Cenni storici sull’Arabia preislamica

Caratteristiche Geografiche.

La Penisola Araba (jazirah al-‘arab), la più vasta penisola desertica della Terra, è considerata dagli arabi la culla della loro cultura da più di due millenni[1]. Questo infinito oceano di sabbia rettangolare, grande più di tre milioni di chilometri quadrati, è caratterizzato ad occidente da una serie lunghissima di catene montuose che s’innalzano da nord (Golfo di Aqaba) a sud (Golfo di Aden) e attraversano sia le regioni centro-settentrionali del Higiàz, sia quelle meridionali dell’Asir.

Le montagne higiàzene non superano i duemilacento metri di altitudine e costituiscono una vera e propria “barriera” che divide la bassa fascia costiera – la Tihamah – dal grande altopiano centrale del Nagd[2]. L’Higiàz confina a nord-ovest con il Mar Rosso, a nord-est con le altissime dune di sabbia del Nafud che si estendono per circa settantamila chilometri quadrati e a sud-est con uno dei più ampi deserti di sabbia al mondo, il “Quarto Vuoto” (rub‘ al-khali) che misura seicentocinquantamila chilometri quadrati. I due centri stanziali più antichi di questa regione, Mecca (al-bakkah) e Medina (yathrib), oggi sono le due città sante verso cui milioni di musulmani di tutto il mondo si rivolgono a pregare cinque volte al giorno.

Nel Yemen, le cime del massiccio di Asir svettano fino a tremila metri. Le aree meridionali dell’Arabia si distinguono da quelle settentrionali per la fertilità del suolo, le abbondanti piogge provenienti dall’India e i progrediti sistemi di irrigazione. Ancora oggi, i terreni del Yemen e dell’Oman si sviluppano, come in passato, sui pendii delle montagne (coltivazione a terrazze) e a parte alcune oasi sparse qua e là, il Sud rimane uno dei pochi angoli della jazirah in cui a dominare è il colore verde.

Genti d’Arabia.

Nell’Arabia preislamica coabitavano due popolazioni semitiche: gli arabi del Nord, i (semi)nomadi beduini (badawi) con condizioni di vita rudimentali e gli arabi del Sud, i sedentari (hadar) con le loro progredite aree agricole[3]. I loro progenitori si chiamavano rispettivamente ‘Adnan e Qahtan. Dal primo discendevano gli arabi settentrionali, coloro che prima risiedevano nel deserto della Siria e in seguito all’addomesticamento del cammello (II millennio a.C.) si sparsero in varie zone della Penisola; dal secondo derivavano gli arabi meridionali, i nomadi Amorrei, dapprima stanziatisi in Mesopotamia nel corso del III millennio a.C. e, in seguito, spostatisi nelle regioni sud-arabiche dove si trasformarono in tribù allo stato sedentario.

Gli arabi settentrionali risiedevano nei territori aridi e stepposi del centro-nord e rappresentavano la maggior parte della popolazione[4]. Le loro attività principali erano l’allevamento di pecore, capre e cammelli, la caccia e le scorrerie. I beduini praticavano un nomadismo di tipo pastorale e per questo erano costretti a spostare periodicamente i loro animali per sfruttarne i magri pascoli. Durante la stagione estiva preferivano accamparsi nelle oasi o nei pressi dei villaggi per poter barattare i loro prodotti, come per esempio il latte e le pelli, con altre mercanzie (datteri, cereali, armi e tessuti). Se per gli abitanti delle oasi, la palma da dattero rappresentava il principale sostentamento di vita, per i beduini del deserto il cammello era un altrettanto preziosissimo mezzo, non solo di sopravvivenza, ma anche di trasporto. Questo animale, soprannominato la ‘nave del deserto’, permetteva loro di percorrere centinaia di chilometri al giorno trasportando enormi carichi, consumando poco foraggio e resistendo senz’acqua alle lunghe marce sotto il sole cocente[5].

La dicotomia tra nomadi e sedentari non era così netta per motivi soprattutto ambientali e perciò poteva accadere che i sedentari fossero presenti anche nei luoghi abitati dai beduini e viceversa. Nelle regioni settentrionali, le tribù nomadi dei Nabateni e dei Palmireni furono in grado di sviluppare degli Stati indipendenti grazie soprattutto al commercio. Dal 63 a.C., anno in cui iniziò a frantumarsi l’Impero Seleucide, i Nabatei crearono nell’attuale Giordania una società molto fiorente: la loro capitale, Petra, rimase per circa tre secoli un crocevia importante sulla via carovaniera tra il Mediterraneo, il Sinai, l’Higiàz e l’Arabia meridionale[6]. Questa città, “ (…) scavata all’interno di una gola nell’arido e cocente deserto giordano circa 200 chilometri a sud-est di Gerusalemme e 120 chilometri a nord di Aqaba (…)”[7] era considerata un punto nevralgico, sia per l’immagazzinamento delle merci, sia per i traffici commerciali. Il primato di Petra durò fino al 106 d.C., quando l’imperatore Traiano annesse lo Stato dei Nabatei alla Provincia Arabia con capitale Bosra[8]: da allora, la maggior parte dei commerci controllati dai Nabatei passò nelle mani dei Palmireni e la città di Palmira prese il sopravvento su Petra. Palmira era un luogo ricco di sorgenti d’acqua e circondato da una vegetazione rigogliosa, in particolare di palme ed ulivi. Le merci che arrivavano a Palmira provenivano non soltanto dall’India e dall’Arabia meridionale ma anche dall’Estremo Oriente attraverso due vie principali: quella del Golfo Persico e quella che attraversava l’Asia centrale e la Persia[9].

Gli arabi meridionali[10] erano agricoltori-allevatori e vivevano in condizioni climatico-ambientali davvero invidiabili rispetto a quelle dei nomadi del centro-nord. Essi risiedevano nei territori montuosi fertili, bagnati da piogge periodiche e attraversati da corsi d’acqua che favorivano la coltivazione dei terreni e, di conseguenza, la sedentarizzazione delle popolazioni. Tra il II millennio a.C. e i primi secoli dell’èra cristiana nel Yemen, regione sud-occidentale della Penisola Araba, si insediarono alcune genti semitiche non arabe che crearono dei piccoli regni molto sviluppati. Queste popolazioni erano simili agli arabi, ma non identiche: le accomunavano la lingua, il sudarabico, ma differivano dagli abitanti autoctoni per religione, politica, società ed economia. Esse provenivano dalle zone aride e steppose dell’Arabia nord-orientale e “ (…) percorsero presumibilmente la via carovaniera che scendeva, a una certa distanza dalla costa, lungo il Golfo Persico fino alla grande oasi di al-Hagar (…) e che di lì piegava prima verso sud-ovest, penetrando nel cuore della penisola attraverso una serie di oasi, e poi più decisamente verso sud, costeggiando a occidente il rub‘ al-khali fino all’oasi di Nagràn, dove si congiungeva con l’altra via carovaniera che proveniva dal Mediterraneo; poco più a sud cominciava lo Yemen”[11].

La penetrazione di queste genti verso l’Arabia meridionale avvenne molto lentamente e in periodi successivi dando vita a quelli che l’Impero Romano riunì sotto il nome di Arabia Felix[12]: i Regni Sudarabici. Il benessere dell’Arabia Felix si basava sull’agricoltura, con i suoi perfezionati metodi d’irrigazione e sul commercio delle spezie e delle rinomate essenze d’Oriente che viaggiavano fra l’Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo. Per molti secoli, i Regni Sudarabici controllarono la più importante strada commerciale dell’antichità, che collegava gli empori dell’Arabia meridionale ai porti della Siria e dell’Egitto, snodandosi lungo la costa del Mar Rosso. Perle del Golfo Persico, spezie e tessuti dell’India, seta della Cina, oro, avorio e schiavi provenienti dall’Africa orientale risalivano l’Arabia fino ai mercati del Mediterraneo.

In particolare, i cammellieri trasportavano due prodotti molto pregiati: la mirra e l’incenso del Hadramàut[13]. Queste due resine erano utilizzate in svariati modi e il loro commercio, molto fiorente e redditizio, interessò diverse zone del mondo antico. Entrambe erano indicate nella cura di alcune malattie come la cefalea, le infezioni e la paralisi, ma venivano utilizzate anche nella preparazione dei profumi, dei cosmetici e degli unguenti (soprattutto la mirra). L’incenso era molto richiesto dagli antichi egizi che lo utilizzavano nel procedimento dell’imbalsamazione, dai babilonesi che diffondevano il suo soave profumo durante i rituali in onore delle divinità, infine dai romani, prima del Cristianesimo, i quali usavano bruciare grosse quantità d’incenso nelle cataste di legno innalzate per distruggere i cadaveri.

L’Arabia Felix dette una forte stabilità economica all’intera Penisola Araba e consentì ai suoi abitanti di condurre – grazie a un sistema di scrittura alfabetica, a un fiorente commercio, a delle sviluppate strutture economico-amministrative e a un ricco pantheon astrale – una vita sociale e religiosa più progredita rispetto a quella semplice e primitiva che conducevano i nomadi del settentrione.

Il regno sudarabico meglio documentato per l’episodio riportato dalla tradizione biblica, secondo il quale la sua regina fece visita al re Salomone, è il Regno di Saba, che raggiunse il massimo splendore durante i secoli VIII e VII a.C.[14]. L’economia dei Sabei si fondava essenzialmente sul commercio e sull’agricoltura. Le coltivazioni, infatti, erano molto sviluppate perché questa popolazione fu in grado di inventare un elaborato sistema di irrigazione fatto di dighe e canali che permetteva di bagnare qualsiasi fazzoletto di terra.

Màrib, la seconda capitale dopo Sirwah (odierna al-Kharibah) a circa centosettanta chilometri ad est di Sanà possedeva una posizione invidiabile: essa incrociava le vie commerciali che provenivano dalle zone sud-orientali della regione con quelle che portavano direttamente ai porti di alcune città meridionali, come quello della città di Aden. La diga di Màrib era considerata dagli storici classici una delle opere di ingegneria più importanti dell’antichità. Essa “ (…) chiudeva la foce del grande bacino del wadi Dhanah: era costruita da un terrapieno lungo ben 700 metri, rafforzato con materiale cementizio e rivestito con lastre di pietra (…). Dalla diga l’acqua veniva immessa nella pianura antistante mediante un sistema di chiuse e di canali su due lati creando due zone di ricca vegetazione (…)”[15]. Nel 120 d.C., la diga subì un grave danno che comportò conseguenze negative all’economia del paese, ma continuò a rimanere in funzione fino al 570 d.C.[16]. Non furono soltanto i problemi economici causati dal cattivo funzionamento della diga a determinare la fase di declino dell’opulenza sabea. Un fattore climatico nuovo ed inaspettato, i monsoni, contemporaneamente a un forte calo della domanda d’incenso da parte del mondo romano determinata dall’avvento del Cristianesimo costrinsero i commercianti sabei a spostare i loro traffici commerciali dalle vie terrestri a quelle marittime e a non detenere più il primato commerciale nella regione.

Nel cuore della Penisola la città higiàzena di La Mecca era il centro stanziale più conteso dalle tribù arabe. Nonostante fosse un luogo poco accogliente – il suo clima era insopportabile e l’agglomerato urbano appariva come un’accozzaglia di costruzioni ammucchiate disordinatamente in una valle arida – costituiva uno dei principali poli commerciali dell’antichità presso il quale si svolgevano numerose fiere-mercato che attiravano una miriade di viaggiatori. Alla Mecca confluivano, inoltre, molti pellegrini provenienti da ogni parte dell’Arabia per visitare il santuario più venerato della Penisola, la ka’bah, il ‘Cubo’. Ogni anno queste manifestazioni richiamavano moltitudini di uomini e di credenti che contribuivano ad arricchire i forzieri della città.

I Banu Quraish s’impadronirono della Mecca nel V secolo d.C., grazie a uno dei loro comandanti, un tale Qusayy ibn Kilab, sposato con una delle figlie del capo-tribù dei Banu Khuza’a, fino ad allora i padroni della città. La passione che i Banu Quraish nutrivano per il commercio e i viaggi, l’attenta premura per gli affari e le loro virtù guerriere contribuirono ad aumentare il prestigio non solo della tribù, ma anche dell’intera città. La fortuna di Mecca era la posizione geografica strategica che i Quraisciti seppero sfruttare perfettamente. La città, con le sue strade affollate e piene di vita e di colori rappresentava la diramazione più importante delle principali vie carovaniere, quegli antichissimi letti di fiumi disseccati (wadi) che segnavano il tragitto delle carovane verso la Siria e la Mesopotamia e verso il Yemen per giungere in Etiopia[17]. Fu così che i Banu Quraish, abili commercianti soprattutto nella vendita delle merci al dettaglio “ (…) seppero diventare i personaggi principali del commercio interarabo e stabilirono anche dei regolari rapporti commerciali con la Siria, l’Arabia Meridionale e l’Etiopia”[18].

La Struttura Sociale.

La struttura sociale degli antichi arabi era di tipo tribale. La tribù comprendeva numerose famiglie patriarcali unite dal ‘legame di sangue’. Non era insolito che una tribù si formasse anche attraverso il ‘legame di clientela’, ovvero tramite coloro che chiedevano protezione ad un’altra tribù (mawali). Le famiglie abitavano in tende ed erano raggruppate in clan formati da centinaia di nuclei domestici che si spostavano insieme, condividevano i pascoli e partecipavano uniti ai combattimenti. I matrimoni erano di tipo endogamico, cioè si celebravano tra membri della stessa famiglia. Se, per esempio, due fratelli – dai loro rispettivi matrimoni – avevano il primo un figlio e il secondo una figlia, i due cugini venivano fatti sposare per preservare il patrimonio familiare.

I membri di una tribù si consideravano discendenti da uno stesso antenato e perciò indistintamente fratelli di sangue. La discendenza di ogni singola tribù era narrata da un personaggio molto particolare, il cantastorie, che nelle fiere e nei mercati affollati delle città e dei villaggi catturava l’attenzione di grandi e piccoli con i racconti dei due antenati, ‘Adnan e Qahtan. La passione per la genealogia era molto sentita fra gli arabi. Frequentemente le tribù entravano in conflitto tra loro per difendere il proprio territorio e prima di iniziare una scaramuccia seguivano un vero e proprio rituale. Il poeta di una tribù vantava alla parte nemica le gesta gloriose dei propri antenati; poi seguiva un insulto al gruppo avversario accusandolo di non essere nobile. Infine, al grido di battaglia dei guerrieri, si udiva il nome dell’antenato al quale dicevano di appartenere. Il valore di un uomo dipendeva dalla nobiltà della stirpe e colui che non poteva vantare nobili origini riusciva a salvarsi soltanto chiedendo asilo politico presso un’altra tribù.

A capo della tribù vi era un’autorità massima, il Signore (sayyid), liberamente eletto in base ai suoi meriti e all’età. Il sayyid doveva appartenere a una famiglia benestante; avere l’obbligo morale di aiutare i più bisognosi; possedere doti di praticità, risolutezza e prudenza che mettessero in evidenza la sua qualità migliore, quella della mediazione[19]. Tra le sue mansioni vi erano sia i trattati di pace, sia le dichiarazioni di guerra anche se, in quest’ultimo caso, il suo potere era limitato da un’assemblea di dignitari, gli “Anziani”.

La legge della tribù era il ‘modo di agire’[20] dell’antenato divenuto norma secolare per i suoi discendenti. Quest’ultimi erano molto solidali tra loro: se un membro subiva un torto, il suo clan lo vendicava; se era un suo membro a commettere un torto, il gruppo ne era responsabile. Quando uno degli appartenenti allo stesso clan feriva oppure uccideva un uomo di un’altra tribù le soluzioni erano sostanzialmente due: o la vendetta di sangue individuale, o il pagamento di un compenso materiale previo accordo tra le due famiglie. Nel caso, infatti, di un delitto all’interno della stessa famiglia, l’omicida poteva essere espulso per sempre dalla sua tribù. Questo significava andare incontro a morte sicura: chi non godeva più della protezione tribale era un fuorilegge che chiunque poteva assalire impunemente.

La Sacra Arabia.

La maggior parte degli arabi del deserto e di coloro che vivevano nelle oasi e nei centri urbani dell’Arabia centrale professavano l’idolatria[21]. Essi adoravano una pluralità di dèi, convinti che gli oggetti, specialmente le pietre, le rocce e gli alberi fossero abitati da potenze divine: di conseguenza, il luogo ove dimorava il masso o la pianta era considerato sacro (haram).

Il santuario pagano più conosciuto e venerato della Penisola Araba era la ka’bah, nella città di Mecca[22]. La ka’bah ospitava più di trecento idoli, fra i quali il dio Hubal, il ‘Signore della ka’bah’. Il santuario era circondato da un terreno sacro e la sua custodia era affidata alle famiglie meccane più influenti che si tramandavano i compiti di padre in figlio. Presso la ka’bah si svolgevano dei riti importanti, fra i quali il pellegrinaggio al dio Hubal e altri cerimoniali come, ad esempio, la circumambulazione attorno il luogo sacro (tawaf), il pellegrinaggio (hagg) alla collina di ‘Arafat e la corsa verso la località di Muzdalifa.

Nella vita religiosa dell’Arabia preislamica è difficile intravedere un corpo sacerdotale sviluppato, probabilmente perché lo stile di vita dei beduini impediva la formazione di culti stabili ed organizzati. La forma più antica di santuario era quella mobile, trasportata sul dorso di un cammello circondato da donne. Il compito sacrificale poteva essere esercitato da qualsiasi individuo e consisteva nell’offerta di animali che venivano sgozzati e mangiati dai partecipanti. Le figure che più delle altre si avvicinavano al sacro erano tre: il sadin, il kahin e la kahina. Il sadin era il custode del santuario; il kahin era l’indovino, colui che emetteva oracoli, prevedeva il futuro, recitava misteriose formule magiche e per questo veniva consultato in ogni momento importante della vita tribale; la kahina era la moglie del kahin, la quale collaborava con il marito nell’interpretazione dei sogni oppure nel ritrovamento di cammelli smarriti e sbrigava altre pratiche sacre. Gli arabi, inoltre, credevano che gli indovini e i poeti fossero ispirati dai ginn, una specie di folletti buoni e cattivi, maschili e femminili, creati dal fuoco, metà uomo e metà divinità. Questi esseri soprannaturali erano presenti nei deserti o in altri luoghi solitari e venivano propiziati o esorcizzati mediante gli scongiuri[23].

Il nome di Essere Supremo, ‘Iddio’ (allah) non era del tutto sconosciuto agli arabi politeisti del settentrione[24]. A questo dio essi non tributavano alcun culto particolare, ma ritenevano che gli dèi e le dèe del loro pantheon fossero rispettivamente figli e figlie di allah. Il caso più noto era quello delle tre divinità femminili chiamate Allàt (ilat, allàt), Uzza (al-uzza) e Manat (al-manat). Allàt, la dèa per eccellenza, aveva il suo santuario nei pressi della città di Ta’if, a sud-est della Mecca. I suoi abitanti, i Banu Thaqif, si dedicavano a preservare al meglio la sua effigie, un grande sasso bianco. Il santuario di Uzza, la ‘potente’, si trovava a Nakhla sulla via di Ta’if, a sud di Mecca. Questa divinità si rivelava in tre alberi sacri di acacia ed era venerata dalla tribù meccana dei Banu Quraysh, i quali le offrivano numerosi sacrifici. Manat, la ‘fortuna’, era la divinità più antica, ma la meno conosciuta e stando al significato del nome probabilmente rappresentava la dèa del destino; il suo templio era situato a Qudayd, sul Mar Rosso, a circa 20 chilometri a sud di Yathrib[25].

Nel VI secolo d.C., gli arabi idolatri erano già entrati in contatto con gli zoroastriani, gli ebrei, i cristiani e i hanif ossia i “puri”, coloro che praticavano un mero monoteismo, diffusosi soprattutto nelle regioni sud-arabiche, non contaminato né dall’ebraismo né dal cristianesimo e per il quale, però, non possiamo parlare di religione vera e propria[26]. L’introduzione di concezioni ebraiche e zoroastriane nella Penisola Araba era facilitata dalla presenza a nord-est dall’Impero Sasanide di Persia (226 a.C.-650 d.C.), “ (…) il principale centro di dottrina religiosa ebraica, ed un rifugio per filosofi pagani e scienziati di medicina provenienti dalle città elleniche del mondo mediterraneo”[27].

L’ebraismo era diffuso sia nell’Arabia centrale (Higiàz), sia in quella meridionale (Yemen). La popolazione dell’oasi higiàzena di Yathrib (poi Medina)[28] era costituita da due elementi religiosamente diversi: gli arabi pagani e gli ebrei[29]. I primi adoravano al-manat, la dea del destino e professavano altri culti politeisti; i secondi erano in attesa di un Messia. Gli arabi, di probabile origine yemenita[30], si suddividevano in due gruppi tribali in competizione fra loro, i Banu Qaila e i Banu Khazrag mentre gli ebrei erano rappresentati dalle tre grandi tribù dei Banu Qaynuqa’, Banu Nadir e Banu Qurayzah e non avevano rapporti di buon vicinato con le due sopra citate tribù arabe. I Banu Qaynuqa’ erano artigiani e dimoravano nell’area a nord-ovest dell’oasi; i Banu Nadir e Banu Qurayzah erano agricoltori esperti e risiedevano a sud.

Secondo alcune teorie precristiane la presenza di colonie giudaiche nelle città-oasi del Higiàz è probabilmente da attribuirsi alla diaspora ebraica, conseguente alla conquista della città di Gerusalemme da parte dei Babilonesi nel 586 a.C.. Sulla base di una nuova e più recente scoperta, invece, gli insediamenti giudaici nella regione higiàzena risalirebbero a una spedizione in Arabia del re babilonese Nabonedo (VI secolo a.C.), al termine della quale il sovrano decise di lasciare in zona alcuni reparti ebraici del suo esercito[31]. Dopo la seconda distruzione di Gerusalemme, questa volta da parte dell’Imperatore romano Tito nell’anno 70 d.C., gruppi di ebrei appartenenti alla classe sacerdotale continuarono a migrare nelle oasi dell’Arabia settentrionale, occidentale (Fadak, Khaibar, Wadi-l-Qura, Tayma’ e Dedan) e meridionale. Le tribù giudaiche che dalla Palestina giunsero nella Penisola erano di lingua e cultura araba e si distinguevano dagli arabi pagani soltanto per la religione[32]. Esse erano più colte dei beduini coi quali convivevano, tant’è che la maggior parte delle famiglie arabe preferivano far studiare i propri figli presso i maestri ebrei.

Il cristianesimo avanzava più lentamente e in maniera diversa all’interno dell’Arabia rispetto all’ebraismo. I cristiani erano sparsi un po’ qua e un po’ là, in località non ben precisate e questo conferiva loro una tipologia sociale più frammentata e meno strutturata. La percentuale di cristiani nel Higiàz era molto più bassa di quella ebraica. A Mecca, i cristiani, rappresentati dagli schiavi abissini e dai mercenari etiopi appartenenti alle milizie della città, erano pochissimi.

La trasmissione del cristianesimo era affidata soprattutto ai singoli individui e si basava sulle singole conversioni. Nei luoghi di aggregazione come le grandi fiere annuali non era difficile incontrare in mezzo ai mercanti, portatori d’acqua, incantatori di serpenti, poeti, profittatori, fumatori di narghilè e cantastorie, la figura del missionario intento a diffondere il credo cristiano. I racconti leggendari sulla figura e la vita di Gesù e lo stile di vita ascetico dei monaci si diffondevano velatamente attraverso le vie carovaniere con la Siria. Questi tragitti non venivano utilizzati soltanto dai trafficanti per trasportare le loro merci, ma anche dai predicatori itineranti per propagandare il loro credo e dai monaci eremiti che, con il loro comportamento severo e rigoroso, raggiungevano le zone più remote ed inospitali dell’Arabia.

La penetrazione cristiana nella Penisola Araba era favorita a nord-ovest dalla sua vicinananza con i territori dell’Impero cristiano-orientale di Bisanzio e a nord-est con quelli dell’Impero Sasanide di Persia. Un ruolo importante nella diffusione del cristianesimo lo svolsero i delegati di queste potenze imperiali che intervenivano diplomaticamente e politicamente nella Penisola per tutelare i loro interessi commerciali. Influenze cristiane cominciarono a circolare nei territori arabi attraverso gli stati-cuscinetto infeudati all’Impero Bizantino e a quello Sasanide, rispettivamente quello dei Ghassanidi e quello dei Lakhmidi: i primi cristiani monofisiti, i secondi cristiani nestoriani[33]. I Banu Ghassan e i Banu Lakhm erano due tribù arabe allo stato nomadico che, per motivi ancora poco conosciuti, forse più per convenienza (o pressione politica) che per convinzione religiosa, si posero sotto le ali protettrici di Costantinopoli e Ctestifonte[34] con il compito d’impedire attacchi lungo le vie commerciali oppure di mitigare eventuali contrasti con altre tribù arabe[35].

Nell’Arabia meridionale la situazione era diversa. Nel Yemen, il cristianesimo era radicato da tempo grazie alle sue continue relazioni con l’antico Regno cristiano di Aksum, in Abissinia[36]. La cristiana Etiopia, situata nella sponda opposta del Mar Rosso rappresentava, da un punto di vista politico, un ostacolo al giudaismo imperante nell’Arabia meridionale[37] dove colonie ebraiche dedite all’agricoltura, all’artigianato, all’oreficeria, alla fabbricazione di armi e all’attività bancaria già risiedevano disseminate in numerose oasi yemenite[38].

Il sovrano ebreo del Regno di Himyar, Dhu Nuwas[39] incarnava le rivendicazioni del nazionalismo yemenita contro la dominazione etiopica e attraverso le lotte politico-religiose rese animati i primi decenni del VI secolo. Nell’anno 524 d.C., Dhu Nuwas ordì il massacro degli abitanti cristiani delle oasi sudarabiche di Nagràn, Zufar e Mokha. L’Imperatore Giustiniano esercitò forti pressioni sul negus etiope, Alla Asbiha affinché intervenisse in aiuto ai cristiani che si trovavano di fronte al suo Regno. Con il pretesto di proteggere i nuclei cristiani, il comandante etiope, Abraha al-Ashram sbarcò in Yemen con un esercito di circa settantamila uomini. Un anno più tardi, Dhu Nuwas capitolò ed Abraha si proclamò Vicerè del Paese.

Abraha iniziò a perseguitare ebrei e pagani, fece costruire molte chiese, distrusse le sinagoghe e vietò agli arabi pagani il pellegrinaggio al santuario della ka’bah, a Mecca. Questo fu il motivo per cui in una chiesa di Sanà – capitale del Regno – si verificò un episodio davvero spiacevole. Un arabo pagano della tribù dei Kinana proveniente dal Nordarabia si rinchiuse di notte all’interno della chiesa unicamente per imbrattarla coi suoi bisogni e poi fuggire. Abraha colse l’occasione al volo, armò i suoi uomini e si diresse verso La Mecca per lanciare un’offensiva alla tribù dei Banu Quraysh, la quale era riuscita a trasformare la città higiàzena in una repubblica mercantile talmente potente da danneggiare gli interessi degli arabi meridionali.

Abraha cominciò la sua spedizione punitiva arrivando alle porte della Mecca circondato dal suo esercito quasi come un trionfatore e, come vuole la tradizione, accompagnato da un enorme animale esotico –  l’elefante – la cui imponenza e i cui suoni dovettero destare tanta meraviglia agli occhi e alle orecchie dei meccani. Purtroppo il suo sogno svanì presto. Il suo esercito fu decimato: forse da una epidemia o – come narra un capitolo del Corano (Sura 105, 1-5)[40] – da folti stormi di uccelli di una sconosciuta razza ababil che, per intervento di Allah, cominciarono a lanciare dai loro becchi ‘pietre indurite’ contro i soldati etiopi, uccidendoli:

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

1Non hai visto come oprò il tuo Signore con Quelli dell’Elefante? – 2Non mandò forse in malora la loro astuzia? – 3Inviò contro a loro uccelli ababil – 4che li colpirono con pietre indurite, 5facendo di loro come pula di grano svuotata.

La sconfitta di Abraha ebbe luogo in un anno non ancora precisato, forse tra il 567 e il 572 d.C.[41]. Di sicuro correva l’“anno dell’Elefante” (‘am al-fil), anno in cui nella città di Mecca, secondo i tradizionalisti musulmani, veniva alla luce Muhammad, l’ultimo dei profeti [42].

La parola di Dio – in lingua araba per il popolo arabo – trasmessagli attraverso l’arcangelo Gabriele, scese al cuore di Muhammad, per la prima volta, in una notte sacra conosciuta ai posteri come la “notte del destino” (laylah al-qadr), che cadeva il ventisei o il ventisette del mese di Ramadan dell’anno 610[43]. Con lo sbocciare nella Penisola Araba di un terzo monoteismo, l’Islam, si concludeva la prima parte della storia degli arabi che i musulmani chiamarono e chiamano con il nome di giahiliyyah (‘ignoranza’)[44].

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Zuin 2009 A. Zuin, La Siria e le Figlie di Maria Ausiliatrice, in IN COLLEGAMENTO. NOTIZIARIO DELL’ISPETTORIA TRIVENETA MADRE MAZZARELLO, Conegliano-Anno VII n°1 febbraio 2009, pp. 29-31; www. cgf.manet.org (19 gennaio 2009); www. donboscoland.it. (14 gennaio 2009).

Note

[1] Escludendo la Palestina, l’Iraq, il Regno Hashemita di Giordania e la Repubblica araba di Siria, la Penisola Araba attualmente è formata dai seguenti Stati: 1. Il Regno dell’Arabia Saudita (capitale Riyad); 2. Il Bahrein (capitale al-Manamah); 3. La Federazione degli Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ras al-Khaymah, Ajman, Umm al-Qaiwain e Fujairah); 4. L’Emirato del Kuwait (capitale al-Kuwait); 5. Il Sultanato di Oman (capitale Musqat); 6. L’Emirato del Qatar (capitale Doha); 7. La Repubblica araba del Yemen (capitale Sanà – Yemen del Nord); 8. La Repubblica dei Popoli Democratici del Yemen (capitale Aden – Yemen del Sud).

[2] Nome antico che significa ‘terra elevata’, cfr. Noja  2007, p. 21. L’area è quasi disabitata e il suo centro principale è Hail. I monti raggiungono quota millequattrocento metri e a mano a mano che si scende il versante orientale vi sono numerosi wadi nei pressi dei quali sorgono alcune oasi.

[3] Secondo la Genesi, i Semiti sono i discendenti di Sem, uno dei figli di Noè. Le lingue parlate dai Semiti si suddividono in tre gruppi: 1. Il gruppo orientale o accadico del quale fanno parte il babilonese e l’assiro del II millennio a.C.; 2. Il gruppo nord-occidentale rappresentato dai seguenti idiomi: ugaritico, fenicio, ebraico, aramaico. In questo gruppo s’inserisce anche la lingua ebraica moderna dello Stato d’Israele; 3. Il gruppo sud-occidentale che comprende l’arabo classico, la lingua ufficiale del Maghreb (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco) e del Mashreq (Egitto, Palestina, Siria, Libano, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahreian, Oman e Yemen) e l’aramaico, idioma ufficiale dell’Etiopia.

[4] Ad essi appartenevano diversi gruppi come i Banu Hanifah, i Banu Quraish, i Banu Tamim e i Banu Hawazin, cfr. Noja 2006, p. 48.

[5] In realtà gli spostamenti avvenivano di notte illuminati dalla luce bianca della luna e dalla brillantezza delle stelle.

[6] Il territorio nabateno si estendeva dai confini settentrionali dell’odierna Arabia Saudita, comprendendo il deserto del Negev, sino a buona parte della Siria, cfr. Colombo  2007, p. 93.

[7] Cfr. Colombo 2007, pp. 95; 98.

[8] Antico centro cristiano della Siria meridionale e importante svincolo carovaniero che portava al Mar Mediterraneo, al Mar Rosso, al Golfo Arabico, ai territori centrali dell’antica Arabia (Higiàz) e a quelli meridionali (Yemen). Bosra conserva, ancora oggi, un monastero risalente al IV secolo. Secondo la tradizione islamica, l’eremo è considerato il luogo in cui avvenne l’incontro tra l’allora dodicenne Muhammad e il monaco Bakhira, cfr. Zuin 2009, p. 30, nota 6.

[9] V. Colombo 2007, pp. 93-95.

[10] Come, ad esempio, i Banu Kindah, i Banu Kinana, i Banu Lakhm, i Banu Gassan, i Banu Tayy, i Banu Aws e i Banu Khazrag, v. Noja 2006, p. 47.

[11] Cfr. Garbini 2007, pp. 137-138.

[12] Secondo i romani l’Arabia era suddivisa in tre aree ben distinte: 1. l’Arabia deserta che comprendeva i territori desertici a sud della città di Palmira (odierna Siria); 2. l’Arabia Petraea che corrispondeva alla zona intorno alla città di Petra (odierna Giordania); 3. la sopra citata Arabia Felix (odierni Yemen del Nord e del Sud ed Oman).

[13] La mirra e l’incenso sono delle resine aromatiche che trasudano dai tronchi di alcune piante che crescono nell’Arabia meridionale e in Africa. V. inoltre Pietrovski 2007, pp. 229-230.

[14] Gli altri regni erano i seguenti: il Regno dei Minei (capitale Ma‘in) situato nell’area del wadi Jawf che attualmente corrisponderebbe alla regione sud-orientale della capitale yemenita, Sanà; il Regno di Qataban (capitale Timna‘) a sud-ovest del Regno di Saba; il Regno di Hadramawt (capitale Shabwah, alla foce dell’omonimo fiume) posizionato ad est del Qataban e a sud-ovest del Regno dei Minei; il Regno di Ausan che estendeva parte dei suoi confini fino al Qataban e i suoi traffici commerciali si spingevano fino alle coste africane e all’Isola di Zanzibar; il Regno di Himyar (capitale Zafar) collocato al centro della parte sud-occidentale dell’Arabia meridionale che raggiunse il massimo splendore con la fase di decadenza dei Sabei.

[15] V. Cagni- Graziani- Giovinazzo 1990, p. 418.

[16] Dopo questa data, la diga non è stata più utilizzata fino ai giorni nostri. E’ stata ricostruita nel 1986 grazie al contributo dello Sceicco degli Emirati Arabi Uniti, Zayd bin Sultan.

[17] I convogli diretti a nord partivano durante la stagione estiva; quelli che si dirigevano a sud viaggiavano nel periodo invernale. Formare una carovana per un lungo tragitto significava radunare più di duemila cammelli sotto l’occhio vigile di centinaia di uomini armati.

[18] Cfr. Pietrovski 2007, p. 230.

[19] La mediazione è una vocazione molto radicata nel mondo arabo e “ (…) deriva dalla connaturata repulsione per l’arabo vero a riconoscere una autorità imperante (…). Il capo della tribù mediava, gli dèi erano forse mediatori tra l’uomo e l’Essere supremo, e Maometto fu chiamato a Medina a mediare tra due tribù contendenti. Bisogna dunque riaffermare fino alla monotonia, che gli Arabi formarono il loro impero e ampliarono le loro conquiste non solo con la spada, ma anche e soprattutto con i trattati. (…) La stessa conquista della Mecca da parte del profeta dell’Islam era il prodotto di un negoziato e si caratterizzò per l’abbattimento degli idoli e non per una strage”, v. Noja 2007, pp. 24-25.

[20] In arabo sunnah, v. Noja 2006, p. 50.

[21] Culto fondato sulla venerazione di molti idoli, sinonimo di paganesimo e di politeismo.

[22] La ka’bah è una piccola costruzione cubica di pietra (12 metri di lunghezza, 10 di lunghezza e 15 di altezza) appoggiata su una base di marmo. Attualmente si trova al centro della Grande Moschea. Con l’arrivo dell’Islam, la ka’bah diventò il centro principale del mondo religioso islamico, mèta del ‘pellegrinaggio alla Mecca’ e rivelatrice della qiblah, la direzione esatta verso la quale i musulmani di ogni parte del mondo si orientano durante la preghiera. Secondo alcune leggende arabo-islamiche, la ka’bah rappresenta la prima casa di Dio (bayt allah) sulla Terra eretta da Adamo con l’aiuto degli angeli e spazzata via dal diluvio universale al tempo di Noè. Saranno Abramo e suo figlio Ismaele – il progenitore degli arabi – a ricostruirla e a porvi la Pietra Nera che l’arcangelo Gabriele consegnò ad Abramo. All’epoca di Adamo, la Pietra Nera era di colore bianco ma in seguito diventò nera a causa dei peccati degli uomini. Attualmente la Pietra Nera si trova all’esterno della costruzione, inserita in una cornice ovoidale d’argento nell’angolo di sud-est. Secondo alcune teorie si tratterrebbe di una meteorite conosciuta come ‘mano di Allah’ (yad allah) o, secondo altre opinioni più recenti, di un bètilo cioè una pietra adorata a somiglianza di una divinità.

[23] La credenza che questi spiritelli possano parlare ed entrare in relazione con gli uomini è ancora molto viva tra gli arabi dei giorni nostri.

[24] V. Di Nola 2004, p.12

[25] Su queste divinità v. Di Nola 2004, p. 14; Lo Jacono 1995, p. 21; Noja 2006, pp. 59;66.

[26]Lo zoroastrismo (detto anche mazdeismo) è una religione arcaica dell’antica Persia. Il suo nome deriva dal suo fondatore, Zarathustra (Zoroastro). Questa dottrina si basa sul dualismo (lotta fra il Bene e il Male fino alla definitiva sconfitta di quest’ultimo) e su elementi e credenze che appartengono alle grandi religioni monoteistiche. Il termine arabo hanif deriva dal siriaco hanpa che in origine significa pagano, eretico e poi dissidente religioso, cfr. Gabrieli 2001, p. 33. V. inoltre Bausani 1978, p. xx; Di Nola 2004, p. 22; Guzzetti 2004, p. 25; Lo Jacono 1995, p. 24; Noja 2006, p. 70.

[27] V. Hourani 1998, pp. 11-12.

[28] Yathrib, distante da Mecca circa trecentocinquanta chilometri era un’oasi molto attraente. La sua economia si basava soprattutto sulla coltura della palma da dattero e di altri alberi da frutto, grazie alle abbondanti falde acquifere sotterranee che permettevano l’irrigazione dei terreni necessaria alle varie colture. La superficie dell’oasi era molto estesa e le abitazioni erano ben distribuite e distanziate l’una dall’altra, circondate da giardini tappezzati di piante ornamentali, fiori di ogni colore e abbelliti da fontane e zampilli d’acqua. Yathrib prenderà il nome di Medina nel momento in cui il profeta Muhammad compirà l’ègira (higrah), la fuga da Mecca a Medina, avvenuta il 16 luglio 622 d.C.. Il nome esatto è madinah-an-nabi che significa ‘la città del profeta’ ovvero la città per eccellenza. Attualmente è una delle città sante dell’Islam, luogo di pellegrinaggio alla tomba del profeta Muhammad.

[29] I termini arabi che designano la parola “ebrei” sono al-yahud oppure banu isra’il (letteralmente ‘i figli di Israele’) cfr. Guzzetti 2004, pp. 28; 104-105. V. anche Rodinson 1995, p. 118.

[30] Probabilmente alcune tribù ebraiche erano immigrate nell’Higiàz in seguito al crollo della diga di Marib (120 d.C.).

[31] V. Guzzetti 2004, p. 27 e Noja 2006, pp. 70-72.

[32] Secondo Gabrieli 2001, p. 32 gli ebrei erano degli “(…) elementi giudaizzati, che avevano la lingua e la cultura comune coi loro connazionali pagani, e solo se ne distinguevano per il culto sinanogale, e la gerarchia dei rabbini e dottori (…)”; cfr. anche Noja 2006, p. 72.

[33] Cfr. Hourani 2006, pp. 10-11. Il monofisismo è una dottrina che riconosce in Cristo una ‘sola natura’, quella divina (e non quella umana). Questa concezione è stata elaborata nel V secolo dal monaco Etiche. Il Concilio di Calcedonia (451) condannò definitivamente il monofisismo, ribadendo la doppia natura di Cristo. Tuttavia, alcune comunità cristiane rimasero fedeli alla dottrina monofisita e da esse nacquero le chiese ortodosse orientali (armena, siriaca e copta). Il Nestorianesimo è la dottrina elaborata da Nestorio, teologo africano e vescovo di Costantinopoli (dal 428), a seguito di una polemica con il vescovo di Alessandria, Cirillo. Nestorio si oppose all’affermazione di Cirillo, secondo il quale Cristo aveva un’unica natura umano-divina, sostenendo che la nascita e la passione in Cristo debbano essere ricondotte alla sua natura umana (e non divina). Nonostante il Concilio di Efeso (431) condannò le parole di Nestorio, che si rifugiò in un monastero ad Antiochia, il suo pensiero fu portato avanti da molti suoi seguaci che fondarono le Chiese nestoriane, attualmente attive in Siria, Iraq ed Iran. I Nestoriani svolsero un’attività missionaria così intensa che il loro messaggio giunse fino in Cina, cfr. Noja 2006, p. 100.

[34] Capitale sassanide situata nella zona fertile e popolosa al centro dell’Iraq, lambita dalle acque sacre del Tigri e dell’Eufrate cfr. Hourani 2006, p. 11.

[35] I Banu Ghassan erano installati nella regione a sud di Amman (odierna Giordania); la capitale dei Banu Lakhm era la città di Hira (odierno Iraq), famoso centro episcopale, dove le chiese e i monasteri erano numerosissimi. Su queste due tribù, v. Crespi 2007, pp. 199-205; Gabrieli 2001, pp. 32-33 e Guzzetti 2004, p. 30.

[36] L’imperatore Costanzo (337-361) inviò in Yemen una delegazione con a capo il diacono indiano Teofilo per diffondervi il messaggio cristiano e per stabilire dei nuovi rapporti commerciali con l’India, cfr. Guzzetti 2004, pp. 30-31.

[37] V. Garbini 2007, p. 163.

[38] Numerosi erano gli ebrei presenti nel Yemen fino alla loro emigrazione in Israele (1948-1950), cfr. Bobzin 2002, p. 52.

[39] Questo era il suo soprannome che significa “quello coi riccioli”; il vero nome del re era Yusuf As’ar Yath’ar, cfr. Garbini 2007, p. 153 e Lo Jacono 1995, nota 25, p. 23.

[40] Cfr. Bausani 1978, p. 489. Sulla veridicità storica dell’episodio cfr. Noja 2007, pp. 27-28 e Lo Jacono 1995, pp. 23-25.

[41] Secondo Bobzin 2002, p. 119 l’anno dell’Elefante corrisponde al 547.

[42] Muhammad era un sedentario, discendente da un ramo della tribù dei Quraishiti, i Banu Hashim. Questo “(…) diede un’impostazione irreversibile all’Islam che non fu affatto una civiltà di beduini lanciati all’assalto di imperi di sedentari, con la spada nella destra e il Corano nella sinistra – immagine questa cara agli illustratori occidentali, ma addirittura proibita dal diritto musulmano che impone di tenere il Corano con la destra – alla carica in ranghi serrati contro le schiere dei miscredenti”, cfr. Noja 2007, p. 24.

[43] Le rivelazioni continuarono fino al giorno della sua morte, avvenuta l’8 giugno dell’anno 632 d.C., cfr. Bobzin 2002, p. 119. Il messaggio religioso del profeta dell’Islam rimane, senza dubbio, “il contributo più importante che l’Arabia abbia dato alla storia dell’umanità (…); da questo messaggio è nata un’intera civiltà che si è diffusa, e continua a diffondersi, dall’Atlantico al Pacifico.”, v. Garbini 2007, p.111.

[44] Gli arabi applicano alla loro storia una suddivisione fondamentale: il periodo preislamico (jahiliyyah) e quello islamico. La jahiliyyah si divide a sua volta in due fasi: l’antica jahiliyyah è il periodo che va da Abramo a Noè e da Abramo a Gesù e la nuova jahiliyyah, quello da Gesù a Muhammad.

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Alessandra Zuin è nata in provincia di Venezia, vive nei Colli Euganei (Pd) e ha studiato a Napoli. Durante i suoi studi universitari si è occupata sia del periodo islamico (Lingua e letteratura araba (quadriennale), Islamistica, Storia dei paesi arabi dall’avvento dell’Islam fino ai giorni nostri, Arte ed archeologia islamica, ecc.), sia di quello preislamico (Storia del Vicino Oriente preislamico (quadriennale) e Assiriologia (biennale)). Si è laureata in Assiriologia presso l’Università “L’Orientale” di Napoli con il †Prof. Padre Luigi Cagni, elaborando una tesi su una divinità sumerica, intitolata: Il dio DUMU.ZI: suo ruolo in Mesopotamia. Ha proseguito i suoi studi a Napoli, sotto la direzione del suo indimenticabile ‘maestro’, e ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca in Studi Mesopotamici con un lavoro dal titolo: Famiglie e competenze degli scribi nel periodo antico-babilonese. Durante il dottorato ha studiato per circa due anni presso il Fachbereich Altertumswissenschaften Altorientalisches Seminar della Libera Università di Berlino (Freie Universität). Infine, ha concluso i suoi studi con il Master in Studi sul Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Carlo Bò di Urbino. Ha studiato l’arabo soprattutto in Siria e in Egitto; in quest’ultimo paese ha frequentato per alcuni anni l’Isola Elefantina di Aswan dove ha imparato un po’ di dialetto locale nubiano (‘kinsi’). Ha insegnato italiano L2 presso le Scuole “Maria Ausiliatrice” di Damasco e Aleppo. Attualmente insegna lingua e cultura araba, inglese e italiano L2.

  1. Mountcòcchküchelberg
    | Rispondi

    Gli errori sviluppati intorno a zarathustra e sullo zoroastrismo sono immensi, come il fatto che sia ancora chiamato mazdaismo, o (sic) mazdeismo. Non si tratta di formalità: la religione mazdea adora un solo dio, chiamato ahura mazdā e non zarathustra che ne è il profeta, e come tale oggetto solo di venerazione . Se si vuole parlare di dualismo nel mazdaismo originario, allora si dovrebbe fare la stessa distinzione anche nel cristianesimo dove l'esistenza è concepita come una lotta tra due poteri contrapposti. Non sembra che il cristianesimo sia stato proibito come religione in questo periodo, mentre i conquistatori islamici considerano gli insegnamenti di zoroastro un culto politeistico, permettono ai seguaci dello zoroastrismo di rimanere nella loro fede solo pagando una "tassa dell'anima", pena la perdita dei beni e a seguire della schiavizzazione, in seguito questi vengono noti come “musulmani di spada”, cioè convertiti a forza.

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