Lo studio della IV egloga di Virgilio offre al ricercatore l’opportunità di entrare in contatto con un aspetto della spiritualità del tempo della fine della repubblica e dell’inizio dell’Impero che sembra divergere dall’usuale panorama della religione romana. I rapidi rivolgimenti di portata incalcolabile conseguenti alle guerre contro Cartagine e alla conquista dell’Oriente, uniti al drammatico susseguirsi delle guerre civili e all’emergere di personalità dello spessore di un Silla, di un Cesare, di un Antonio o di un Ottaviano, portavano a Roma tutta una serie di figure divine, di rituali e di nuove concezioni spirituali che nel vecchio pantheon italico e latino non potevano necessariamente trovare una loro collocazione. Forti scossoni colpivano il mondo teologico della Roma arcaica, guerriera, pastorale e contadina, che era quello che aveva reso l’Urbe il centro del mondo.
Virgilio, cosciente delle correnti spirituali nuove che percorrevano il mondo antico, riprende la vecchia spiritualità dell’antica Roma e ne dà gli elementi più arcaici legati alle diverse gentes e ai culti patrizi che meglio incarnavano il cuore della tradizione romano-italica. Emergono così, appena accennati nel complesso delle dieci egloghe, rituali di tipo oracolare che non possono essere confinati in una specie di”ricordo crepuscolare” e che, in realtà, costituiscono il sottofondo che sostanzia l’annuncio profetico della IV egloga. Ma, contemporaneamente, Virgilio mostra il suo interesse per le dimensioni spirituali più profonde delle varie religioni orientali, le cui élites era finalmente possibile conoscere direttamente grazie alla corsa vittoriosa delle legioni romane. Così, in un piccolo componimento come la IV egloga sembrano affiorare elementi di una spiritualità arcana, tesa a rendere intelligibili aspetti di tradizioni solitamente non inquadrabili nell’ambito della “teologia” delle varie figurazioni divine che avevano costituito la base della religione romana.
Nel corso della nostra analisi innanzitutto ci siamo chiesti se era possibile rinvenire all’interno della tradizione romana simboli, dottrine o rituali che avevano potuto costituire un retroterra propriamente latino per le tensioni di tipo escatologico che emergevano alla fine della repubblica e agli inizi dell’Impero, e che proprio per il loro radicamento nelle tradizioni più vetuste di Roma non potevano considerarsi secondarie per un autore come Virgilio così attento a tutto il patrimonio spirituale tradizionale.
Non è infatti ipotizzabile che i contenuti dottrinali presenti nel poemetto abbiano potuto costituire una specie di unicum estraneo alla mentalità e alla cultura romana del I secolo a.C. Nella prima parte del nostro testo ci si è perciò preoccupati di capire la straordinaria contingenza storica, il climaterium spirituale che poteva determinare un’attesa come quella che prendeva forma nell’egloga virgiliana. Certi aspetti del culto cesareo legati a figurazioni e a simboli come quello di un Re sacrale, sembravano costituire la base di un simile approccio. Taluni rituali della più antica Roma, come i Lupercalia e il Troiae lusus, ci hanno introdotti verso il legame, evidenziato per es. da Ovidio e dallo stesso Virgilio, fra questi rituali di un’arcaica organizzazione sociale formata da società di “giovani uomini”, il ruolo storico eccezionale della gens Julia e, perciò, della speciale funzione sovrana di Cesare e Ottaviano, ad un tempo politica e sacrale, per molti versi tesa a realizzare quello speciale rapporto con il divino che i Romani chiamavano pax deorum.
Accanto a questi aspetti rituali appartenenti ad una civiltà proto-storica, radicati in un contesto propriamente latino-italico, troviamo un elaborato apporto dottrinale di tipo astrale e cosmologico formalizzatosi nel neopitagorismo e nelle opere del più rappresentativo dei pitagorici romani, quel Publio Nigidio Figulo che occupò importanti cariche dello stato, la cui influenza nei circoli colti a lui contemporanei non è possibile sottovalutare. Questo insieme di dottrine astrali con coloriture messianiche di varia forma e provenienza, fortemente influenzate dalle attese e dalle paure radicate alla fine della repubblica in tutti gli strati sociali del popolo romano, si ritrova accanto alle riflessioni che possiamo definire con una terminologia sicuramente impropria, ma utile ai fini della comprensione dell’egloga virgiliana, di tipo genericamente “pessimistico” fatte in alcuni famosi componimenti di Orazio, che aiutano a capire l’eccezionale condizione spirituale nella quale poteva trovare significato la composizione della IV egloga. Questa particolare ambientazione di alcune poesie di Orazio permette di collocare in un ambito dottrinale molto vasto il significato del XVI epodo e di riflettere sul tempo della sua stesura secondo modalità meno condizionate da eventuali rassomiglianze con questo o quel verso della IV egloga.
La seconda parte del libro è in un certo senso il centro della nostra analisi e tocca quello che era uso definire renovatio mundi. Essa studia l’egloga secondo particolari angolature che ci hanno indotti ad analizzare da una prospettiva storico-religiosa e non solamente letteraria, ogni verso del componimento di Virgilio:
1. il mondo dei profeti e degli arcaici Veggenti;
2. i cicli cosmici e il Grande Anno;
3. l’età aurea e il rinnovamento universale;
4. Il mistero del Fanciullo;
5. il culto solare, la regalità sacra e i simboli messianici.
Abbiamo ritenuto indispensabile analizzare tutti i versi della IV egloga. Non è infatti lecito studiare solo alcuni versi ritenuti i più significativi e trascurare l’impianto complessivo nel quale essi vengono a comporsi. I versi e la dottrina che essi esprimono devono chiarire contemporaneamente l’insieme del messaggio dell’egloga e le singole parti di cui essa si compone, in un rapporto armonico che è il solo in grado di dare coerenza all’annuncio virgiliano. E tutto ciò deve essere fatto non solo per spiegare la capacità tecnico-creativa di Virgilio, ma per fare emergere l’omogeneità dei singoli aspetti dottrinali che altrimenti rischierebbero di restare muti.
Un discorso similare va fatto per le divinità che Virgilio menziona: Saturno, Lucina, Apollo, Jupiter, Pan, le Parche, la stessa Vergine. Sono figure divine che si trovano ordinate in un modo preciso, non circoscrivibile ad una menzione di circostanza e che, anzi, qui sembrano acquisire un ruolo particolarmente rilevante. E’ un tentativo di analisi che non è stato ancora tentato da alcuno e che tocca in profondità quanto Virgilio ha ritenuto di indicare sotto un velo simbolico. Si tratta di vedere non solo qual è questo ruolo, ma anche di studiare il tipo di rapporto esistente fra ognuna di queste divinità e le altre, e poi le loro relazioni con lo sfondo religioso complessivo dell’egloga. Solo così si potrà capire quali dottrine suppone l’annuncio virgiliano, qual è il tipo di spiritualità che lo sostanzia e perché sembra tanto ricco di un tipo di valori religiosi non certo usuali nei poeti dell’età augustea. Non va poi trascurato il significato della presenza nell’egloga di Orfeo e di Lino, i due cantori apollinei della perfezione dei primordi, la cui apparizione va ad introdurre la menzione dell’Arcadia, la mistica regione che qui sembra essere il simbolo di una condizione spirituale precisa, forse legata persino ad una intera categoria di poeti pastorali e di cantori contemporanei e amici di Virgilio, fra i quali un ruolo primario ha senz’altro avuto il console Pollione cui sono dedicate le egloghe III, IV e VIII.
C’è tutto un mondo spirituale e culturale molto vario e complesso che sembra essere confluito in Virgilio e che bisognava lumeggiare per spiegare la straordinaria sintesi di dottrine d’Oriente e d’Occidente che la IV egloga suppone. E’ in questa prospettiva che abbiamo studiato la figura del Puer e la sua identità che, come si sa, è una delle questioni più discusse e controverse fra quante ne pone l’opera di Virgilio. Diventava perciò necessario soppesare le tante ipotesi fin qui proposte e indicare una possibile soluzione.
Nell’ultimo capitolo si analizzano alcune dottrine spirituali connesse alle tradizioni della Sibilla Cumana perché il rilievo che nel carme assume questa celebre Sibilla italica obbliga inevitabilmente a cercare di entrare nel mondo spirituale nel quale Virgilio colloca il suo annuncio. Quello che è particolarmente indicativo è il fatto che i cenni alla realtà oracolare e agli antichi Vates contenuti nel poemetto, riprendono numerosi simboli che percorrono anche le altre egloghe ed insieme illustrano alcuni aspetti del vasto mondo dei Veggenti, degli Oracoli e delle Sibille italiche i cui rituali è possibile ritrovare in tutte le dieci bucoliche e che di per sé danno significato alla struttura “profetica” della IV egloga, all’annuncio parusiaco dell’aetas nova e al rinnovamento del mondo.
Ci siamo soffermati poi su alcuni aspetti della regalità sacra che da un lato paiono confermare quanto studiato prima e, dall’altro, ci indicano alcuni elementi dottrinali insospettati per il loro legame con il culto apollineo, con la mistica del Fanciullo solare e con certi simboli presenti nell’egloga che mostrano un Virgilio attentissimo alle più varie tradizioni spirituali della sua epoca inquieta. Né si può dimenticare che la forma religiosa che affiora nella IV egloga rappresenta un capitolo del complesso mondo spirituale rappresentato dalla religione romana del 1° secolo a.C., ed è essa stessa parte del particolare tipo di ambientazione rituale ed oracolare che affiora in tutte le dieci bucoliche.
In realtà, in questo straordinario poemetto il dato effimero ed in sé transeunte costituito dal consolato di Pollione a poco a poco viene superato dall’aureum saeculum che sopraggiunge e dall’apparizione del Puer dalle connotazioni “divine”, due realtà che danno concretezza alle più vetuste tradizioni latine sulle rivelazioni oracolari e sugli annunci profetici. Abbiamo davanti un Virgilio che sembra indirizzarci a studiare la costruzione politica che cominciava a delinearsi nel crogiuolo senza fine del I secolo, all’interno di attese messianiche generalizzate destinate a diventare realtà in quell’Imperium che rispetto alla storia romana repubblicana fu percepito come una vera e propria cesura del tempo, un cardo anni dal quale nasce un tempo nuovo, si genera un’era di prosperità materiale e di rinnovata ricchezza spirituale, un aspetto di quella che i più antichi Romani consideravano essere la pax deorum.
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* Per gentile concessione dell’Editore si riproduce la Presentazione a Nuccio D’Anna, Mistero e Profezia. La IV egloga di Virgilio e il Rinnovamento del mondo, coll. “Biblioteca di Cultura Religiosa”, Lionello Giordano, Cosenza 2007, pp.290.
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