente (Cfr. la Dichiarazione d’Indipendenza americana: “Noi consideriamo come verità di per sé evidenti che gli uomini nascono uguali….
La morale dei diritti si fa dogma, si sottrae ad ogni messa in discussione. Chi si oppone, quindi, o anche chi semplicemente ostenta indifferenza, va a porsi contro una specie di Verità indiscutibile, contro una sorta di Legge immanente nella storia; egli è un eretico, un blasfemo, un Nemico dell’Uomo. Da qui la foga inquisitoria, da parte della “nuova classe” contro popoli e singoli individui colpevoli di trasgredire ai dogmi del politicamente corretto.
Quindi?
Usciamo dai luoghi comuni indotti dal Sistema: rigettare la dottrina dei diritti dell’uomo non significa parteggiare per lo sterminio, per l’ingiustizia o per l’odio. Checché se ne dica nella Dichiarazione Universale, non è il riconoscimento di tale dottrina a fondare “la libertà, la giustizia e la pace nel mondo”. Libertà, giustizia e pace esistevano anche prima che l’espressione “diritti umani” avesse un qualche senso. Il riconoscimento dei diritti umani, di per sé, non fonda proprio nulla, se non quel tipo di giustizia e di libertà che, tautologicamente, si trovano espresse… nella dottrina dei diritti umani! Malgrado il fatto che i sostenitori di tale dottrina continuino a pensare di aver “inventato la felicità”, occorre sostenere con decisione che un’altra giustizia, un’altra libertà, un’altra pace sono possibili. Opporsi ai diritti dell’uomo significa rifiutare una morale, un’antropologia, una certa idea dei rapporti internazionali e della politica, una visione del mondo globale figlia di una tendenza storica ben individuabile; al giorno d’oggi “è il primo fondamentale gesto sovversivo che si impone a chi voglia schierarsi per una rigenerazione della storia contro l’universalismo mercantilistico ed occidentale” [5].
* * *
NOTE [1] Cfr Giorgio Locchi, Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista, Akropolis, Roma 1982.
[2] Stefano Sutti Vaj, Indagine sui diritti dell’uomo, LEDE, Roma 1985.
[3] Robert de Herte, Un instrument de domination, in Eléments n. 107, décembre 2002.
[4] Giovanni Damiano, Elogio delle differenze, Edizioni di Ar, Padova 1999.
[5] Stefano Sutti Vaj, op.cit.
Tratto da Orion 226 (luglio 2003).
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