Una delle pecche che alcuni dei lettori ed estimatori del mio primo saggio L’Impero Amazzonico (1) mi hanno sempre rinfacciato è di non avere mai scritto nei dettagli quella che è stata la mia prima avventura amazzonica in Sud America, compiuta nell’ormai lontano 1984, a 22 anni di età. Gli spunti e gli argomenti sono moltissimi, insieme ad un misterioso avvenimento avvenuto durante la spedizione, segreto che mi sono tenuto dentro per vent’anni e che questa volta, per la prima volta, per l’interesse che ho sempre dimostrato per un sito coraggioso, verrà rivelato. Proprio mentre sono impegnato in questi tempi a recuperare con buon successo tempo, energie e preparazione fisica per organizzare un’altra missione in America latina dopo l’ultima in Bolivia (2007), dopo due libri scritti, altri in preparazione, fa piacere fermarsi un attimo e ricordare le mie prime esperienze di avventura durante i mitici anni ’80.
Devo tutto al mio “istruttore“, l’esploratore e mio cugino Mario Ghiringhelli, scomparso tragicamente, dopo una vita di avventure in giro per il mondo, in Indonesia nel 1993. Fu una grossa perdita ma, grazie a Dio, aveva già fatto in tempo a consegnarmi metaforicamente gran parte del suo insostituibile bagaglio pratico e soprattutto spirituale su come affrontare situazioni nella foresta che una persona normale non potrebbe nemmeno solo immaginarsi – e non sto esagerando, come leggerete.
Alla fine di luglio 1984 eravamo partiti, un gruppo di quattro avventurosi, il capo (Mario Ghiringhelli), il braccio destro e fotografo esperto (Lionello Semprini) e i due – allora – “giovani di studio“ , io (21 anni) e il “bancario“ Pierluigi Martini (24 anni), detto “il gemello“. La missione doveva essere una esperienza fisico – psicologica preparatoria (dopo mesi di allenamenti forsennati e dispendiosissimi dal punto di vista dello stress fisico , ma servirono eccome) in vista di una successiva spedizione da effettuarsi nel Perù Amazzonico – poi parzialmente effettuata nel 1998 e soprattutto nel 2000, ma con Mario ormai deceduto da tempo ed effettuata con l’archeologo di esplorazione statunitense Gregory Deyermenjan ed il caro amico, ora insegnante universitario di diritto internazionale Alessandro Fodella, sulle tracce dell’Impero amazzonico perduto del Paititi e di misteriose, ancora controverse, checchè se ne dica in giro da parte di gente che non ha messo mai il naso neanche fuori di casa, Piramidi (2) di tipo egizio.
Dobbiamo dirlo subito, in vent’anni la Guyana Francese non è cambiata molto, lo ho saputo da varie fonti e dai frequenti passaggi di documentari sulle televisioni francesi. Pur essendo dal punto di vista giuridico parte integrante del territorio francese d’oltremare ed ex colonia penale fino al 1946 – la moneta di scambio là oggi è l’Euro – la Guyana si trova dall’altra parte dell’Oceano Atlantico – è sede di una base spaziale molto famosa a Kourou, presidiata dagli amici della Legione Straniera, e fa parte geologicamente della zolla del continente sudamericano che comprende il Venezuela e tutto il Brasile del Nord Est. Risulta essere tutta foresta pluviale geologicamente ancora primaria e plurimillenaria dal punto di vista epocale preistorico, una vera miniera per gli scienziati botanici ma anche per i cercatori d’oro francesi ed indigeni, molti di cui di frodo (c’è sempre una tenace lotta da parte della Gendarmeria per fermare questo fenomeno).
Comunque è un posto dove non si deve scherzare, né con la natura né con la gente che vive là, soprattutto alla Cayenna, la capitale della Guyana Francese: può essere semplicemente un vero inferno trovarsi là se si prende la giungla sottogamba o se si passa semplicemente la sera nei quartieri della Cayenna meno indicati per i bianchi.
Ricordo l’arrivo con un jet Air France all’aereoporto internazionale (allora la pista era tutta in terra battuta – e ci atterravano anche i Concorde!) della Cayenna, con una umidità vicina al 100% e 35 gradi al pomeriggio-sera. Quell’aeroporto era stato costruito dagli Alleati nel 1943 durante la seconda guerra mondiale come base di bombardieri a lungo raggio, quando gli Americani erano stati allertati dai servizi segreti inglesi e terrorizzati dalle informazioni relative al fatto che la Germania nazista era sul punto di rendere esecutivo un progetto da tempo tenuto in “stand by” per invadere ed attaccare il Brasile, dopo che lo stesso Brasile aveva, di malavoglia e costretto dagli USA , dichiarato guerra alla Germania nel 1942 (3).
Ma andiamo avanti: come si presentava la Cayenna? A domanda, risposta. Trentacinquemila abitanti, una cittadina quindi, pioggia di un’ora o due tutti i santi giorni, ed eravamo nella loro stagione secca , 4 gradi sud dell’equatore. Il sole sorge praticamente alle 6.00 esatte e tramonta alle 18.00, tutto l’anno. Coste impraticabili, senza spiaggia o arenili, dove la foresta diventa direttamente mare. Di fronte le Isole della Salute, le Isole del Diavolo e Royale, il terribile bagno penale di Papillon e del Colonnello Dreyfus.
Tutti pensavamo: inizio poco promettente, ci sarà da faticare parecchio. Dopo qualche giorno di ambientamento, grazie alle conoscenze nell’esercito francese e nella Legione da parte di Mario (con i legionari di stanza ad Aubagne presso Marsiglia, in Francia allora compivamo allenamenti e gare di marcia insieme, per puro spirito sportivo) riuscimmo ad avere un appuntamento con l’allora colonnello Jin della Gendarmeria dell’Area della Cayenna , incontro in cui lui allora fu molto gentile, risoluto e franco ed in pratica, dopo averci ascoltato ci disse: “Caro Mario, dagli amici dell’esercito ho sentito parlare molto bene di lei anche come preparatore atletico di sopravvivenza, ed i suoi compagni, lo vedo, sono in gamba. Interessante il suo racconto dell’archeologia amazzonica, delle sue esperienze e dei suoi progetti futuri in Perù, ma anche qui purtroppo siamo in una brutta situazione, ci sono state delle alluvioni proprio di recente nelle zone dove voi volete tracciare una “premiere” (per premiere si intende un percorso nella foresta amazzonica totalmente nuovo, un vero e proprio percorso di allenamento di parecchi giornate di marcia, nda). Alcuni nostri uomini sono rimasti isolati per giorni e siamo dovuti andare a cercarli con gli elicotteri, con parecchio tempo perso e rischi altissimi. Meno male che è finito tutto OK. Il punto è questo: se vi perdete nel mezzo del percorso, dopo aver fatto 50 o 80 chilometri sul tragitto premiere da Saul a Maripasoula (sul fiume Maroni, vedi cartina , luogo da cui avremmo poi fatto 300-400 km in canoa sulle rapide prima di arrivare a San Laurent du Maroni), chi vi viene a cercare? Come facciamo a trovarvi? E se viene un altra alluvione? La stagione non è questa, però può capitare ancora…Vale la pena rischiare la vita per un allenamento, seppure di tre settimane, e per una giusta causa?”. Questo praticamente ci disse il colonnello Jin in Gendarmeria alla Cayenna.
Certo noi tutti, concordammo insieme, non eravamo andati là per prendere farfalle, però con il colonnello si stabilì una serie di percorsi di allenamento tutto intorno a Saul – più umani – testuali parole, dove, se succedeva qualcosa, c’era almeno una possibilità di trovarci con l’elicottero (allora i GPS non c’erano, anche se le mappe militari francesi scala 1/50.000 della Cayenna non erano niente male).
Dopo aver speso qualche altro giorno per recuperare tutto l’equipaggiamento e i viveri, un traballante aereo dell’Air Guyane ci portava dalla Cayenna alla nostra prima meta, Saul appunto, in piena foresta tropicale. Come ho già detto la foresta tropicale in tutta quella fascia che parte dal Venezuela fino alle tre Guyane ed al Brasile è di tipo primario, cioè è rimasta tale e quale, sostanzialmente, come era milioni di anni fa: l’albero principale, oltre ad un grande numero di felci giganti è la sequoia tropicale, un tipo di albero enorme che facilmente supera i sessanta- settanta metri di altezza (è pauroso) ed ha una incredibile particolarità, e cioè cresce continuamente per secoli e muore quando cade, quando cioè – in proporzione – le deboli radici non lo reggono più. Quando si pernotta in quel tipo di foresta , generalmente si dorme con le amache, così come facemmo noi per tre settimane ininterrotte, ma bisogna stare attenti a piantare il campo dove ci sono sequoie “giovani“, infatti di notte si sente cadere immancabilmente qualche vecchia sequoia, con un rumore tremendo che si espande per chilometri, e non sia mai dover averci messo il campo sotto. A buon intendere…
Tutta la zona tropicale della Guyana francese è completamente coperta da questa fascia di foresta irregolare per quanto riguarda la conformazione del terreno: si continua a marciare su è giù per queste piccole colline alte poche centinaia di metri, dove ogni tanto si apre uno spettacolo alla vista prodigioso, di natura sovrana, che solo l’averla vista direttamente può far realmente capire il vero significato del termine.
Per esigenze di spazio non potrò certo raccontare interamente il gran numero di episodi incredibili, sia divertenti che pericolosissimi insieme che ci sono capitati in questo viaggio di “prova“ fisica e psicologica ma mi limiterò a raccontare alcuni episodi avvenuti in una marcia di cinque giorni, tra andata e ritorno, nelle zone più intricate ben fuori Saul. L’esperienza, altrettanto fantastica, della pericolosa discesa delle rapide sul fiume Maroni verso Saint Laurent magari potrò raccontarla un’altra volta. Volevamo raggiungere la cima del monte Kalbao (in realtà una grossa collina che arriva a circa 800 metri sul livello del mare), il più alto della Guyana Francese, in direzione Sud rispetto al nostro punto di partenza. La nostra guida George, un “Tarzan” francese biondo e simpatico di 35 anni (purtroppo è morto nel 1995, in seguito ad una malattia presa nella foresta), era stato là diversi anni prima però, al ritorno, aveva perso un suo caro amico, strappato e gettato in acqua da un enorme serpente anaconda sbucato improvvisamente dal fiume e piombato sulla loro canoa – il suo amico non era mai stato più trovato – e pertanto ci aveva avvertito che non sarebbe stata certo una passeggiata.
Da quello che avevamo già assaggiato, lì non si “passeggiava” mai da nessuna parte facilmente: da tutte le parti liane enormi grosse come le gambe di un uomo scendevano da sequoie giganti che si susseguivano continuamente. Ogni sera alle 4.00 si interrompeva la marcia con il machete e si preparava il campo: tutto doveva essere pronto per le 18.00 e si mangiava molto frugalmente e alle 18.30- 19.00 tutti a dormire, con turni di guardia per tenere controllato il fuoco che doveva sempre essere acceso per tenere lontani gli animali.
Giaguari e scimmie continuavano tutta la notte a fare il loro coro spacca-timpani intorno al campo. Non c’era certo da stare allegri, ma ci eravamo cacciati noi in questa storia ed il lamentarsi era proibito per legge, nel nostro gruppo. I primi due giorni di marcia verso il monte Kalbao erano andati abbastanza bene, certo, come sempre, non si riusciva a percorrere più di sette-otto chilometri al giorno (circa 8 ore di marcia) per via della difficoltà di attraversare la jungla, ma le cose andavano benone, eravamo nella media di percorrenza. E stavamo bene, sia fisicamente che come morale (certo ognuno di noi aveva già perso 5- 6 chili di peso in due settimane, ma era una cosa normale là per tutti).
La terza notte si volle andare fare un caccia notturna, perché in effetti il cibo scarseggiava un poco. Qualcuno però doveva rimanere al campo e siccome io non avevo nessuna voglia di passare altre due ore in una pozza d’acqua aspettando all’abbeverata chissà quale preda con decine di occhietti lucenti di serpenti acquatici intorno illuminati dalle torce, una cosa normale in quelle zone, secondo la guida, decisi di rimanere io al campo, mentre gli atri scendevano giù per la collina per centinaia di metri verso i ruscelli d’acqua. I campi bisogna sempre farli lontani dalle pozze d’acqua di abbeverata degli animali, è la prassi. Ero così completamente solo: decisi subito, per tenermi impegnato, di ravvivare il fuoco con un po’ di liane robuste tagliate e poi mi misi dentro la mia amaca, coperta da un telo e dalle zanzariere, in riposo ed in attesa, abbastanza tranquillo e con un cigarillo speciale brasiliano acceso. Io non ho mai fumato ma allora quei benedetti sigari ci servivano a tener lontani gli insetti e le zanzare, e alla sera, dopo cena, non erano niente male. Erano le 10 circa e il sigaro bruciava velocemente…!
All’improvviso mi sveglio di colpo: era mezzanotte circa. Caspita, mi dissi , mi ero addormentato di botto, bella guardia che ho fatto , complimenti Marco, dicevo a me stesso. Degli amici neanche l’ombra , anche se in effetti poco dopo sentii sparare il fucile da caccia di Gorge, ma abbastanza lontano. Avevo ravvivato il fuoco da cinque minuti e mi ero coricato di nuovo nell’amaca di fianco al mio fido coltello da sub, quando all’improvviso sentii come uno strano urlo prolungato lontano, come un potente brontolio , però squillante e forte insieme, ed uno strano calpestare di piante ed erba, lento ma potente deciso, sul terreno. Ma è molto lontano, sentivo io, e in direzione Ovest, diceva la bussola: almeno cinque chilometri. Che strana cosa pensavo, sarà un temporale o il vento, o una sequoia che cade …proprio mentre passava qualche minuto e stavo per riaddormentarmi sentii questo grido lunghissimo, un po’ più vicino e potente , anche se ancora abbastanza fioco però in più, il calpestare lento e regolare su terreno era chiaro, lontano ma potente da trasmettersi nel terreno. Un animale! E grosso! Subito la mia mente fu attraversata da questo pensiero. Un tapiro, no, non può essere nemmeno un elefante, qui non ci sono più da migliaia di anni. E neanche un orso, è impossibile…
Maledizione, pensai allora, un gruppo di facoceri in arrivo, sono pericolosi, fanno una specie di percorso nella jungla in famiglie di 8 dieci per volta, e se sei sulla loro strada prima ti calpestano attaccandoti e poi ti chiedono chi sei. E non ho neanche un fucile . Ma non ero convinto neanche di questa mia intuizione… I compagni non arrivavano ed era quasi l’una di notte: non me la sentivo certo di utilizzare il fischietto da segnalazione per chiamarli nè di spegnere il fuoco che, probabilmente, si vedeva da parecchio lontano e serviva proprio da riferimento verso quella “cosa“ che si stava dirigendo giusto da questa parte. Fu all’improvviso, fortissimo e vicino, quello che sentii ormai chiaramente come un “ruggito sibilante“ (me lo ricorderò per sempre e non saprei come descriverlo meglio) come di un animale veramente grosso che si avvicinava e schiantava le liane.
Non c’era dubbio ormai, ed ero molto spaventato anche se controllavo la situazione, i nervi tesissimi: fischiai fortissimo per richiamare l’attenzione dei compagni, fischiai più volte. Passò qualche secondo circa , forse dieci al massimo, e sentii uno sparo. Erano Mario e gli altri che mi davano ad intendere: tranquillo, stiamo tornando.
Passarono poi una ventina di minuti veramente tremendi per me e di grande tensione: un paio di volte sentii ancora quell’urlo tremendo che però, grazie al cielo, fu quella la svolta della vicenda, si stava certamente allontanando nella foresta da dove era venuto. Giunti i miei compagni di avventura, saliti su per la collina, raccontai tutto a Mario e a George per filo e per segno. Mario, come sempre, era molto scettico sull’accaduto ma comprendeva che qualcosa era veramente successo. Loro non si erano accorti di nulla, si erano allontanati per circa un chilometro e, francamente, erano stati attenti a non incontrare qualche piccolo caimano nell’acqua. Non avevano preso nulla. Avevano sparato solo un colpo su quello che pareva un maiale selvatico. Ma niente di niente. George divenne invece molto serio e disse: “Nella foresta amazzonica succedono molte cose strane, strani suoni e strane situazioni. La mente gioca anche molti brutti scherzi però, in questo caso e in questa zona, posso dire che altre persone hanno riferito di misteriosi voci e rumori potenti proprio in direzione del Brasile o del Venezuela, dove dici tu. Comunque non poteva essere un grosso felino, perché il giaguaro non lo senti mai, e quando lo vedi improvvisamente piombare su di te sei già morto. Quindi francamente che cos’era, se c’era, non lo so. E’ meglio dormirci sopra, è tardi”.
L’episodio non si verificò più e fummo molto presi nei giorni successivi per raggiungere la cima del Kalbao e tornare indietro a Saul con non poche difficoltà, perdendo pure la strada un paio di volte. Ma degli indigeni indiani Aloike ci aiutarono, con dei passaggi in canoa. Ricordo dei passaggi clamorosi sui torrenti sfruttando delle enormi sequoie cadute di traverso e sfruttate da noi come ponti. Fantastico! Un vero Mondo Perduto.
Certe esperienze non si dimenticano, nella vita di un uomo, e questa della Guyana senz’altro fu una delle più impressionanti e formative per lo spirito di una persona come chi scrive, allora molto giovane. Ma anche questa esperienza passò , come diverse altre avventure negli anni successivi, ed il tempo contribuisce ora ad alimentare la voglia di conoscenza verso altre imprese, verso quel mondo meraviglioso ed avvincente che è il Sud America , i suoi misteri archeologici e l’Amazzonia.
Fu molti anni dopo che lessi diversi resoconti di avventurieri che erano stati in quelle zone, dal Venezuela al Nord Brasile, dove accennavano alla possibilità che esistessero ancora da quelle parti dei grossi animali antidiluviani, non solo grossi rettili preistorici o dinosauri ma anche dei mammiferi enormi ritenuti scomparsi, come il Megaterio una specie di enorme bradipo terrestre sudamericano grosso come un elefante, erbivoro ed estintosi 10.000 anni fa (4).
A dire la verità, per come la penso io, se di un animale si trattava, e su questo personalmente ne sono sicuro perché sentii chiaramente lo schianto della vegetazione per l’aprirsi di un varco nella giungla utile al passaggio, quella specie di ruggito che sentii non aveva nulla di mammifero, e poteva quindi essere il richiamo di un grosso rettile. Un dinosauro, forse. Ma, anche dopo tanto tempo, una cosa la posso dire con certezza: sarà perché era notte fonda o perché troppo stanchi o per altri motivi, a nessuno di noi venne allora la voglia di andare a cercarlo!
Note
1) Marco Zagni, L’Impero Amazzonico, MIR, Firenze, 2002.
2) Le “Piramidi di Pantiacolla“ , vedi L’Impero Amazzonico, op. cit., pag.47 e seg.
3) Questo ed altri argomenti sono stati trattati nel mio secondo saggio: Archeologi di Himmler, Ritter, Milano, 2004.
4) Ricordo le raffigurazioni di animali estinti (Toxodonti) esistenti in località archeologiche sud americane molto famose come per esempio a Tiahuanaco, da me visitata nel 2007.
Alex
Complimenti veramente molto bello!!! che invidia!!!
Glauco De Horatiis
Il mondo Amazzonico e` un mondo di mistero, ma anche un mondo di speranza, di quella speranza che spessoci logora ed affascina. Viviamo al momento un`esistenza dubbia, preoccupante, particolare. Il mistero, con i pericoli descritti dallo scrittore, rivelano pero` una speranza che e` in noi tutti e che ci aspetta nascosta nel cuore dell`Amazzonia.
Cordialmente, Glauco de Horatiis
Cordialmente, Glauco De Horatiis
giancarlo
Si e' vero chi conosce la guyana e' veramente fantastica e pericolosa allo stesso tempo:
io sono circa dieci anni che la vivo da saint loreain a amapa.ho fatto esperienze fuori dal normale, la foresta amazzonica trovo sia la risorsa eccezzionale per riflettere nel mentre cerchi di soppravvivere.
E' un mondo che ti cambia dentro cambia il modo di comportarsi che nessuno potrebbe capire .in finale trovo quel mondo fuori da tutto spettacolare ed meravigliosamente bello.
Enrico
Non potevate cercare le le impronte, era l'unico modo che avevate per farvi un'idea di che o cosa fosse.
Marc
Il faudrait absolument traduire en Français ce très beau texte!! J’ai vécu plus d’un an et demi en Guyane Française, et j’ai vraiment ADORE ce merveilleux Pays, beaucoup moins hostile qu’on le pense généralement. Le climat Equatorial et Forestier de la Guyane Française, et de toute l’Amazonie, est parfaitement supportable pour un Européen: il suffit de suivre quelques précautions de base, relevant du simple bon sens! Porter des vêtements légers, éviter les nourritures grasses pour éviter de transpirer, et, par dessus tout, EVITER L’ALCOOL comme la peste!! L’Alcool est LETHAL en Climat Tropical Humide pour toute personne de Race Blanche Européenne: Albert SCHWEITZER l’ a très bien dit dans ses mémoires!… A EVITER ABSOLUMENT!!
Une chose très mystérieuse, et qui peut paraître très paradoxale, mais que j’ai remarqué lors de tous mes nombreux voyages en région Guyano-Amazonienne, ainsi qu’en Asie du Sud-Est: Ce sont de loin les Européens de TYPE NORDIQUE qui s’adaptent le mieux aux Climats Tropicaux humides et verdoyants!! J’ai toujours été frappé par le fait que la grande majorité des touristes et voyageurs Européens que j’ai rencontré dans ces Pays étaient des Nordiques: Néerlandais, Scandinaves, Allemands du Nord, Anglo-Saxons…ainsi qu’un bon nombre d’Irlandais, Ecossais, et autres personnes d’origine Celto-Nordique. Les Européens Nordiques semblent avoir toujours eu un véritable tropisme, une véritable fascination pour les Pays Tropicaux humides et Equatoriaux, contrairement aux Méditerranéens, qui voyagent relativement peu dans ces pays!… Serait-ce peut-être une indication sur le véritable climat d’origine de ce type Européen?? Ce n’est pas impossible!….