Tale è l’importanza di questo – secondo la definizione d’Athanasius Kircher – aureo libello che ne vediamo pubblicate due diverse edizioni in così breve tempo: nell’arco di circa diciotto mesi.
La communis opinio considera il De diis et mundo una specie di catechismo, scritto per appoggiare la “reazione” guidata da Giuliano Augusto. “Dati storici, stilistici, concettuali e di buon senso impediscono di giungere a una tale conclusione. Il trattato non è un catechismo pagano, ma un’introduzione alla filosofia neo-platonica” (1). Tra l’altro “l’ipotesi è infelice perché il tono stesso di Sugli dèi e il mondo non è quello della predicazione o della propaganda, ma rivela una considerazione pacata delle cose” (2). Ma soprattutto – giusta l’intuizione acutissima di Cumont – parte del testo del libretto implica che sia dedicato alla memoria di Giuliano. “Il libro di Salustio è, allo stesso tempo, un atto di memoria e un’opera in memoriam: non un pamphlet polemico, ma un’introduzione all’amore della sapienza e – attraverso questa – la ricapitolazione di un’amicizia” (3).
Il “Salustio filosofo” autore del libro secondo la tradizione letteraria, altri non è che Saturninio Secondo Saluzio cui Giuliano aveva dedicato diverse orazioni e che era stato suo consigliere in Gallia e “vicino di scudo” (4) negli anni gloriosi della campagna contro i Germani ed in seguito fu per lungo tempo praefectus praetorio Orientis. Per ben due volte dopo la morte di Giuliano declinò l’ovazione con cui le legioni romane proclamavano l’imperatore. “Ma non scomparve dalla scena politica: gli imperatori successivi non si privarono della sua preziosa collaborazione” (5).
Una statua aurea gli fu eretta nel Foro Traiano “per meriti eccezionali nei confronti dello stato” (6). Ma Roma non lo ricorda solo come uomo politico, ma, soprattutto, come filosofo e scrittore tanto che Salustius autor sarà uno dei dodici “classici” che appaiono nei contorniati (Un trascurato strumento di propaganda dell’aristocrazia pagana della città di Roma nella sua lotta contro l’impero cristiano, come recita il sottotitolo di una celebre opera dell’Alfoldi (7)) insieme, tra gli altri, ad Omero, Socrate, Euripide, Orazio e Apuleio.
“Tuttavia, – come scrive il Di Giuseppe – il nesso più appariscente tra Sugli dèi e il mondo e Roma ‘pagana’ – ma, vale la pena ripeterlo, si dovrebbe dire ‘urbana’, pensando all’urbanitas, al costume aristocratico – sta in un monumento che, come dice Bloch, ogni visitatore di Roma conosce: la Porticus Deorum Consentium dietro al Campidoglio, “l’ultimo monumento pagano destinato al culto da una personalità ufficiale nella città di Roma”. Questo monumento, che Pretestato fece restaurare, rivela infatti una concezione del politeismo in forte parallelo con il libro di Salustio. La presenza del culto dei dodici dèi, che in quest’epoca di sincretismi viene rafforzata dall’atteggiamento classico di Sugli dèi e il mondo, avvicina i due modi di vedere le cose. Dodici – non sarà un caso – sono già i contorniati che ricordano gli auctores del mondo classico. Ma il punto importante è che i Dodici Artefici, in Sugli dèi e il mondo come nel tempio in questione, sono venerati in un culto unitario: indicazione precisa del neo-platonismo solare di Giuliano, Salustio, Pretestato e Macrobio. Sarà sufficiente notare quante volte Helios e la luce sono nominati in questo libretto, per trarre un’indicazione dell’unità tra Macrobio, Pretestato, il culto solare dei Flavi e la luce neo-platonica di Sugli dèi e il mondo: non quella di paradisi di villeggiatura oltremondana, ma quella che deriva dalla trasparenza delle cose: quella che sempre risulta, e risulterà – in filigrana – dalla visione intelligente dell’animale-uomo” (8).
Dell’edizione pubblicata da “Il leone verde” ci lascia perplessi la postfazione di Bruno Cerchio, ambigua già nel titolo: La restaurazione impossibile; quando la stessa curatrice Valeria Vacanti nell’introduzione afferma che è dunque errato definire l’operazione giulianea una “reazione pagana” (9).
“Giuliano rappresentò la difesa della civiltà classica; ma la fama, che lo avvolge, di persecutore del cristianesimo – sono le giuste considerazioni del Di Giuseppe – è usurpata. Si dimentica che Giuliano imperatore non si macchiò di una sola goccia di sangue cristiano; cosicché tale fama sembra procedere dalla semplice promulgazione di due editti. E siccome con il primo, il 4 febbraio 362, Giuliano non abolì il cristianesimo, ma dichiarò equivalenti tutte le religioni, ritornando allo statu quo del cristiano Costantino, gli studiosi alla fine devono convenire che la punta della politica anticristiana dell’Augusto non fu che un editto de professoribus, con il quale, il 17 giugno 362, Giuliano vietò ai cristiani l’insegnamento della retorica” (10).
“Con intuizione acutissima, Giuliano colpiva nelle fondamenta del sistema educativo la radice del dualismo cristiano, l’ipocrisia, quell’atteggiamento che poi si è definito ‘accademico’ rispetto a tutto ciò di cui ci si occupa o che si propugna. Colpiva, così, la divergenza tra parole e fatti, che magari è la radice di ogni decadenza dei costumi” (11).
Ma torniamo al trattato salustiano, esso racchiude e condensa in poche pagine i postulati fondamentali della cultura religiosa e filosofica classica ed ha uno scopo iniziatico. La parte introduttiva (cap. I-IV) espone i postulati essenziali della filosofia del divino e illustra, attraverso l’esegesi di due miti particolarmente importanti (Attis e Paride), il significato degli Dèi nel mondo del divenire. La parte centrale (cap. V-XII) ha il compito di esporre in forma succinta gli elementi fondamentali di un sistema neoplatonico fra cui il problema dell’anima e della presenza del male sulla terra. La terza e ultima parte (cap. XIII-XXI) è un approfondimento ad alto livello di quanto precedentemente illustrato. “E’ evidente come siffatta ripartizione riveli una concezione esoterica della conoscenza filosofica, concepita in modo iniziatico: chi non ha un’anima sufficientemente preparata da un’adeguata formazione filosofica non può accedere alla lettura della terza parte che rivela il fine ultimo del destino umano: l’unione con gli Dei” (12).
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Note
1) Riccardo Di Giuseppe, Sugli dèi, il mondo e gli affari umani, in Salustio, Sugli dèi e il mondo, Adelphi Edizioni, Milano 2000, p. 51.
2) Ibidem, p. 53.
3) Ibidem, p. 54.
4) Giuliano, or. 8, 242a (191, 17 Bidez).
5) Valeria Vacanti, Introduzione a Salustio, Gli Dei e il Mondo, Edizioni Il leone verde, Torino 1998, p. 10.
6) CIL, 6, 1764 = Dessau 1255.
7) Andràs Alfoldi, Die Kontorniaten, Ein verkanntes Propagandamittel der stadtroemischen heidnischen Aristokratie in ihrem Kampfe gegen das christliche Kaisertum, Budapest – Leipzig 1942-1943.
8) R. Di Giuseppe, op. cit., pp. 60-61 (cfr. note relative).
9) V. Vacanti, op. cit., p. 16.
10) R. Di Giuseppe, op. cit., pp. 13-14 (cfr. note relative).
11) Ibidem, p. 15.
12) V. Vacanti, op. cit., p. 37.
Tratto da Arthos, 7-8 n.s., 2000, pp. 289-291.
Salustio, Sugli dèi e il mondo, a cura di R. Di Giuseppe (testo greco a fronte), Adelphi Edizioni, Milano 2000, pp. 268. (IBS) (BOL) (LU)
Salustio, Gli Dei e il Mondo, a cura di V. Vacanti, Edizioni Il leone verde, Torino 1998, pp. 144. (IBS) (LU)
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